2018-08-26
Così l’Ue ci spreme: dal 2000 a oggi accumulato un credito di 43 miliardi
La minaccia di Luigi Di Maio di tagliare i fondi a Bruxelles mette il dito nella piaga: l'Italia versa alle istituzioni comunitarie molto più di quanto ottiene indietro. La strada per farsi sentire, però, è quella indicata dal premier Giuseppe Conte.«L'Unione Europea non vuole ottemperare ai principi concordati nell'ultimo Consiglio europeo? Noi siamo pronti a tagliare i fondi che diamo all'Unione Europea». Chissà quante volte le parole pronunciate dal nostro vicepremier, Luigi Di Maio, debbono avere risuonato nelle ultime ore nelle orecchie del tedesco Günther Oettinger, commissario europeo per il Bilancio. «Se l'Italia dovesse rifiutarsi di pagare il contributo al budget dell'Ue», ha scritto Oettinger su Twitter, «sarebbe la prima volta nella storia dell'Unione europea. Questo comporterebbe il pagamento di interessi di mora. E la violazione degli obblighi derivanti dai Trattati, che potrebbe portare a ulteriori sanzioni. Cooperazione, non minacce». Un concetto, quello espresso da Di Maio sui contributi versati all'Unione europea, ribadito anche dall'altro vicepremier, Matteo Salvini. «Possiamo diminuire il contributo in quota parte sulla base di quello che l'Europa fa o non fa penalizzando l'Italia», ha dichiarato il segretario della Lega. A raffreddare le velleità dei due leader politici ci ha pensato un altro ministro, Enzo Moavero Milanesi (Esteri), il quale ha ricordato che «versare i contributi è un dovere legale». Considerata la complessità della questione, forse è il caso di fare il punto. Il funzionamento del budget dell'Ue è regolato dal Trattato sul funzionamento dell'Ue, che definisce i principi di base allo svolgimento della procedura di bilancio, e dal Trattato di Lisbona, che ha introdotto il Quadro finanziario pluriennale (Mff). Quest'ultimo è un piano di bilancio a lungo termine della durata di sette anni, che fissa l'importo massimo spendibile dall'Unione in ciascun settore. L'approvazione del prossimo Mff, relativo al settennato 2021-2027, è prevista prima delle prossime elezioni europee, che si terranno nella primavera del 2019. Il bilancio annuale, sottoposto ai limiti di spesa imposti dal Mff, viene proposto dalla Commissione europea per l'approvazione da parte dei governi dei Paesi membri (Consiglio europeo) e al Parlamento europeo.Da dove arrivano i soldi che finanziano le spese dell'Unione europea? Le cosiddette «risorse proprie» appartengono a tre distinte categorie. La prima è quella delle risorse proprie «tradizionali», principalmente dazi doganali. Ci sono poi i proventi dall'imposta sul valore aggiunto, riscossi tramite un'aliquota uniforme pari allo 0,3% sulla base armonizzata dell'Iva di ogni Stato membro. Infine, ci sono i tanto discussi contributi versati dagli stati membri in base al reddito nazionale lordo (Rnl). Ogni anno la Commissione europea pubblica un resoconto relativo alle somme ricevute e versate all'Ue. Nel gergo tecnico il nostro Paese è un «contributore netto», cioè versa all'Unione più di quanto non ottenga in cambio. Nel 2017, ad esempio, Roma ha versato 12 miliardi di euro, ricevendone in cambio 9,8. E questa è una situazione in atto da ormai molti anni. Dal 2000, il credito accumulato dall'Italia è pari a ben 42,87 miliardi di euro. L'Italia, ovviamente, non è l'unico contributore netto, anche se è certamente tra i più importanti. In termini assoluti, si posiziona infatti al quarto posto dopo Germania, Regno Unito (che dopo la Brexit sparirà gradualmente dal budget) e Francia. Viceversa, in conformità al principio di solidarietà e cooperazione che sulla carta dovrebbe animare il budget, i paesi più deboli presentano saldi positivi. Si tratta prevalentemente di stati appartenenti all'Europa orientale. Pur trovandoci di fronte a una palese violazione dei trattati la decisione di non versare i contributi all'Ue, come ammesso dallo stesso Oettinger, sarebbe un inedito assoluto. Pertanto, risulta difficile stabilire le conseguenze legali o pecuniarie di un tale gesto. Il nervosismo del commissario, senza dubbio, tradisce la paura di un effetto emulazione da parte di altri paesi i quali, a loro volta, potrebbero rifiutarsi di pagare dazio all'Ue. L'altra strada, forse più percorribile, è quella paventata dal premier Giuseppe Conte. Nel comunicato pubblicato giovedì sera a seguito della riunione della Commissione europea sul tema dei migranti, il presidente del Consiglio ha commentato che «se questi sono i “fatti" vorrà dire che l'Italia ne trarrà le conseguenze» e, d'ora in poi, perseguirà un «quadro coerente e determinato d'azione per tutte le questioni che sarà chiamata ad affrontare in Europa». Tra le righe, la possibilità di mettere il veto all'approvazione del budget 2021-2027, i cui negoziati sono partiti lo scorso maggio. E anche Matteo Salvini ieri ha detto: «Per l'Ue la musica è cambiata. C'è un bilancio che dovranno approvare all'unanimità? Il voto dell'Italia non c'è e non ci sarà». Secondo quanto stabilito dall'articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell'Ue, un solo voto contrario potrebbe far saltare tutto. Qualcuno a Bruxelles, forse, sta già «gufando» perché Giuseppe Conte non arrivi a sedere a quel tavolo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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