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2018-06-02
Conte tiene la delega sui servizi segreti. Primo match gialloblù sulle nomine
ANSA
C'è un nodo ancora irrisolto nel nuovo governo di Giuseppe Conte, ovvero quello legato alla delega sui servizi segreti. L'autorità delegata (legge 124/2007), infatti, non deve essere necessariamente nominata dal presidente del Consiglio in carica. Conte potrebbe quindi conservare le deleghe o assegnarle in un secondo momento. Ma nelle ultime settimane, come già scritto dalla Verità, ci sono state pressioni perché le deleghe sulla nostra intelligence vengano affidate da subito a Vito Crimi, senatore del Movimento 5 stelle, nonché già componente del Copasir nella precedente legislatura. La questione è complessa. La Lega spinge affinché sia il nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, a governare sui nostri servizi. O come ha detto apertamente ieri lo stesso Giorgetti «la delega ai servizi la prende il presidnete se non cmabia idea». Al contrario, l'incarico al pentastellato servirebbe a riequilibrare anche le politiche sull'immigrazione di Matteo Salvini, neo ministro dell'Interno.
Del resto negli ultimi anni, con Marco Minniti, intelligence e Viminale hanno lavorato a stretto contatto, in particolare sul dossier Libia, tra i fondi per la cooperazione internazionale e le trattative con le tribù di Tripoli che sorvegliano le coste. A quanto risulta alla Verità la nomina di Crimi potrebbe incidere da subito sulle nomine dei nuovi direttori di Dis, Aise e Aisi, quest'ultimo, Mario Parente, in scadenza il 15 giugno, mentre per gli altri due si parla ormai del 2019. Secondo alcune fonti dell'intelligence, Crimi sarebbe sponsorizzato anche da Gianni Letta oltre che dallo stesso Minniti. Persino il presidente di Leonardo, Gianni De Gennaro, come l'attuale direttore dell'Aise, Alberto Manenti, gradirebbero la nomina del senatore grillino. E non è un caso che dentro il Carroccio leggano le polemiche sulla possibile influenza del presidente russo Vladimir Putin su Salvini come informazioni «pretestuose» e «ridicole» per indebolire il nuovo numero uno del Viminale. Del resto non furono proprio i nostri servizi alla fine di dicembre, di fronte al Copasir, a smentire quanto veniva denunciato dall'ex vicepresidenza Usa, Joe Biden, ovvero di possibili influenze russe sulla campagna elettorale e persino sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016? Furono proprio Parente e Manenti a dire a palazzo San Macuto che non si poteva parlare di influenza di Mosca su Lega e M5s. Persino il possibile mancato rilascio del Nos (Nulla osta per la sicurezza) a Salvini, notizia che è spuntata un po' dappertutto sui quotidiani, non ha riscontri. Anche perché il rilascio del Nos è una prerogativa del presidente del Consiglio dei ministri, che esercita le sue funzioni attraverso l'Ufficio centrale per la segretezza (Ucse), istituito nell'ambito del Dis.
Il vero problema diplomatico riguarda invece i rapporti tra l'Italia e gli Stati Uniti. Non è un segreto che Washington da sempre abbia influenzato la politica italiana, negli ultimi anni un ruolo cruciale l'ha avuto la Clinton foundation Italia. Ora con la presidenza di Donald Trump la situazione è cambiata. La politica sia nazionale che estera statunitense sta procedendo nella più totale discontinuità con il passato, soprattutto perché sta cercando non di non farsi condizionare dalle tecnostrutture che da sempre fanno pressioni sui presidenti americani come (Cia, Fbi, Nsa). Come faranno quindi i nostri vertici dei servizi a confrontarsi con Washington dopo anni di proficua collaborazione ora che il vento è cambiato? Sarà tutto da scoprire. Come restano ancora da comprendere le mosse e le nomine da fare nei prossimi mesi. Alcune si valuteranno a settembre ma in scadenza a giugno c'è una lunga lista. Da Cassa depositi e prestiti (dove potrebbe arrivare Massimo Tononi ex Goldman, apprezzato da Giuseppe Guzzetti e pure da Giancarlo Giorgetti) fino alla Rai. Sul fronte delle altre partecipate dello Stato, l'ad di Mps Marco Morelli rischia di fare le valigie. Ci sono mire anche su Poste, dove Matteo Del Fante rappresenta un po' il simbolo della passata stagione politica. Ma il manager sta macinando utili su utili. Insomma, non sarebbe facile metterlo alla porta. Più complicata la posizione di Claudio De Scalzi, l'ad di Eni che ha tre inchieste da affrontare. Poi c'è il tema sicurezza tanto caro a Matteo Salvini.
In polizia c'è Franco Gabrielli, in passato vicino all'ex premier Enrico Letta. È stato prorogato ai primi del mese e quello che ha colpito è che i vincitori delle elezioni non abbiano fatto un fiato. A cominciare proprio dal Carroccio.
Del resto, anche volendo, in polizia non ci sarebbe una vera e credibile alternativa a Gabrielli, se non, forse, Vittorio Rizzi, il brillante capo dell'Anticrimine. Ieri il capo del Carroccio a domanda precisa su Gabrielli ha risposto: «Più tardi lo incontrerò, ascolterò, farò le mie valutazioni, ma certamente abbiamo una squadra che ha lavorato bene». In termini di urgenza, però, la prima poltrona da ricoprire è quella del direttore generale del tesoro. Vincenzo La Via ha lasciato e i nomi circolati fino a l'altro ieri saranno adesso tutti da rivedere. Resta sempre Fabrizio Pagani, l'attuale numero tre del dicastero, a confermare tutte le capacità per il ruolo, ma la Lega a quanto risulta non avrebbe espresso ancora il proprio parere. Mentre in queste ore si sta valutando il nome del capo di gabinetto del Mef. L'uomo che assisterà Giovanni Tria nella sua attività di governo. In molti si aspettavano grandi cambiamenti, invece avanza l'idea di confermare Roberto Garofoli, il magistrato che prima di ricoprire il ruolo al Mef con Pier Carlo padoan ha avuto incarichi con il governo Letta, con quello di Mario Monti e prima ancora è stato capo dell'ufficio legislativo con Massimo D'Alema e con il secondo Romano Prodi.
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Il M5s, con Gianni Letta e Marco Minniti, spinge Vito Crimi all'intelligence. Il Carroccio, però, vuole Giancarlo Giorgetti. Il Viminale apre alla conferma del capo della polizia: «Questa squadra ha lavorato bene».C'è un nodo ancora irrisolto nel nuovo governo di Giuseppe Conte, ovvero quello legato alla delega sui servizi segreti. L'autorità delegata (legge 124/2007), infatti, non deve essere necessariamente nominata dal presidente del Consiglio in carica. Conte potrebbe quindi conservare le deleghe o assegnarle in un secondo momento. Ma nelle ultime settimane, come già scritto dalla Verità, ci sono state pressioni perché le deleghe sulla nostra intelligence vengano affidate da subito a Vito Crimi, senatore del Movimento 5 stelle, nonché già componente del Copasir nella precedente legislatura. La questione è complessa. La Lega spinge affinché sia il nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, a governare sui nostri servizi. O come ha detto apertamente ieri lo stesso Giorgetti «la delega ai servizi la prende il presidnete se non cmabia idea». Al contrario, l'incarico al pentastellato servirebbe a riequilibrare anche le politiche sull'immigrazione di Matteo Salvini, neo ministro dell'Interno. Del resto negli ultimi anni, con Marco Minniti, intelligence e Viminale hanno lavorato a stretto contatto, in particolare sul dossier Libia, tra i fondi per la cooperazione internazionale e le trattative con le tribù di Tripoli che sorvegliano le coste. A quanto risulta alla Verità la nomina di Crimi potrebbe incidere da subito sulle nomine dei nuovi direttori di Dis, Aise e Aisi, quest'ultimo, Mario Parente, in scadenza il 15 giugno, mentre per gli altri due si parla ormai del 2019. Secondo alcune fonti dell'intelligence, Crimi sarebbe sponsorizzato anche da Gianni Letta oltre che dallo stesso Minniti. Persino il presidente di Leonardo, Gianni De Gennaro, come l'attuale direttore dell'Aise, Alberto Manenti, gradirebbero la nomina del senatore grillino. E non è un caso che dentro il Carroccio leggano le polemiche sulla possibile influenza del presidente russo Vladimir Putin su Salvini come informazioni «pretestuose» e «ridicole» per indebolire il nuovo numero uno del Viminale. Del resto non furono proprio i nostri servizi alla fine di dicembre, di fronte al Copasir, a smentire quanto veniva denunciato dall'ex vicepresidenza Usa, Joe Biden, ovvero di possibili influenze russe sulla campagna elettorale e persino sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016? Furono proprio Parente e Manenti a dire a palazzo San Macuto che non si poteva parlare di influenza di Mosca su Lega e M5s. Persino il possibile mancato rilascio del Nos (Nulla osta per la sicurezza) a Salvini, notizia che è spuntata un po' dappertutto sui quotidiani, non ha riscontri. Anche perché il rilascio del Nos è una prerogativa del presidente del Consiglio dei ministri, che esercita le sue funzioni attraverso l'Ufficio centrale per la segretezza (Ucse), istituito nell'ambito del Dis.Il vero problema diplomatico riguarda invece i rapporti tra l'Italia e gli Stati Uniti. Non è un segreto che Washington da sempre abbia influenzato la politica italiana, negli ultimi anni un ruolo cruciale l'ha avuto la Clinton foundation Italia. Ora con la presidenza di Donald Trump la situazione è cambiata. La politica sia nazionale che estera statunitense sta procedendo nella più totale discontinuità con il passato, soprattutto perché sta cercando non di non farsi condizionare dalle tecnostrutture che da sempre fanno pressioni sui presidenti americani come (Cia, Fbi, Nsa). Come faranno quindi i nostri vertici dei servizi a confrontarsi con Washington dopo anni di proficua collaborazione ora che il vento è cambiato? Sarà tutto da scoprire. Come restano ancora da comprendere le mosse e le nomine da fare nei prossimi mesi. Alcune si valuteranno a settembre ma in scadenza a giugno c'è una lunga lista. Da Cassa depositi e prestiti (dove potrebbe arrivare Massimo Tononi ex Goldman, apprezzato da Giuseppe Guzzetti e pure da Giancarlo Giorgetti) fino alla Rai. Sul fronte delle altre partecipate dello Stato, l'ad di Mps Marco Morelli rischia di fare le valigie. Ci sono mire anche su Poste, dove Matteo Del Fante rappresenta un po' il simbolo della passata stagione politica. Ma il manager sta macinando utili su utili. Insomma, non sarebbe facile metterlo alla porta. Più complicata la posizione di Claudio De Scalzi, l'ad di Eni che ha tre inchieste da affrontare. Poi c'è il tema sicurezza tanto caro a Matteo Salvini.In polizia c'è Franco Gabrielli, in passato vicino all'ex premier Enrico Letta. È stato prorogato ai primi del mese e quello che ha colpito è che i vincitori delle elezioni non abbiano fatto un fiato. A cominciare proprio dal Carroccio. Del resto, anche volendo, in polizia non ci sarebbe una vera e credibile alternativa a Gabrielli, se non, forse, Vittorio Rizzi, il brillante capo dell'Anticrimine. Ieri il capo del Carroccio a domanda precisa su Gabrielli ha risposto: «Più tardi lo incontrerò, ascolterò, farò le mie valutazioni, ma certamente abbiamo una squadra che ha lavorato bene». In termini di urgenza, però, la prima poltrona da ricoprire è quella del direttore generale del tesoro. Vincenzo La Via ha lasciato e i nomi circolati fino a l'altro ieri saranno adesso tutti da rivedere. Resta sempre Fabrizio Pagani, l'attuale numero tre del dicastero, a confermare tutte le capacità per il ruolo, ma la Lega a quanto risulta non avrebbe espresso ancora il proprio parere. Mentre in queste ore si sta valutando il nome del capo di gabinetto del Mef. L'uomo che assisterà Giovanni Tria nella sua attività di governo. In molti si aspettavano grandi cambiamenti, invece avanza l'idea di confermare Roberto Garofoli, il magistrato che prima di ricoprire il ruolo al Mef con Pier Carlo padoan ha avuto incarichi con il governo Letta, con quello di Mario Monti e prima ancora è stato capo dell'ufficio legislativo con Massimo D'Alema e con il secondo Romano Prodi.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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