2024-05-29
«Faccio il migliore amico per lavoro. Così riempio la solitudine degli altri»
L’ex animatore romagnolo Marco Mingrone si è inventato un servizio che offre compagnia (anche pratica) a chi la richiede «Non sono un accompagnatore, guardo agli aspetti sani di un’amicizia come dare una mano con la spesa».Sosteneva Jean-Paul Sartre: «Se sei triste quando sei da solo, probabilmente sei in cattiva compagnia».Al netto della licenza poetica, passata attraverso il setaccio della realtà, Marco Mingrone non si allontana poi tanto dal pensiero del filosofo e scrittore parigino: «Da soli possiamo star bene saltuariamente e la compagnia non è cattiva, ma è limitante. Solo nella relazione troviamo compimento e pienezza della vita».È forse anche il raggiungimento di questa consapevolezza che, un anno fa, ha spinto il cinquantaduenne di Castenaso (Bologna) a cimentarsi nell’ultimo dei suoi carpiati professionali dando vita a «Il tuo miglior amico», un servizio che offre compagnia umana e pratica a chiunque la richieda. Dalla cena al concerto, dalla chiacchierata casalinga al weekend fuori porta, Mingrone dedica il suo tempo ad abbellire il quotidiano degli altri. «Il mio motto è: “Il mio tempo per migliorare il tuo tempo”».Sarebbe quasi un missionario, se non fosse per il «vil denaro».«Ecco, mi lasci dire una cosa. Molti fanno le pulci alla moralità della mia idea: “Parli di amicizia, di solitudine, e poi ti fai pagare”. Ma se uno s’inventa un mestiere che per una o due ore rende felice una persona, qual è il problema?».Mi sa che dovrà farci il callo.«Finché il commento viene dall’hater online... Quando arriva da persone che mi conoscono, però, un po’ ferisce».«Miglior amico» è un’espressione ambiziosa, però. Non avrà esagerato?«L’ho pensato anch’io. Tanti la ritengono presuntuosa, e la sua domanda mi dà l’occasione per spiegare: non ho alcuna pretesa di diventare il miglior amico di nessuno, credo profondamente nella gratuità dell’amicizia. Volevo solo trasmettere il mio approccio: l’obiettivo è quello di far respirare gli aspetti sani di un’amicizia».Com’è nata l’idea?«Casualmente, quando un caro amico mi ha chiesto di portare fuori a cena la mamma rimasta sola dopo la morte del marito. L’ho fatto con piacere. Questa signora, evidentemente contenta della serata, ha parlato di me ad altre persone con esigenze simili. Per farla breve, i primi due-tre clienti non sono stati clienti».Curioso.«Ho pensato: quanta gente si preclude cose che ama per i motivi più disparati? Chissà se una figura professionale coi modi giusti, pulita, può avere (mi passi il termine poco romantico) mercato…».Di cosa si occupava prima?«Gestivo due parchi gioco al coperto, ma a causa del Covid ho chiuso. Prima avevo lavorato 20 anni nel turismo, come animatore e poi come commerciale per i tour operator. Tra le varie attività, ho avuto anche una panetteria».Lei un migliore amico ce l’ha?«Bella domanda. Sarò molto sincero: no. Da bambino era questo ragazzo di cui le parlavo prima, poi si trasferì in un’altra città. Ora conosco tante persone, ma il migliore amico è rimasto un ricordo d’infanzia».Crede che ciò abbia inciso, anche inconsciamente, nella scelta di offrire questo servizio? La ricerca di un sentimento.«È la prima persona che riesce a dire una cosa così profonda. Inconsciamente e consciamente, le rispondo sì. Mi manca».Questa risposta mette a tacere ogni malignità, no?«Già. Ma lei se l’è meritata, tanti altri no».Lei è quello che in epoca pre Internet veniva definito «accompagnatore».«Andando ancora più indietro nel tempo, ho scoperto la figura del cicisbeo, che però era legata esclusivamente a un rapporto uomo-donna: il maschio accompagnava la dama ovunque e si racconta che la accontentasse “in tutto”. Anche per l’accompagnatore, il confine è stato spesso molto sottile in questo senso. Ambiguità che io stesso vivo nelle battute della gente: “Ah, fai il gigolò”, “Esci con le vecchie”. Queste sono le più delicate».A proposito… qual è il range di età tra i suoi clienti?«I più giovani sono ragazzi tra i 15 e i 20 anni: mi contattano i genitori chiedendo di accompagnarli in discoteca; anziché saperli alla guida, mandano me. Poi c’è un’età di mezzo: spesso imprenditori e imprenditrici con una vita molto stressante che necessitano che vada a prendere i figli, o che faccia la spesa e la porti a casa. Fino agli over 60 e 70, pensionati che grazie a me riscoprono certe attività. La più anziana è una signora di 88 anni: con lei chiacchieriamo, facciamo passeggiate, a volte anche la spesa insieme».Che lei sappia, ha l’esclusiva in Italia?«Per ora sì. Ho scoperto di recente l’esistenza di figure analoghe in Giappone e negli Usa. Qui mi stanno scrivendo in tanti con l’idea di replicare la formula».Sarà un caso che il primo italiano sia un emiliano?«A dirla tutta, ho sangue calabro… ma vivo a Bologna dall’età di cinque anni. Diciamo che forse gli emiliani, per vicinanza territoriale, hanno assorbito lo spirito dei romagnoli. Loro hanno una marcia in più. Basti pensare a cosa sono riusciti a creare partendo da una pozza d’acqua».Quali doti bisogna avere per fare questo lavoro?«Anzitutto trasparenza. È un mestiere dove l’aspetto fiduciario è fondamentale e il primo approccio determinante. Io ho mille difetti, ma piaccio alle persone, trasmetto fiducia. Poi serve una certa parlantina. In generale, la gente cerca gentilezza: quando comunichi genuinità, vedi gli sguardi illuminarsi».Uno come lei non può permettersi di presentarsi «in ufficio» con la luna storta. È difficile?«Ho la fortuna di avere vissuto finora una vita molto bella: ho una moglie e un figlio meravigliosi, non ho grossi grattacapi. E, per carattere, sono uno che elabora i problemi con positività. No, non mi costa tutta questa fatica svegliarmi di buon umore».Quanto è fitta l’agenda di un miglior amico?«Pur essendo sempre stato un libero professionista, amo così tanto il mio privato che non mi sono mai lasciato travolgere dal carrierismo. Una volta che arrivo a guadagnare il giusto per il mio stile di vita, che è molto semplice, sono a posto. Inoltre ho una tariffa abbastanza importante.».Visto che ne parla…«Certo, nessun problema. Per la semplice ora in cui vado a casa di una persona a chiacchierare, chiedo fra i 40 e i 50 euro. Per una giornata fuori 200, al netto delle spese».Tutto ciò, in quante ore settimanali si traduce?«Facendo una media, direi cinque al giorno, che può significare cinque clienti diversi, ma anche due. Per esempio, è capitato un weekend in Val d’Orcia: se conto i clienti è uno, se conto le ore sono tante».Qual è stato il compenso più alto?«Una due giorni da 500 euro più le spese. Quasi il doppio, in pratica».Si fa pagare gli straordinari?«No. Se accompagno e recupero il ragazzo in discoteca, ragiono su quanto tempo mi occupa, indipendentemente da cosa faccio nel mezzo. Certo, se il locale è vicino e posso tornare a casa a dormire qualche ora è un conto; se devo aspettare fuori in macchina dalle undici di sera fino alle quattro del mattino, il discorso cambia».Ha orari quasi da chirurgo. Sua moglie cosa dice?«Apprezza l’equilibrio che ho nel mio lavoro. Se un weekend lo dedico per intero a un cliente, quello dopo non esisto per nessuno».Quali sono i servizi più richiesti?«Cene al ristorante, cinema, teatri, musei…».Cosa le dice la gente che la sceglie? Perché decide di condividere un’esperienza con uno sconosciuto?«Si rende conto di passare troppo tempo a non fare cose, a stare in casa a vivere le vite degli altri. Questo è un problema che riguarda anche i più giovani. I social ci portano a essere sempre più spettatori della vita altrui e sempre meno protagonisti della nostra».Quanta solitudine scorge dal suo osservatorio?«Tanta. Ed è spesso mascherata. Date le tariffe, ho a che fare prevalentemente con una clientela di ceto alto. La persona benestante, immersa negli agi, viene percepita automaticamente come una persona che sta bene. Invece ci sono grandi fragilità».Mi racconti di un incontro che l’ha emozionata in modo particolare.«Una vedova di 82 anni che mi aveva contattato per andare a cena in un ristorante molto chic e si è presentata tutta in ghingheri. A fine serata, nel ringraziarmi è scoppiata in lacrime. Mi ha commosso. Questa donna, pur pagando, si è emozionata al punto da mettersi a piangere. Quanti lavori producono le stesse sensazioni?».È mai successo che una donna avvertisse una sintonia tale da tentare un approccio?«Con molto tatto da parte della donna, una volta è successo, sì. E con lo stesso tatto ho rifiutato. Ci siamo chiariti e tutto è finito con un sorriso».A un anno dall’inizio di questa avventura, cos’ha capito dell’essere umano che prima non aveva colto?«Non è che non cogliamo... non vogliamo cogliere. La consapevolezza della solitudine nascosta nelle case noi l’abbiamo, ma ci fermiamo alla superficie, restiamo sul luogo comune e andiamo avanti coltivando il nostro orticello. Nel momento in cui vivi certe cose sulla pelle, il pensiero della fragilità del prossimo è costante. Si diventa più sensibili».Insomma, la sua deformazione professionale è l’empatia.«Sì… ma non nel senso, come dicono scherzando alcuni amici, che cammino per la strada cercando di capire quanto una persona sia disperata in modo da farci i soldi (ride)».Col biglietto da visita pronto nel taschino, magari.«Avendo sempre fatto lavori commerciali, la gente mi percepisce come il venditore che vaga fiutando il dollaro. Ci sta».Ci avviciniamo all’estate… è già tutto prenotato?«Ad agosto chiudo, ho i mondiali di dodgeball di mio figlio in Austria. A luglio, per ora ho un weekend e un paio di sabati. Le dirò che, se dovessero chiamarmi per una settimana alle Maldive, accetterei volentieri. Se la persona è gradevole, l’idea di essere alle Maldive tutto spesato e in più pagato… Guardi, non è un brutto lavoro, ci pensi (sorride)».
Jose Mourinho (Getty Images)