
Lo spirito profetico di Giovanni XXIII: «Qualche ecclesiastico dei nostri giorni non sa resistere alle tentazioni dell'oggi». Basta preti showmen, si deve tornare alle Scritture.Coloro che, davanti alla crisi tremenda che sta vivendo il clero cattolico in questi anni, si scandalizzano e si stracciano le vesti, dimostrano di conoscere poco e male la bimillenaria storia della Chiesa. Tutti i secoli della cristianità, soprattutto a partire dall'epoca moderna e contemporanea, hanno registrato cattolici santi (pochi) e cattolici peccatori (molti), sacerdoti adamantini ed esemplari, oltre che lupi famelici in abiti clericali.La lunga lista delle malefatte del clero, dall'apostolo e vescovo Giuda, chiamato al sacerdozio da Gesù in persona, sino ad oggi, è tristissima e lunga per un credente. L'importante non è dunque conoscere tutto nel dettaglio, ma avere contezza dell'insieme. Il bianco candido e puro è raro purtroppo, ed esistono sia il nero corvino sia le infinite sfumature di grigio, chiaro, scuro e scurissimo…Basti pensare che dal piemontese san Pio V (1566-1572) al veneto san Pio X (1903-1914), non si hanno Papi canonizzati; alcuni rari sono i beatificati, pochi quelli morti in fama di santità, e questo per quasi 5 secoli. Fatto sta che se tutti i secoli hanno avuto dei sacerdoti vigliacchi e di manica larga (oltre che di mani lunghe e tonache svolazzanti), non sono mai mancati i veri riformatori ed è in costoro che si sente il respiro del fondatore del cristianesimo e il cuore del Vangelo.I sommi Pontefici poi, benché non tutti all'altezza dei tempi e delle circostanze, hanno di norma favorito quella sorta di palingenesi spirituale che ha sempre faticato a farsi strada nel gregge, come fatica ancora oggi, per l'edonismo sfrenato dei tempi.Giovanni XXIII, variamente giudicato dagli storici, ma recentemente canonizzato da papa Francesco, ha pronunciato nel lustro del suo pontificato una quantità impressionante di discorsi sull'adeguata formazione del clero, dei laici e dei seminaristi. Unendo la sua notoria bonomia da Papa buono con il costante riferimento alla tradizione (spirituale e ascetica) degli antichi padri della Chiesa, da lui veneratissimi. Così, il 29 luglio del 1961, a poco più di un anno dall'apertura del Vaticano II, il Papa tenne una memorabile allocuzione a Castel Gandolfo, la quale aveva per tema proprio la «formazione sacerdotale». In essa, particolarmente oggi a seguito dell'affaire Viganò, si chiarisce quale sarebbe dovuta essere la disciplina del clero dopo il Concilio, per fare di esso un punto di riferimento morale per la gente, piuttosto che preti showmen e psicologi mancati.Secondo Roncalli, «un clero ben formato - testa, lingua, cuore - è ciò che dà affidamento di buon apostolato e di ordinate energie poste a servizio della Chiesa». Il disordine attuale, innegabile ormai, è proprio il frutto della carente formazione ricevuta. «Il depositum fidei è intangibile ed infrangibile. Ma esso potrebbe non venir trasmesso con assoluta fermezza e sicurezza, qualora nel clero venisse a indebolirsi quella fedeltà alla tradizione, quel vigile senso di moderazione e rispetto, quella dirittura mentale che sono espressione di integrità e di coraggio».Cosa insegna il caso Viganò, oltre alla denuncia di mali come l'omosessualità e la pedofilia nel clero i quali non sono certo sorti di recente come un fulmine a ciel sereno? Insegna, secondo noi, che la fedeltà alla tradizione è diventata un optional dopo il '68 (in salsa clericale) e la «dirittura morale» auspicata da papa Giovanni è stata sostituita bellamente con la simpatia del prete scout, il giovanilismo a tutti i costi, il cercare di non essere in nulla diversi dagli altri. Ma un sacerdote che nell'abito e nel pensiero si conforma agli standard in voga, che interesse può avere? Per provare emozioni forti meglio un guru, o uno psicanalista che per principio non dirà mai: «Questo non è bene!».D'altra parte Giovanni XXIII non usa metafore e critica già allora «le smanie di certe divagazioni e di curiosità», a cui contrappone «lo studio della Scrittura, dei Padri, delle grandi correnti della spiritualità». Secondo, il Papa bergamasco, è diffusa l'impressione, che «qualche ecclesiastico dei nostri giorni non sappia resistere alle tentazioni dell'ora presente: tentazioni che sono maggiori e più raffinate comodità di vita». Con pacata fortezza e spirito profetico, disse ancora ai sacerdoti presenti alla storica udienza che «non si può venire incontro alle necessità del popolo cristiano se il clero non è per primo nutrito di profonda vita spirituale, se la sua luce non brilla sul candelabro di una irraggiante e conquidente perfezione». La formazione sacerdotale, sarebbe dovuta essere «senza debolezze né compromessi, secondo la buona tradizione nostra che mira alla virtù, al sacrificio, alla rinuncia». Addirittura, per il Papa, «i sodi principi ascetici sollevano il giovane seminarista dallo stato di immaturità, di indecisione, di timidezza, che in soggetti predisposti può anche condurre a forme psicopatologiche». Come quelle che vediamo dilagare oggi.Di certo, il seminario è diventato negli ultimi decenni qualcosa di simile alle facoltà laiche, senza alcun riserbo o distacco, per esempio verso l'altro sesso. Ma Giovanni XXIII, pur così aperto a scrutare i segni dei tempi, ricordava che il «candidato al sacerdozio è qualcosa di sacro, di distinto, di separato: il contegno stesso esteriore, anche nella letizia della ricreazione, non ha mai nulla di dissipato, tanto meno di grossolano o di scolaresco».In conclusione, il modernissimo Roncalli consigliava lo studio della teologia, non seguendo la nouvelle théologie, ma alla scuola del medievale san Tommaso, anche per infondere, nella stessa vena del discorso, «equilibrio di giudizio, profondità di vedute, buon senso e maturità intellettuale».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.