2023-02-02
Il mai pentito Cospito: «Voglio vivere». Ma non condanna gli atti dei compagni
Roberto Adinolfi dimesso dopo l'attentato. Nel riquadro, Alfredo Cospito (Ansa)
Il terrorista è dipinto come un «martire» dalla sinistra. Che ne dimentica però le rivendicazioni degli attentati commessi e giustificati. A confermare il consigliere Michele Usuelli: «Non dico nulla a chi sta compiendo violenze».«Solo scontrandoci armi in pugno con il sistema possiamo costruire l’azione». È il pensiero più algido di Alfredo Cospito, terrorista anarchico che l’ultrasinistra ha coccolato in silenzio per anni non sapendo se inserirlo nel dossier «sogni irrealizzabili» o in quello intriso di nostalgia «compagni che sbagliano». Il leader degli insurrezionalisti della Fai (Federazione anarchica informale) nonché ideologo del Fri (Fronte rivoluzionario internazionale) è il campione attorno al quale gli happy few della rivoluzione permanente si stringono per convincere lo Stato ad allentare la morsa del 41 bis e per provare, in generale, a mettere in imbarazzo il governo «dei questurini senza pietà».Impegnata a gridare al lupo contro quattro estremisti di destra per sostenere l’allarme fascismo, la galassia dell’ultra-progressismo si era dimenticata delle gesta di un suo figlioccio funzionale all’antagonismo, eroe dei centri sociali, vessillifero di quella «A» su fondo nero che spesso compare nelle manifestazioni in mezzo alle bandiere rosse e a quelle del sindacato. Eppure prendere le distanze dai deliri dei Cospito boys non sarebbe stato difficile: bastava leggerli. Bastava scandire a voce alta «il terrorismo è una pratica sempre usata dagli anarchici» e «il terrorismo dal basso verso l’alto ha tutte le ragioni del mondo» per capire che non si sta parlando di educande ma dei figli illegittimi delle Brigate Rosse. Dei Che Guevara da sottobosco putrescente, degli esaltati che allignano dentro i collettivi universitari senza (per fortuna) quei cattivi maestri che negli anni 70 fecero fare l’ultimo salto di qualità alla generazione P38. Anche perché di questi tempi le rivoluzioni si fermano davanti a uno Spritz. Oggi Cospito è al 41 bis ed è bene che ci resti. Dal carcere incitava i compagni con interviste, scritti sul blog «Vetriolo», indicazioni che solo le forze dell’ordine conoscono, a compiere atti terroristici. Per la cronaca, attraverso il consigliere regionale Michele Usuelli (candidato in Lombardia nella lista di Pierfrancesco Majorino) ha fatto sapere proprio ieri: «Non approvo le violenze, non sono io a ordinare agli anarchici cosa fare. Ma non mi sento di dire nulla a chi sta compiendo atti, nemmeno di condannarli. Voglio vivere». Anche se ha sospeso l’assunzione di integratori, le sue parole indicano un cambio di strategia. Anzi un ammorbidimento.Il suo sciopero della fame è a suo modo nobile, ma riguarda solo lui e gli allocchi che lo ritengono un fenomeno di costume. Neppure il superpiddino Andrea Orlando, per due volte ministro della Giustizia, mosse mai un dito per togliere il carcere duro a chi propugna il sovvertimento dello Stato con le armi. È doveroso sottolinearlo: l’anarchico digiunante non ha niente a che vedere con gli insurrezionalisti letterari d’inizio Novecento, con personaggi ambigui e ingenui come Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, con nemici del sistema che sparavano ai re e ai dittatori con la pistola sotto la redingote.Cospito è un terrorista nato a Pescara nel 1967 e cresciuto negli ambienti dell’estrema sinistra nel quartiere popolare di San Salvario a Torino, dove fu redattore del foglio anarchico rivoluzionario Kn03 (la formula chimica del nitrato di potassio, uno degli elementi per creare un fumogeno) e creò un gruppo che da quella pubblicazione prendeva il nome, con la compagna Anna Beniamino oggi detenuta nel carcere romano di Rebibbia. San Salvario, la Torino rossa con la mistica delle spranghe davanti ai cancelli della Fiat. Quello fu il brodo di coltura della rivoluzione permanente che ha espresso negli anni 80 e 90 fenomeni di ringhiera come gli Squatter e più tardi - nella pancia dei centri sociali - le azioni «dimostrative» dei No-Tav condivise da intellettuali organici e scrittori dal fosco passato come Erri De Luca. Nella sua carriera Cospito si è fregiato - a suo dire - di due medaglie. La seconda è stata la gambizzazione nel 2012 dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, da lui definito «uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà». Per concludere con sprezzante ferocia: «È caduto ai miei piedi». L’atto fu rivendicato dalla Fai con una lettera inviata al Corriere della Sera. Il leader venne arrestato quasi subito con il suo complice Nicola Gai, tornato libero nel 2020 dopo uno sconto della pena in appello. Mentre era in carcere è stato accusato anche - prima medaglia per lui e i suoi seguaci - dell’attentato del 2006 contro la Scuola allievi carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. Due ordigni erano stati piazzati all’interno di altrettanti cassonetti all’ingresso dello stabile con la tecnica «a trappola» usata dai partigiani del Gap durante la Seconda guerra mondiale nelle azioni contro i nazisti: il primo per richiamare l’attenzione, il secondo per mietere vittime. Quell’azione non provocò feriti e la prima condanna fu a 20 anni. Ma recentemente la Cassazione ha definito l’atto «tentata strage contro la sicurezza dello Stato» e gli ha comminato l’ergastolo ostativo, quindi 41 bis con nessun beneficio. Cospito non si è mai pentito. Ricordando la gambizzazione di Adinolfi, ha scritto: «In una splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto a pieno della vita». Durante lo sciopero della fame un gruppo di intellettuali e giuristi (Massimo Cacciari, Moni Ovadia, don Luigi Ciotti, Giovanni Maria Flick) ha scritto un appello al ministro Carlo Nordio per ottenere la revoca del carcere duro. E il detenuto è stato spostato da Sassari alla prigione «modello» di Opera. Difficile prendere una decisione che non sembri un colpo di spugna e non spinga mafiosi e criminali a ottenere la stessa clemenza. Il terrorismo in Italia è ancora un capitolo mai compiutamente metabolizzato. Oggi di quegli anni restano l’oblio peloso della sinistra, l’ambiguità di chi ha percorso la zona grigia rifacendosi una vita nell’editoria e nei giornali senza mai fare i conti con il passato. E qualche sgangherata, autoassolutoria pièce teatrale. I Cospito, le loro bombe, i loro scritti sgrammaticati e folli sono solo strumenti. Come cantava Giorgio Gaber: «Ho visto topi infettare le città, ma ho visto anche abilissime mani lanciarli dai tombini». Oggi dentro quel fiume limaccioso nuota la cattiva coscienza gauchiste. Che da una parte prende le distanze dai nipotini violenti e dall’altra li riconosce propri senza neppure l’esame del Dna. Due anni fa a Milano, nel tentativo di dare la spallata alla Regione Lombardia durante la pandemia, l’intera sinistra movimentista non si fece alcun problema nell’utilizzare i Carc (Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo). Erano quelli di «Fontana assassino» e delle minacce di morte. Partecipavano ai cortei. Venivano legittimati. Facevano comodo.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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