2023-12-01
Il processo oscura il vero scandalo: il Pd che fa gioco a Cospito e mafiosi
Il rinvio a giudizio di Andrea Delmastro ha tolto l’attenzione dalle mosse pericolose dei dem in visita all’anarchico. Ascoltando il terrorista, infatti, tornarono utili a boss e stragisti, che con lui tramavano per far abolire il 41 bis.Per il gip, il sottosegretario non poteva ignorare che gli atti fossero segreti. Eppure, lo stesso procuratore Paolo Ielo rivela: «Abbiamo dovuto analizzare per due mesi le norme».Lo speciale contiene due articoli.Andrea Delmastro non si dimette. «Assolutamente no» spiegava ieri a Montecitorio. «Io sono uno dei pochi imputati che andrà a processo giocando nella stessa squadra del pm che ha chiesto l'archiviazione una volta e il proscioglimento due volte. La vera opportunità è che il M5S chieda le dimissioni di una persona che ha difeso il 41 bis, il carcere duro per terroristi, camorristi, mafiosi e ndranghetisti». Del resto, il sottosegretario alla Giustizia di Fratelli D’Italia - rinviato a giudizio (nonostante la procura di Roma avesse chiesto l’archiviazione) per rivelazione di segreto d’ufficio per aver riferito alcune conversazioni avvenute in carcere tra il militante anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi -, aveva nel febbraio scorso condiviso con il suo collega di partito Giovanni Donzelli informazioni che di fatto rappresentavano un serio pericolo per lo Stato italiano. Quelle indiscrezioni verranno poi riferite da Donzelli proprio nell’Aula di Montecitorio, in un duro intervento che aveva però denunciato l’alleanza che si stava venendo a formare tra un anarchico e alcuni boss mafiosi per abolirei l regime del carcere duro del 41 bis. Delmastro lo ha ribadito spesso in questi giorni. «Sono straordinariamente fiero di non aver tenuto sotto segreto un fatto di gravità inaudita, cioè che terroristi anarchici in combutta con criminali mafiosi tentassero di fare un attacco concentrico al 41 bis». In quelle settimane di inizio febbraio, infatti, l’Italia era attraversata da manifestazioni di piazza a difesa di Cospito, che proseguiva nella sua protesta contro il carcere duro con uno sciopero della fame che durava da tre mesi e mezzo. Proprio allora era stato trasferito dal carcere di Sassari a quello di Opera. E se da un lato c’era la violenza nelle piazze, dall’altro lato nelle carceri i boss della criminalità organizzata avevano iniziato a muoversi all’unisono, per appoggiare proprio la protesta di Cospito contro il 41 bis: per mafia, camorra e ndrangheta sostenere la battaglia dell’anarchico contro il carcere duro poteva essere un’opportunità per liberarsi finalmente di una misura che li attanagliava da tempo. «L’Italia», diceva il ministro degli Esteri Antonio Tajani, «è sotto attacco dell’internazionale anarchica. Non esiste un partito mondiale anarchico ma esiste una rete, è noto; i suoi esponenti sono in contatto e solidali fra loro, e una federazione raccoglie i vari movimenti». «Il rischio», aggiungeva il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, «di ricompattamento di frange diverse dagli anarchici sicuramente c’è. Nella manifestazione dell’altra sera a Roma per Cospito c’era una componente di una più generale galassia dell’antagonismo, estranea agli anarchici». E infine, argomentava il numero uno del ministero della Giustizia Carlo Nordio: «Di fronte alla violenza non si tratta l’ondata di gesti vandalici prova che il legame tra il detenuto e i suoi compagni rimane e tenderebbe a giustificare il mantenimento del 41 bis». Era in questo clima di enorme tensione per lo Stato che quindi si era sviluppata la decisione dello stesso Donzelli di comunicare alla Camera documenti che erano stati «depositati al ministero della Giustizia, non segretati e consultabili da qualsiasi deputato». Secondo il deputato di Fdi, erano stati «consegnati dal Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr)». Si trattava, in fin dei conti, di «osservazioni» effettuate in carcere e raccolte poi in una relazione poi richiesta dal sottosegretario alla Giustizia Delmastro. Quella relazione riguarda l'esame delle registrazioni da parte degli agenti che hanno il compito di custodire e gestire le captazione relative ai colloqui che avvengono tra il detenuto al 41 bis e i familiari, oltre a quelli tra il detenuto e la cosiddetta «dama di compagnia», cioè il compagno con cui a rotazione viene a contatto chi è costretto al carcere duro. Prima del trasferimento a Opera, quando era ancora a Sassari, una delle dame di compagnia di Cospito era il boss della ndrangheta Francesco Presta che lo esortava ad andare avanti. E Cospito rispondeva: «Fuori non si stanno muovendo solo gli anarchici, ma anche altre associazioni. Adesso vediamo che succede a Roma». E ancora il boss replicava: «Sarebbe importante che la questione arrivasse a livello europeo e magari ci levassero l’ergastolo ostativo». Allo stesso modo l’anarchico aveva parlato con Francesco Di Maio, un esponente del clan dei Casalesi, altro detenuto con cui aveva condiviso l’ora d’aria: «Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato», era il riferimento di Di Maio all’abolizione del 41 bis. Ma Cospito aveva condiviso momenti di socialità anche con Pietro Rampulla, l’artificiere della strage di Capaci. In quei giorni, mentre la mafia cercava di fare pressioni tramite gli anarchici sull’abolizione del 41bis, anche il Pd aveva inviato una sua pattuglia di parlamentare a parlare proprio con Cospito. A ricordarlo era stato proprio Donzelli sempre nel suo intervento. «Mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Debora Serracchiani, Walter Verini, Silvio Lai e Andrea Orlando (il quale, sui social, ha lanciato numerosi appelli contro il carcere duro), che andavano a incoraggiarlo nella battaglia. Allora, voglio sapere, presidente, se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia!» I giochi pericolosi dei dem, in audizione dell’anarchico vicino ai boss mafiosi, ora sono oscurati dal rinvio a giudizio di Delmastro. Eppure, con la scusa delle «ragioni umanitarie», i quattro hanno fatto il gioco di Cosa nostra, vestendo i panni di utili idioti dell’eversione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cospito-processo-pd-delmastro-2666412181.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ecco-perche-i-pm-volevano-archiviare" data-post-id="2666412181" data-published-at="1701437876" data-use-pagination="False"> Ecco perché i pm volevano archiviare «È inconsueto un rinvio a giudizio quando il pubblico ministero chiede il non luogo a procedere», commentava, mercoledì scorso, Giovanbattista Fazzolari dopo la notizia dell’imputazione coatta del compagno di partito, e sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, per rivelazione di segreto d’ufficio. Il procedimento, ricordiamo, fu avviato in seguito di un esposto del verde Angelo Bonelli, per la rivelazione al deputato di Fdi, Giovanni Donzelli, degli atti del Dap riguardanti le conversazioni di Alfredo Cospito con alcuni boss mafiosi e la visita all’anarchico di una delegazione del Pd. Dopo le indagini, la Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione del caso per due volte. Ma non è stata accontentata. Due giorni fa, come noto, la giudice per l’udienza preliminare, Maddalena Cipriani, ha respinto la richiesta del procuratore aggiunto Paolo Ielo di non luogo a procedere, replicando la decisione dello scorso luglio di un’altra giudice, Emanuela Attura. «Lo scontro» interno alla magistratura è tutto tecnico: semplificando, da un lato la Procura di Roma riteneva non perseguibile Delmastro poiché, malgrado «l’esistenza oggettiva della violazione del segreto amministrativo», sarebbe mancato l’elemento soggettivo del reato, ovvero, essendo la normativa complessa, il sottosegretario non sapeva di star commettendo un illecito. La Procura, dunque, invocava l’eccezione al principio Ignorantia legis non excusat (la legge non ammette ignoranza) previsto, talvolta, in presenza di normative particolarmente tecniche, contraddittorie o di difficile comprensione. Dall’altro lato, il ragionamento è stato respinto, già la prima volta dal giudice Attura, poiché un «avvocato specializzato in diritto penale» come Delmastro, «con incarico di sottosegretario» non poteva non conoscere il significato della dicitura «a limitata divulgazione» scritta sui documenti del Dap in questione. Le carte, però, erano state sì etichettate dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria con la dicitura «limitata divulgazione», ma per gli stessi pm non è stata immediata l’individuazione del livello di riservatezza del plico di documenti che ha fatto scoppiare il caso. Come ha rivelato Ielo in aula, la Procura ha dovuto analizzare per due mesi fatti e regole per capire a quale categoria appartenesse il rapporto. Plico che, secondo una ricostruzione di Repubblica, per una più rapida trasmissione al ministero della Giustizia, fu declassato da «riservato» ad, appunto «a divulgazione limitata», dicitura riportata nella nota di trasmissione dei documenti ricevuti da Carlo Nordio, Delmastro e il capo di Gabinetto Alberto Rizzo. Elementi che, evidentemente, non hanno trovato il favore del gup. Il quale ha però anche respinto la richiesta degli esponenti del Partito democratico, Silvio Lai, Andrea Orlando, Debora Serracchiani e Walter Verini, di costituirsi parte civile.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)