2018-10-14
Cottarelliani, fatevene una ragione. Nessun errore sui soldi al vostro dio
Abbiamo sempre detto che i 6.500 euro a puntata sono corrisposti dalla Rai alla società di produzione di Fabio Fazio, che li gira all'osservatorio diretto da mister spending. Parlare di costo in carico agli italiani è del tutto legittimo. Così Carlo Cottarelli è stato trasformato sui social network in un martire lapidato ingiustamente dai cattivoni populisti che si sono permessi si sindacare persino sulla sua pensione. E così sono riusciti anche a trasformarlo in un martire. San Carlo Cottarelli, il beato con lo zainetto, lapidato ingiustamente da quei cattivoni di populisti che si permettono di sindacare sulla sua pensione (18.000 euro al mese, da quando aveva 59 anni: quanto basta per essere contrari alla riforma della Fornero) e persino sul fatto che ci fa spendere 6.500 euro ogni volta che va mezz'ora sulla Rai Tv per dirci che non dobbiamo spendere troppo. Come ci siamo permessi? Rivelare queste notizie così brutte? Anziché adorarlo come si conviene? Anziché inginocchiarsi di fronte ai suoi sermoni e invocarlo direttamente a Palazzo Chigi a sistemare i conti pubblici con una bella stangata in stile euroMonti?Nelle ultime ore sui social si è scatenata la nuova setta dei Cottarelliani, esercito della salvezza Cattolica (nel senso dell'università, ovviamente). Questi ultimi si sono esibiti in una assatanata campagna a suon di tweet che ha dipinto il premier mancato come una specie di buddha della macroeconomia, trasfigurazione nirvanica della troika, San Sebastiano infilzato dalle frecce del deficit. In ogni caso un eroe, personaggio scomodo, addirittura «voce dissenziente». Ingiustamente accusato, s'intende, da quei mostri della Verità (modestamente, siamo noi) e di altri giornali non allineati con il pensiero unico nello spirito (sia detto senza riferimenti alcolici) di Jean Claude Juncker. I giornali, denunciano i chierici del Cottarellismo, avrebbero scritto nientemeno che «falsità».Ora cominciamo a precisare subito la cosa che ci sta più a cuore, perché riguarda, ancor prima che il rapporto con il nostro nome e la nostra testata, il rapporto con voi, cari lettori: non abbiamo scritto alcuna falsità. Ma nemmeno una. Ma nemmeno mezza. Due giorni fa vi abbiamo raccontato esattamente come stanno le cose. E nessuno ha potuto, può e potrà smentire: la partecipazione di Cottarelli (alias Costarelli) alla Rai, nella trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio, ci costa 6.500 euro a puntata. Nell'ultima puntata il suo intervento è stato di 28 minuti, di qui il calcolo aritmetico: i sermoncini dell'ex Mani di Forbice, ex commissario senza successo alla spending review, valgono 4 euro al secondo, 232 euro al minuto, in pratica 14.000 euro l'ora. Non poco, soprattutto per farci dire che dobbiamo fare sacrifici.Tutti questi numeri, ovviamente, sono ufficiali e confermati. Cottarelli (alias Costarelli), però, si è un po' risentito e ha scritto una lettera di precisazione, che noi abbiamo doverosamente pubblicato, con tanto di risposta, nella pagina delle lettere (cioè al suo posto). Lo diciamo per i seguaci del Cottarellismo che trasportati dalla fede perdono lucidità, come il professor Riccardo Puglisi che ieri si chiedeva insistentemente: «Dove possiamo leggere la smentita sulla Verità?». A pagina 22, caro professore, ammesso che lei sappia contare fino a quel numero (o è abituato sui giornali a guardare solo le figure?). Per altro, ecco: la cosiddetta «smentita» non smentisce nulla di quanto scritto da noi. Altri giornali hanno scelto di metterla in prima pagina, cospargendosi il capo di cenere: evidentemente non avevano dato la notizia in modo corretto e si sono sentiti in colpa. Noi, invece, abbiamo spiegato fin dal primo momento che quei soldi non andavano direttamente nelle tasche di Cottarelli, ma all'Università Cattolica (dove il professore dirige l'Osservatorio sui conti pubblici) e che a versarli non era direttamente la Rai, ma la società che produce la trasmissione televisiva (di proprietà per metà di Fabio Fazio), la quale a sua volta si fa pagare dalla Rai. La sostanza, avevamo scritto, non cambia: ogni volta che Cottarelli va in tv, gli italiani sborsano 6.500 euro. Questo è, piaccia o no.Potremmo chiuderla qui, ma vogliamo essere ancor più chiari. L'esercito della salvezza cottarelliano, infatti, punta il dito su due aspetti. Il primo è che, secondo quanto dichiarato dal professor Cottarelli, l'Università Cattolica usa quei soldi per finanziare borse di studio. Anche fosse vero, però, che cosa cambia? Se l'Università Cattolica (privata) vuole finanziare borse di studio o sostenere le missioni francescane in Nuova Guinea o la nuova spedizione per salvare i pinguini dell'Antartide, tutti attività meritevoli, perché deve farlo con i soldi degli italiani? E perché gli italiani, per finanziare le borse di studio di un'università privata, devono pure sorbirsi le lezioncine di un professore (guarda caso, della medesima università privata) che dice loro che non devono spendere? Ma chi volete prendere per i fondelli?La seconda (e ultima) arma dei Cottarelliani è che a pagare non è direttamente la Rai, ma la società che produce la trasmissione (come noi, del resto, avevamo regolarmente scritto). Ma la società di produzione, secondo voi, che cos'è? Un ente benefico? Lavora in perdita? Per la gloria? Per il bel faccino di Fazio? O lavora per farsi pagare dalla Rai? Io ho il sospetto che la Rai paghi ogni trasmissione piuttosto cara. E quindi, giratela come volete, ma la minestra è sempre la stessa, cioè quella che vi abbiamo raccontato il primo giorno: gli italiani pagano la Rai, la Rai paga la società di produzione, la società di produzione paga la Cattolica ogni volta che compare Cottarelli. È la verità. Anzi, la Verità. L'unica fake news, dunque, è quella di far credere che sul caso esista una fake news. Capiamo il disorientamento dell'esercito della salvezza cottarelliano, ma che cosa avrebbero detto se una trasmissione Rai avesse pagato 6.500 all'associazione del professor Alberto Bagnai, per ogni apparizione in tv a spiegare il suo libro Il tramonto dell'euro? Ecco ci pensino. E si calmino. Conviene loro. Perché così esagitati come sono finiscono per collezionare figuracce. E per farle collezionare anche al loro eroe, che nonostante la pensione d'oro e i costosi predicozzi sui sacrifici, riusciva persino a non essere antipatico, prima di essere trasformato nella Madonna Immacolata del Sermoncino. Ma così, come si fa? Con 6.500 a botta, per gli italiani, è già difficile sopportarlo. Figurarsi se ce la fanno ad adorarlo.
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)