Liberi, sempre più liberi. Anche di delinquere. La Lega attacca ancora sul caso di Iolanda Apostolico, il giudice che non convalida i trattenimenti dei clandestini, e mette sul tavolo una questione assai spinosa: che cosa succede se i migranti, che si sono già volatilizzati, commettono qualche reato? Chi paga? Beh, la realtà è già andata oltre, perché nel corso degli anni sono decine i casi di immigrati che hanno compiuto delitti anche gravi, come stupri e femminicidi (poi, certo, anche omicidi). E non si contano i casi di clandestini la cui scarcerazione ha fatto infuriare le forze dell’ordine e i pm e che poi sono scappati dall’Italia alla velocità della luce. A metà giornata, ieri, fonti della Lega spiegavano alle agenzie che la posta in gioco è ben maggiore di quanto si pensi. E i rischi per i cittadini anche. «Alcuni dei clandestini rimessi in libertà da un magistrato di Catania si sono già resi irreperibili. Qualora commettessero dei reati, di chi sarebbe la responsabilità?», chiedono dal Carroccio. Il problema è che le cronache sono già piene di questi casi, anche se prima di raccontarne qualcuno occorre fare una premessa. Nella grandissima maggioranza dei resoconti giornalistici su reati commessi da immigrati in Italia, c’è quasi sempre una certa vaghezza. Il massimo che si riesce a sapere, di solito, è se sono «regolari» o clandestini. A volte, emerge che sono pregiudicati o che sono già stati in carcere, ma non si dice mai se erano a zonzo per aver saldato i debiti con la giustizia italiana o grazie a qualche anima pia in toga. O se erano usciti da un Cpr grazie a un giudice di pace.
Nel 2019, a Osio Sotto, una commessa bergamasca viene picchiata a sangue da un uomo che la vuole violentare. Si tratta di un senegalese di 29 anni che aveva già assaltato varie donne e che nel 2014 era stato arrestato per un tentato stupro nel parcheggio di un supermercato. Se l’era cavata con una condanna a 14 mesi di reclusione ed era stato subito liberato dal giudice. Sempre quattro anni fa, uno spacciatore nigeriano clandestino era stato processato per direttissima a Monza, si era beccato un anno, ma aveva ottenuto la sospensione della pena perché ritenuto indigente e «in attesa di asilo politico».
Decisamente folle la storia di Hammadi Zrhaida, marocchino di 48 anni, che una dozzina di anni fa ammazza la moglie a Padova (dopo averla picchiata e segregata per anni) davanti alla figlioletta e se la cava con una condanna a 20 anni, prontamente ridotta a 14 anni e 8 mesi. La scorsa estate esce di galera, il prefetto lo espelle e lo mandano in un Cpr a Milano. Zrhaida fa ricorso e trova un giudice ordinario che lo libera. Speriamo che si comporti bene.
La scorsa estate il marocchino irregolare Redouane Moslli (43) ammazza brutalmente a coltellate una tabaccaia di Foggia, Francesca Marasco, per soli 75 euro. Passano due mesi e sul Giornale Stefano Zurlo scopre gli altarini: Mossli era stato chiuso in un cpr in Sardegna nel 2020 per via di una condanna per rapina, ma un giudice di pace non aveva confermato il provvedimento. Se fosse rimasto lì, probabilmente sarebbe già stato rispedito in Marocco. E soprattutto, la tabaccaia sarebbe viva.
Nel 2108, ha suscitato grande commozione la morte di Pamela Mastroprietro, uccisa e fatta apezzi dal nigeriano Innocent Oseghale, con vari precedenti per spaccio. Si è preso l’ergastolo anche in Cassazione, lo scorso anno, e prima di uccidere la ragazza romana aveva in tasca un permesso di soggiorno ampiamente scaduto. Di lui sappiamo tutto, ma né la droga né i documenti lo hanno fermato. Come mai?
Già dimenticato il caso di Hicham Boukssid, che nell’agosto del 2019, a Reggio Emilia, accoltella a morte una barista cinese di 24 anni, Hui Zhou. Marocchino, 34 anni, l’uomo ha recentemente subito una condanna in secondo grado a Bologna a soli 20 anni e sei mesi, perché gli è stata riconosciuta la seminfermità mentale. Il particolare inquietante è che Boukssid era stato identificato ed espulso già nel 2015, dopo un controllo antidroga, ma la sua fedina penale era intonsa e dalle colline emiliane non se n’è mai andato. Un altro omicidio tra immigrati va in scena a Milano, al Giambellino, nel luglio del 2017. Un marocchino di 52 anni, Mostafa El Gatnaoui, ammazza con due colpi di cacciavite al cuore un ragazzo egiziano di soli 18 anni, muratore e incensurato. Il motivo è una stupida lite sul fumo, fuori da un bar. L’assassino risulterà avere una sfilza di precedenti penali per reati contro la persona e ovviamente era irregolare da vent’anni. Insomma, aveva ampiamente incontrato la giustizia, ma la giustizia aveva lasciato andare lui e il suo cacciavite.
E per la serie «Tutto può succedere», ecco una storia a lieto fine. A Palermo nel 2015, il Riesame annulla la scarcerazione di un siriano, Okrema Ahmad, accusato di essere lo scafista di un barcone all’interno del quale morirono soffocate nella stiva 52 persone. Il provvedimento arriva quando l’immigrato, liberato dal Gip, si è già dato alla macchia. Dopo qualche mese viene trovato e nuovamente arrestato. Si fa due anni di custodia cautelare, al processo chiedono per lui l’ergastolo e invece viene assolto con formula piena in due gradi di giudizio. Okrema il siriano è un infermiere e Dio sa se ce ne sarebbe bisogno, in certi tribunali.