True
2023-12-01
Il processo oscura il vero scandalo: il Pd che fa gioco a Cospito e mafiosi
Andrea Delmastro (Ansa)
Andrea Delmastro non si dimette. «Assolutamente no» spiegava ieri a Montecitorio. «Io sono uno dei pochi imputati che andrà a processo giocando nella stessa squadra del pm che ha chiesto l'archiviazione una volta e il proscioglimento due volte. La vera opportunità è che il M5S chieda le dimissioni di una persona che ha difeso il 41 bis, il carcere duro per terroristi, camorristi, mafiosi e ndranghetisti». Del resto, il sottosegretario alla Giustizia di Fratelli D’Italia - rinviato a giudizio (nonostante la procura di Roma avesse chiesto l’archiviazione) per rivelazione di segreto d’ufficio per aver riferito alcune conversazioni avvenute in carcere tra il militante anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi -, aveva nel febbraio scorso condiviso con il suo collega di partito Giovanni Donzelli informazioni che di fatto rappresentavano un serio pericolo per lo Stato italiano. Quelle indiscrezioni verranno poi riferite da Donzelli proprio nell’Aula di Montecitorio, in un duro intervento che aveva però denunciato l’alleanza che si stava venendo a formare tra un anarchico e alcuni boss mafiosi per abolirei l regime del carcere duro del 41 bis. Delmastro lo ha ribadito spesso in questi giorni. «Sono straordinariamente fiero di non aver tenuto sotto segreto un fatto di gravità inaudita, cioè che terroristi anarchici in combutta con criminali mafiosi tentassero di fare un attacco concentrico al 41 bis». In quelle settimane di inizio febbraio, infatti, l’Italia era attraversata da manifestazioni di piazza a difesa di Cospito, che proseguiva nella sua protesta contro il carcere duro con uno sciopero della fame che durava da tre mesi e mezzo. Proprio allora era stato trasferito dal carcere di Sassari a quello di Opera. E se da un lato c’era la violenza nelle piazze, dall’altro lato nelle carceri i boss della criminalità organizzata avevano iniziato a muoversi all’unisono, per appoggiare proprio la protesta di Cospito contro il 41 bis: per mafia, camorra e ndrangheta sostenere la battaglia dell’anarchico contro il carcere duro poteva essere un’opportunità per liberarsi finalmente di una misura che li attanagliava da tempo. «L’Italia», diceva il ministro degli Esteri Antonio Tajani, «è sotto attacco dell’internazionale anarchica. Non esiste un partito mondiale anarchico ma esiste una rete, è noto; i suoi esponenti sono in contatto e solidali fra loro, e una federazione raccoglie i vari movimenti». «Il rischio», aggiungeva il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, «di ricompattamento di frange diverse dagli anarchici sicuramente c’è. Nella manifestazione dell’altra sera a Roma per Cospito c’era una componente di una più generale galassia dell’antagonismo, estranea agli anarchici». E infine, argomentava il numero uno del ministero della Giustizia Carlo Nordio: «Di fronte alla violenza non si tratta l’ondata di gesti vandalici prova che il legame tra il detenuto e i suoi compagni rimane e tenderebbe a giustificare il mantenimento del 41 bis». Era in questo clima di enorme tensione per lo Stato che quindi si era sviluppata la decisione dello stesso Donzelli di comunicare alla Camera documenti che erano stati «depositati al ministero della Giustizia, non segretati e consultabili da qualsiasi deputato». Secondo il deputato di Fdi, erano stati «consegnati dal Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr)». Si trattava, in fin dei conti, di «osservazioni» effettuate in carcere e raccolte poi in una relazione poi richiesta dal sottosegretario alla Giustizia Delmastro. Quella relazione riguarda l'esame delle registrazioni da parte degli agenti che hanno il compito di custodire e gestire le captazione relative ai colloqui che avvengono tra il detenuto al 41 bis e i familiari, oltre a quelli tra il detenuto e la cosiddetta «dama di compagnia», cioè il compagno con cui a rotazione viene a contatto chi è costretto al carcere duro. Prima del trasferimento a Opera, quando era ancora a Sassari, una delle dame di compagnia di Cospito era il boss della ndrangheta Francesco Presta che lo esortava ad andare avanti. E Cospito rispondeva: «Fuori non si stanno muovendo solo gli anarchici, ma anche altre associazioni. Adesso vediamo che succede a Roma». E ancora il boss replicava: «Sarebbe importante che la questione arrivasse a livello europeo e magari ci levassero l’ergastolo ostativo». Allo stesso modo l’anarchico aveva parlato con Francesco Di Maio, un esponente del clan dei Casalesi, altro detenuto con cui aveva condiviso l’ora d’aria: «Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato», era il riferimento di Di Maio all’abolizione del 41 bis. Ma Cospito aveva condiviso momenti di socialità anche con Pietro Rampulla, l’artificiere della strage di Capaci. In quei giorni, mentre la mafia cercava di fare pressioni tramite gli anarchici sull’abolizione del 41bis, anche il Pd aveva inviato una sua pattuglia di parlamentare a parlare proprio con Cospito. A ricordarlo era stato proprio Donzelli sempre nel suo intervento. «Mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Debora Serracchiani, Walter Verini, Silvio Lai e Andrea Orlando (il quale, sui social, ha lanciato numerosi appelli contro il carcere duro), che andavano a incoraggiarlo nella battaglia. Allora, voglio sapere, presidente, se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia!» I giochi pericolosi dei dem, in audizione dell’anarchico vicino ai boss mafiosi, ora sono oscurati dal rinvio a giudizio di Delmastro. Eppure, con la scusa delle «ragioni umanitarie», i quattro hanno fatto il gioco di Cosa nostra, vestendo i panni di utili idioti dell’eversione.
Ecco perché i pm volevano archiviare
«È inconsueto un rinvio a giudizio quando il pubblico ministero chiede il non luogo a procedere», commentava, mercoledì scorso, Giovanbattista Fazzolari dopo la notizia dell’imputazione coatta del compagno di partito, e sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, per rivelazione di segreto d’ufficio.
Il procedimento, ricordiamo, fu avviato in seguito di un esposto del verde Angelo Bonelli, per la rivelazione al deputato di Fdi, Giovanni Donzelli, degli atti del Dap riguardanti le conversazioni di Alfredo Cospito con alcuni boss mafiosi e la visita all’anarchico di una delegazione del Pd. Dopo le indagini, la Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione del caso per due volte. Ma non è stata accontentata.
Due giorni fa, come noto, la giudice per l’udienza preliminare, Maddalena Cipriani, ha respinto la richiesta del procuratore aggiunto Paolo Ielo di non luogo a procedere, replicando la decisione dello scorso luglio di un’altra giudice, Emanuela Attura. «Lo scontro» interno alla magistratura è tutto tecnico: semplificando, da un lato la Procura di Roma riteneva non perseguibile Delmastro poiché, malgrado «l’esistenza oggettiva della violazione del segreto amministrativo», sarebbe mancato l’elemento soggettivo del reato, ovvero, essendo la normativa complessa, il sottosegretario non sapeva di star commettendo un illecito.
La Procura, dunque, invocava l’eccezione al principio Ignorantia legis non excusat (la legge non ammette ignoranza) previsto, talvolta, in presenza di normative particolarmente tecniche, contraddittorie o di difficile comprensione. Dall’altro lato, il ragionamento è stato respinto, già la prima volta dal giudice Attura, poiché un «avvocato specializzato in diritto penale» come Delmastro, «con incarico di sottosegretario» non poteva non conoscere il significato della dicitura «a limitata divulgazione» scritta sui documenti del Dap in questione.
Le carte, però, erano state sì etichettate dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria con la dicitura «limitata divulgazione», ma per gli stessi pm non è stata immediata l’individuazione del livello di riservatezza del plico di documenti che ha fatto scoppiare il caso. Come ha rivelato Ielo in aula, la Procura ha dovuto analizzare per due mesi fatti e regole per capire a quale categoria appartenesse il rapporto.
Plico che, secondo una ricostruzione di Repubblica, per una più rapida trasmissione al ministero della Giustizia, fu declassato da «riservato» ad, appunto «a divulgazione limitata», dicitura riportata nella nota di trasmissione dei documenti ricevuti da Carlo Nordio, Delmastro e il capo di Gabinetto Alberto Rizzo.
Elementi che, evidentemente, non hanno trovato il favore del gup. Il quale ha però anche respinto la richiesta degli esponenti del Partito democratico, Silvio Lai, Andrea Orlando, Debora Serracchiani e Walter Verini, di costituirsi parte civile.
Continua a leggereRiduci
Il rinvio a giudizio di Andrea Delmastro ha tolto l’attenzione dalle mosse pericolose dei dem in visita all’anarchico. Ascoltando il terrorista, infatti, tornarono utili a boss e stragisti, che con lui tramavano per far abolire il 41 bis.Per il gip, il sottosegretario non poteva ignorare che gli atti fossero segreti. Eppure, lo stesso procuratore Paolo Ielo rivela: «Abbiamo dovuto analizzare per due mesi le norme».Lo speciale contiene due articoli.Andrea Delmastro non si dimette. «Assolutamente no» spiegava ieri a Montecitorio. «Io sono uno dei pochi imputati che andrà a processo giocando nella stessa squadra del pm che ha chiesto l'archiviazione una volta e il proscioglimento due volte. La vera opportunità è che il M5S chieda le dimissioni di una persona che ha difeso il 41 bis, il carcere duro per terroristi, camorristi, mafiosi e ndranghetisti». Del resto, il sottosegretario alla Giustizia di Fratelli D’Italia - rinviato a giudizio (nonostante la procura di Roma avesse chiesto l’archiviazione) per rivelazione di segreto d’ufficio per aver riferito alcune conversazioni avvenute in carcere tra il militante anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi -, aveva nel febbraio scorso condiviso con il suo collega di partito Giovanni Donzelli informazioni che di fatto rappresentavano un serio pericolo per lo Stato italiano. Quelle indiscrezioni verranno poi riferite da Donzelli proprio nell’Aula di Montecitorio, in un duro intervento che aveva però denunciato l’alleanza che si stava venendo a formare tra un anarchico e alcuni boss mafiosi per abolirei l regime del carcere duro del 41 bis. Delmastro lo ha ribadito spesso in questi giorni. «Sono straordinariamente fiero di non aver tenuto sotto segreto un fatto di gravità inaudita, cioè che terroristi anarchici in combutta con criminali mafiosi tentassero di fare un attacco concentrico al 41 bis». In quelle settimane di inizio febbraio, infatti, l’Italia era attraversata da manifestazioni di piazza a difesa di Cospito, che proseguiva nella sua protesta contro il carcere duro con uno sciopero della fame che durava da tre mesi e mezzo. Proprio allora era stato trasferito dal carcere di Sassari a quello di Opera. E se da un lato c’era la violenza nelle piazze, dall’altro lato nelle carceri i boss della criminalità organizzata avevano iniziato a muoversi all’unisono, per appoggiare proprio la protesta di Cospito contro il 41 bis: per mafia, camorra e ndrangheta sostenere la battaglia dell’anarchico contro il carcere duro poteva essere un’opportunità per liberarsi finalmente di una misura che li attanagliava da tempo. «L’Italia», diceva il ministro degli Esteri Antonio Tajani, «è sotto attacco dell’internazionale anarchica. Non esiste un partito mondiale anarchico ma esiste una rete, è noto; i suoi esponenti sono in contatto e solidali fra loro, e una federazione raccoglie i vari movimenti». «Il rischio», aggiungeva il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, «di ricompattamento di frange diverse dagli anarchici sicuramente c’è. Nella manifestazione dell’altra sera a Roma per Cospito c’era una componente di una più generale galassia dell’antagonismo, estranea agli anarchici». E infine, argomentava il numero uno del ministero della Giustizia Carlo Nordio: «Di fronte alla violenza non si tratta l’ondata di gesti vandalici prova che il legame tra il detenuto e i suoi compagni rimane e tenderebbe a giustificare il mantenimento del 41 bis». Era in questo clima di enorme tensione per lo Stato che quindi si era sviluppata la decisione dello stesso Donzelli di comunicare alla Camera documenti che erano stati «depositati al ministero della Giustizia, non segretati e consultabili da qualsiasi deputato». Secondo il deputato di Fdi, erano stati «consegnati dal Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr)». Si trattava, in fin dei conti, di «osservazioni» effettuate in carcere e raccolte poi in una relazione poi richiesta dal sottosegretario alla Giustizia Delmastro. Quella relazione riguarda l'esame delle registrazioni da parte degli agenti che hanno il compito di custodire e gestire le captazione relative ai colloqui che avvengono tra il detenuto al 41 bis e i familiari, oltre a quelli tra il detenuto e la cosiddetta «dama di compagnia», cioè il compagno con cui a rotazione viene a contatto chi è costretto al carcere duro. Prima del trasferimento a Opera, quando era ancora a Sassari, una delle dame di compagnia di Cospito era il boss della ndrangheta Francesco Presta che lo esortava ad andare avanti. E Cospito rispondeva: «Fuori non si stanno muovendo solo gli anarchici, ma anche altre associazioni. Adesso vediamo che succede a Roma». E ancora il boss replicava: «Sarebbe importante che la questione arrivasse a livello europeo e magari ci levassero l’ergastolo ostativo». Allo stesso modo l’anarchico aveva parlato con Francesco Di Maio, un esponente del clan dei Casalesi, altro detenuto con cui aveva condiviso l’ora d’aria: «Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato», era il riferimento di Di Maio all’abolizione del 41 bis. Ma Cospito aveva condiviso momenti di socialità anche con Pietro Rampulla, l’artificiere della strage di Capaci. In quei giorni, mentre la mafia cercava di fare pressioni tramite gli anarchici sull’abolizione del 41bis, anche il Pd aveva inviato una sua pattuglia di parlamentare a parlare proprio con Cospito. A ricordarlo era stato proprio Donzelli sempre nel suo intervento. «Mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Debora Serracchiani, Walter Verini, Silvio Lai e Andrea Orlando (il quale, sui social, ha lanciato numerosi appelli contro il carcere duro), che andavano a incoraggiarlo nella battaglia. Allora, voglio sapere, presidente, se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia!» I giochi pericolosi dei dem, in audizione dell’anarchico vicino ai boss mafiosi, ora sono oscurati dal rinvio a giudizio di Delmastro. Eppure, con la scusa delle «ragioni umanitarie», i quattro hanno fatto il gioco di Cosa nostra, vestendo i panni di utili idioti dell’eversione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cospito-processo-pd-delmastro-2666412181.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ecco-perche-i-pm-volevano-archiviare" data-post-id="2666412181" data-published-at="1701437876" data-use-pagination="False"> Ecco perché i pm volevano archiviare «È inconsueto un rinvio a giudizio quando il pubblico ministero chiede il non luogo a procedere», commentava, mercoledì scorso, Giovanbattista Fazzolari dopo la notizia dell’imputazione coatta del compagno di partito, e sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, per rivelazione di segreto d’ufficio. Il procedimento, ricordiamo, fu avviato in seguito di un esposto del verde Angelo Bonelli, per la rivelazione al deputato di Fdi, Giovanni Donzelli, degli atti del Dap riguardanti le conversazioni di Alfredo Cospito con alcuni boss mafiosi e la visita all’anarchico di una delegazione del Pd. Dopo le indagini, la Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione del caso per due volte. Ma non è stata accontentata. Due giorni fa, come noto, la giudice per l’udienza preliminare, Maddalena Cipriani, ha respinto la richiesta del procuratore aggiunto Paolo Ielo di non luogo a procedere, replicando la decisione dello scorso luglio di un’altra giudice, Emanuela Attura. «Lo scontro» interno alla magistratura è tutto tecnico: semplificando, da un lato la Procura di Roma riteneva non perseguibile Delmastro poiché, malgrado «l’esistenza oggettiva della violazione del segreto amministrativo», sarebbe mancato l’elemento soggettivo del reato, ovvero, essendo la normativa complessa, il sottosegretario non sapeva di star commettendo un illecito. La Procura, dunque, invocava l’eccezione al principio Ignorantia legis non excusat (la legge non ammette ignoranza) previsto, talvolta, in presenza di normative particolarmente tecniche, contraddittorie o di difficile comprensione. Dall’altro lato, il ragionamento è stato respinto, già la prima volta dal giudice Attura, poiché un «avvocato specializzato in diritto penale» come Delmastro, «con incarico di sottosegretario» non poteva non conoscere il significato della dicitura «a limitata divulgazione» scritta sui documenti del Dap in questione. Le carte, però, erano state sì etichettate dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria con la dicitura «limitata divulgazione», ma per gli stessi pm non è stata immediata l’individuazione del livello di riservatezza del plico di documenti che ha fatto scoppiare il caso. Come ha rivelato Ielo in aula, la Procura ha dovuto analizzare per due mesi fatti e regole per capire a quale categoria appartenesse il rapporto. Plico che, secondo una ricostruzione di Repubblica, per una più rapida trasmissione al ministero della Giustizia, fu declassato da «riservato» ad, appunto «a divulgazione limitata», dicitura riportata nella nota di trasmissione dei documenti ricevuti da Carlo Nordio, Delmastro e il capo di Gabinetto Alberto Rizzo. Elementi che, evidentemente, non hanno trovato il favore del gup. Il quale ha però anche respinto la richiesta degli esponenti del Partito democratico, Silvio Lai, Andrea Orlando, Debora Serracchiani e Walter Verini, di costituirsi parte civile.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggereRiduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggereRiduci