2023-02-24
Addio Costanzo. Se ne va l’uomo più potente d’Italia. Diede voce al Paese da uno sgabello
Maurizio Costanzo (Getty Images)
Il giornalista si è spento ieri a 84 anni. Autore, presentatore, talent scout, curatore dell’immagine di Francesco Totti: ha fatto di tutto, intercettando sempre la modernità. Con qualche scivolone, dal flop de «L’Occhio» alla P2.«Se Whatsappando non l’avrei mai scritta». Amava il gerundio, Maurizio Costanzo, e nella lista delle cose di cui andava più orgoglioso c’era il testo di Se telefonando, il classico dei classici della canzone italiana (1966), musicato da Ennio Morricone, pezzo forte di Mina. Quando a Sanremo, qualche anno fa, Nek lo portò fra i brani vintage in versione rock, lui gli telefonò per dirgli: «Bravo, l’hai capita e l’hai fatta tua. È una storia semplice che può succedere a tutti». Aveva le vibrisse sotto forma di baffi, come i gatti, e per mezzo secolo ha fiutato l’aria intercettando ogni fremito di novità dentro la scatola televisiva. Inventò il talk show, battezzò decine di personaggi mediatici, era il re dell’alto-basso, faceva coesistere la cultura con il trash. Sei sedie, altrettanti ospiti, chiacchiere come al bar d’estate sotto il pergolato. Al piano il fido Franco Bracardi in smoking bianco. Per Indro Montanelli ed Enzo Biagi era «l’uomo più potente d’Italia con Gianni Agnelli». Consigli per gli acquisti.Maurizio Costanzo è morto ieri a Roma dov’era nato 84 anni fa. I funerali si terranno lunedì nella chiesa degli Artisti in piazza del Popolo; la camera ardente è aperta oggi e domani in Campidoglio. Colui che fu il David Letterman italiano era ricoverato da una decina di giorni nella clinica Paideia, con la tv sempre accesa; da tempo era alle prese con il diabete ed era costretto a diete ferree, guardato a vista dalla quarta moglie Maria De Filippi perché «amava sgarrare». In più di un’intervista aveva confessato passioni violente per il gelato, i biscotti alla Nutella e le caramelle Rossana. Ieri La Repubblica lo ha definito «un gigante, non solo per la sua mole», ma ha dovuto cancellare la frase, travolta da accuse di bodyshaming. Eppure lui, così sensibile a tutto ciò che è facilmente comprensibile dalla sora Lella e dalla sciura Maria, sarebbe stato contento di veder cominciare il coccodrillo con dettagli di quotidianità domestica alla vaccinara. «Non ha fatto il ladro e le collanine», cantava Giorgio Gaber. Ecco, per il resto Costanzo ha fatto tutto. Giornalista, autore, sceneggiatore (Una giornata particolare di Ettore Scola), presentatore, inventore di programmi, talent scout, direttore della comunicazione della Roma (parliamo di pallone), image maker di Francesco Totti che gli deve la stagione dei nonsense e delle barzellette da paraguru. Ma soprattutto, per 41 anni e 4.480 puntate, è stato un re leone da palco mentre si aggirava con lo sgabello fra ospiti improbabili e geni inespressi negli anni Ottanta e Novanta dell’Italia da bere. Nel Maurizio Costanzo Show, storico programma di punta di Mediaset, lanciò Paolo Villaggio (fu l’inventore di Fracchia), Enzo Iacchetti, Dario Vergassola, Giobbe Covatta, Gioele Dix, Davide Riondino, Platinette, ma anche Vittorio Sgarbi, Aldo Busi e Roberto D’Agostino dopo le apparizioni vincenti con Renzo Arbore. Comici e intellettuali insieme, in quella maionese impazzita che generò il talk show, fra divulgazione e provocazione. Una straordinaria comédie humaine sotto il tendone del circo catodico. Con una consapevolezza autobiografica: «Il mio lavoro è dedicato agli sfasciadivani». Cominciò come cronista a Paese Sera, poi a Grazia. Entrò alla radio a 25 anni come autore del programma Canzoni e Nuvole, c’era ancora Nunzio Filogamo. Era elettrico, innovativo, passò alla Tv con Bontà Loro, Acquario, Grand’Italia, Buona Domenica. «Ho sempre saputo ascoltare le voci degli altri. Più che i banchieri mi interessano i ragionieri». Eppure per un ventennio è stato l’uomo più potente d’Italia, quello che la convocava sul palco e la raccontava costringendola a mettersi a nudo. Fan di Giovanni Falcone, bruciò in diretta una maglietta con scritto «Mafia made in Italy». Cosa Nostra gliela fece pagare con l’attentato di via Fauro (1993): a poca distanza dai Parioli saltò in aria una vettura piena di tritolo proprio mentre lui passava in macchina con la moglie. Nessun ferito. Il Maurizio Costanzo Show era il salotto del Paese. Amico di Silvio Berlusconi, riuscì a fargli prendere un’omerica arrabbiatura quando invitò (senza dirglielo) il rivale Antonio Di Pietro negli anni manettari di Mani Pulite.Leader sferico non senza penombre, fu portato in palmo di mano prima dalla Dc andreottiana, poi dal Psi craxiano, infine dall’intero arco costituzionale. Ha scritto 37 libri ma quello autobiografico si intitola Smemorie, come per giustificare qualche vuoto. A Roberto Gervaso che gli chiedeva «Tu non hai mai evaso?», rispondeva «Sono stato solo un po’ evasivo». Fallì clamorosamente come editore quando pretese di trasferire in Italia la formula dei tabloid inglesi: notizie di 20 righe, titoli pompatissimi, belle figliole in topless in terza pagina come al Sun. Si chiamava L’Occhio, affondò in un batter d’occhio. Nel suo levitare fra una terrazza del potere e un salotto chic finì per ritrovarsi (nel 1980) dentro l’elenco degli iscritti alla Loggia massonica P2. Furono in molti ad alzare il sopracciglio, Costanzo disse che ci era finito «a sua insaputa». Poi capì al volo il pericolo e si diede pubblicamente del «vero cretino» in una memorabile intervista a Giampaolo Pansa. Non c’erano i social, nessuno aprì la cloaca, la sua bravura spazzò via le gastriti: dossier chiuso con la scritta «peccato di gioventù». Negli anni Novanta il caustico Sergio Saviane scriveva di lui: «Ha messo su un’industria quasi più grande della Fiat di Agnelli. Un’industria che non ha bisogno di bulloni, macchinari, frese, torni, catene di montaggio, ma rovescia ogni giorno sul mercato già saturo tonnellate di parole e chiacchiere». Aldo Grasso aggiungeva: «Costanzo è il Cuccia del mondo televisivo, le sue prestazioni andrebbero recensite non più nelle pagine degli spettacoli ma in quelle politiche. Il suo talk show è un centro di potere». In quegli show c’erano in embrione i difetti delle tonnare serali di oggi, che lo stesso telegiornalista non sopportava più. In una delle ultime interviste ha detto: «Ho inventato il talk ma vedo che mi è scappato di mano. Le voci degli altri non si sentono più, c’è solo un gran rumore». Allora meglio andarsene in sordina, accompagnato dalle parole di circostanza dei potenti, lisciandosi (gerundio) i baffi.