2020-02-15
«Così compravano da me periti e sentenze»
Dopo 28 giorni di carcere, il consigliere della Corte d'appello di Catanzaro Marco Petrini, arrestato per corruzione, vuota il sacco lasciando di stucco perfino i pm. «Ricevetti migliaia di euro per far riavere il vitalizio all'ex consigliere Tursi Prato».L'ammazzasentenze calabrese Marco Petrini, consigliere di Corte d'appello a Catanzaro, è crollato dopo 28 giorni di carcere e ha deciso di collaborare con la giustizia, vuotando il sacco in Procura a Salerno e lasciando di stucco i pm per il tenore delle ammissioni. Ma il verbale con le sue dichiarazioni, zeppo di omissis, sta mandando in subbuglio anche il palazzo di giustizia di Catanzaro. In piena guerra tra toghe, tutta sull'asse Salerno-Catanzaro, con 15 magistrati calabresi attualmente indagati (alcuni anche per ipotizzati oscuri rapporti con la criminalità organizzata), la scelta di Petrini, che gli ha permesso di tornare in libertà ma non in Calabria (per lui è stato disposto il divieto di dimora), è considerata una bomba a orologeria.L'innesco l'aveva già inserito un medico in pensione, Emilio Mario Santoro, ex dirigente dell'Asl di Cosenza che la stampa locale in Calabria ha ribattezzato «il dottore aggiusta processi». Arrestato insieme a Petrini, è stato un fulmine a scegliere la strada della collaborazione, anticipando di qualche giorno la toga sotto inchiesta. Un assegno da 100.000 euro per il giudice è stato trovato a casa del dottore. «Gli dissi di trattenere e custodire l'assegno, anche perché ritenevo molto pericoloso questo documento decisamente compromettente», ammette il giudice Petrini. Quella cifra serviva a ribaltare una sentenza in Corte d'appello. La firma sul titolo di credito è di uno dei presunti corruttori, l'avvocato Francesco Saraco, figlio di uno degli imputati, Antonio Saraco, condannato in primo grado a 10 anni di carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso. L'obiettivo era l'assoluzione in appello. E il giudice ha confessato: «Io dissi che la sentenza sarebbe stata annullata». E si era messo a disposizione anche per il dissequestro dei beni di famiglia.Ecco il suo racconto: «Ho ricevuto e accettato la promessa di una cospicua somma di denaro e successivamente di averla effettivamente ricevuta in cambio della decisione favorevole all'accoglimento della richiesta di dissequestro dei beni della famiglia Saraco». Petrini conferma anche di aver suggerito a «omissis» che «l'istanza di restituzione dei beni venisse depositata in periodo feriale». Stagione durante la quale Petrini presiedeva la Corte. Il dissequestro avvenne in tempi record. E a depositare l'istanza fu il cugino della moglie del giudice, l'avvocato Francesco Gambardella. La toga afferma di non avere elementi per affermare che il parente avvocato sapesse dell'accordo per il dissequestro. Ma, rispondendo a una domanda specifica, ammette: «Corrisponde a verità il fatto che l'avvocato Gambardella abbia pagato come regalo di nozze a sua cugina (ovvero la moglie del giudice Petrini, ndr) la metà del banchetto nuziale».Questi però sono i regali più consistenti. Dall'inchiesta è emerso che Petrini si accontentava anche di cassette di mandarini, gamberoni, litri d'olio d'oliva e orologi. Una conferma che è arrivata anche da un collaboratore di giustizia calabrese: Andrea Mantella, ex boss con la seconda elementare. Anche lui è stato sentito dai pm di Salerno. E sul conto di Petrini ha dichiarato: «Ci siamo stretti la mano e mi ha detto che entro 15 giorni io ti farò scarcerare». Solo 15 giorni dopo, «alle 13 e qualcosa», racconta il pentito, «la telefonata dell'avvocato era come se fosse che il discorso era già fatto. Praticamente io uscii dal carcere... gli ho dovuto dare i soldi subito subito. L'avvocato mi disse che con quella cifra stavo tranquillo».Il pentito racconta ai sostituti della Procura antimafia di Salerno Vincenzo Senatore e Silvio Marco Guarriello tutto ciò che sostiene di sapere su come la 'ndrangheta aggiusta i processi. «Nel mio episodio», afferma, «è stato in denaro contante». Oppure bisognava investire in «qualche Cartier, qualche Rolex, qualcosa...». Dichiarazioni spalmate in 7 fascicoli che la Procura di Salerno ha aperto, per competenza, nei confronti di magistrati del distretto di Catanzaro.Petrini ha confermato anche di aver preso soldi per sistemare la questione del vitalizio che era stato tolto all'ex consigliere regionale calabrese Pino Tursi Prato, che nel 2007 ebbe una vetrina nazionale in quanto testimone chiave dell'inchiesta «Why not?» dell'ex pm Luigi De Magistris. Panorama pubblicò in esclusiva il suo verbale, che creò uno sconquasso tra i notabili calabresi coinvolti. A seguito di una condanna per concorso esterno, Tursi Prato perse il benefit. Ma Santoro aveva l'uomo giusto al posto giusto. «Mi promise», ha confessato il giudice, «in cambio del mio interessamento e della decisione favorevole a Tursi Prato, una somma che in questo momento non sono in grado di ricordare con precisione, ma che non era limitata a poche migliaia di euro. Io accettai e ricevetti a più riprese somme di denaro da parte di Santoro». I soldi gli venivano consegnati in contanti nel suo ufficio della Corte d'appello di Catanzaro o in Commissione tributaria, altra sede istituzionale in cui Petrini aveva un incarico di rilievo. In ballo c'erano cifre rilevanti. E ora tremano anche i consulenti. Perché Petrini ha ammesso: «Santoro mi prospettò l'utilità di nominare periti di sua conoscenza, dicendomi che gli stessi mi avrebbero ricompensato in cambio della designazione».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson