
Il leader transalpino pensava di poter ignorare il popolo, che alle Europee aveva mandato un segnale chiaro. È la stessa pulsione dirigista dei tedeschi, di Bruxelles e del Colle. L’interesse supremo non lo decide un’élite.Le vicende francesi dovrebbero essere d’esempio per molti politici italiani e anche per chi oggi ricopre importanti cariche istituzionali come Sergio Mattarella. La crisi che ha investito il governo Barnier, depurata dalle questioni economiche e di ordine pubblico che attraversano l’intera Europa, si può infatti sintetizzare come la storia di un presidente che ha creduto di potersi fare re. Sì, l’inquilino dell’Eliseo a un certo punto ha pensato di poter ignorare la volontà del popolo, che alle Europee si era espresso a favore del Rassemblement National. Apparentemente, la scelta di sciogliere il Parlamento per restituire la parola agli elettori sembrava dettata dall’esigenza di aggiornare gli assetti politici in seguito al mutato scenario dopo il voto per Bruxelles. In realtà, l’operazione serviva a sterilizzare i crescenti consensi del partito di Marine Le Pen e a favorire la nascita di un raggruppamento moderato di centro-sinistra cui affidare la legislatura. Macron appariva padrone della situazione, monarca assoluto determinato a sgambettare la destra francese. Ma il presidente che volle farsi re, convinto di poter esercitare il proprio potere senza una maggioranza parlamentare e di poter continuare a fare e disfare nonostante una crescente impopolarità, ha sbagliato i calcoli, perché le sue spregiudicate trame si stanno risolvendo in un fallimento come mai si era visto. Alcuni ricordano che in oltre 60 anni alla Francia non è mai capitato che un governo fosse sfiduciato dopo pochi mesi. Ma è altrettanto vero che nella storia della Republique mai si era avuto un presidente così detestato.Non so quanto durerà il governo che succederà a quello di Barnier. Tuttavia, posso dire con certezza che la vicenda francese dimostra che nessun presidente può farsi re. Nessun politico per quanto nel pieno del proprio mandato può alla lunga ignorare la volontà popolare. Da questo punto di vista il caso di Macron dovrebbe insegnare molte cose all’intera Europa. Nei due principali Paesi dell’Unione, Francia e Germania, la democrazia è in crisi per colpa di una classe politica che pensa di poter governare senza consenso e contro il proprio popolo. E Bruxelles, che impone sempre nuovi diktat per spingere gli europei verso una transizione energetica autolesionista e verso un’accoglienza senza regole, dovrebbe tenerne conto.Così la lezione francese dovrebbe indurre a una riflessione anche i vertici delle istituzioni italiane, in particolare il Quirinale, dove, forse per via di un mandato che al di fuori da ogni regola occidentale è stato allungato a 14 anni (in nessun Paese democratico un presidente, per di più non eletto, dura per un periodo così lungo), si fanno e si disfanno governi mai voluti dagli elettori, inventando formule come esecutivi tecnici o di solidarietà nazionale pur di non restituire la parola agli italiani. Continuare a pensare che si possa sottrarre alla decisione popolare la guida di un Paese, delegando alla magistratura o alla burocrazia europea le decisioni che toccano la vita delle persone, poi porta alla crisi delle istituzioni e alla paralisi delle decisioni. Dicono che la caduta del governo Barnier rappresenti la vittoria del sovranismo. Non so se sia così. Di certo è il tentativo di riappropriarsi della sovranità nazionale ed è anche la sconfitta del dirigismo, di chi pensa che la volontà degli elettori si possa aggirare con qualsiasi trucco in nome di un interesse supremo definito da un’élite. Tempo fa ho letto un’interessante analisi in cui si spiegavano la crescita di alcuni fenomeni italiani, come i 5 stelle, ma anche l’exploit della Lega nel 2019 o di Fratelli d’Italia nel 2022, proprio come una reazione degli elettori di fronte ai vari governi del presidente. Aver impedito le elezioni, imponendo governi non scelti dagli italiani ha prodotto una sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali e una gran voglia di cambiare. Perché, prima o poi, la resa dei conti arriva, e a Parigi siamo proprio a questo punto. Macron, dunque, invece di ispirarsi a soluzioni all’italiana per sostituire Barnier dovrebbe leggere anche il finale della nostra storia e non solo l’inizio.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast dell'11 novembre con Carlo Cambi
Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
La gabella ideata da Schlein e Landini fa venire l’orticaria persino a compagni di partito e possibili alleati. Dopo la presa di distanza di Conte, il dem De Luca jr. smentisce che l’idea sia condivisa. Scettici anche Ruffini (ex capo dell’Agenzia delle entrate) e Cottarelli.
«Continuiamo così: facciamoci del male», diceva Nanni Moretti, e non è un caso che male fa rima con patrimoniale. L’incredibile ennesimo autogol politico e comunicativo della sinistra ormai targata Maurizio Landini è infatti il rilancio dell’idea di una tassa sui patrimoni degli italiani. I più ricchi, certo, ma anche quelli che hanno già pagato le tasse e le hanno pagate più degli altri.
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.






