
Se fossimo in un’altra epoca, probabilmente, lo chiamerebbero concilio. Invece, apparentemente, si tratta solo di una grande conferenza: il ventisettesimo vertice Onu sui cambiamenti climatici, meglio noto come Cop27, si è aperto ieri a Sharm el Sheikh e andrà avanti fino al 18 novembre, alla presenza dei capi di governo di mezzo mondo (compresa Giorgia Meloni). Difficile che ne esca qualche stupefacente novità, ma quel che conta è la riunione, la presenza dei grandi della Terra per celebrare uno dei riti principali della nuova religione dalle insegne verdi. Perché di questo si tratta: un culto, una fede che nell’Occidente moderno ha soppiantato il vetusto cristianesimo.
Come ciò sia potuto accadere, lo spiega la filosofa francese Chantal Delsol in un saggio intitolato La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo, un volume che Oltralpe ha suscitato grande dibattito e che finalmente arriva in Italia grazie all’editore Cantagalli (sarà disponibile in libreria dall’11 novembre e sul sito dell’editore a prezzo scontato). Il quadro dipinto dalla studiosa non è confortante. Il tracollo del cristianesimo ha condotto a quello della cristianità, cioè dell’intera cultura europea che si fondava sulla fede cristiana. Tutto questo, però, non ha portato alla nascita di un nuovo mondo ateo o irreligioso, come qualcuno riteneva nei decenni passati. Piuttosto, ha favorito l’affermazione di una nuova forma di spiritualità di matrice orientale. «Nell’epoca contemporanea e a partire dal XX secolo, l’influenza dei pensieri asiatici è decisiva tra gli occidentali», scrive la Delsol. «Gli esempi convergenti sono innumerevoli. Tutto indica un influsso dell’Asia sul Vecchio continente, dove si creano numerosi centri buddisti. Certamente, la disaffezione verso il cattolicesimo, dopo quasi due millenni di regno, provoca un vuoto insopportabile che cerca di essere riempito da nuove credenze: è umano. Ma ancora di più: le offerte religiose asiatiche corrispondono alle aspirazioni contemporanee. Non sono legate alla nozione di verità, da qui il loro sincretismo che appare falsamente agli occidentali come tolleranza. Attribuiscono un valore essenziale alla natura e a tutti gli esseri viventi, il che è una condizione per l’adesione all’imprescindibile e irrinunciabile ecologia. Non brandiscono alcun dio, alcun dogma, alcun obbligo. Il fedele vi entra per prendere ciò che vuole e lasciare il resto. Lo sforzo per eliminare la sofferenza è molto simile alle sessioni di sviluppo personale ed è proprio quello che i nostri contemporanei cercano nelle religioni più gettonate dopo la fine della cristianità».
Oggi, dice la Delsol, «la corrente filosofica più affermata e attraente è una forma di cosmoteismo legato alla difesa della natura. Si può anche parlare di panteismo o politeismo. I nostri contemporanei occidentali non credono più in un aldilà o in una trascendenza. E, se immaginano un altro mondo in cui vivere un giorno, sono i pianeti lontani dove si potrà giungere con un’astronave supersonica. Il senso della vita va dunque trovato in questa vita stessa, e non al di sopra di essa. Il sacro si trova qui: nei paesaggi, nella vita della terra e negli stessi umani […]. Per l’ecologismo odierno non c’è più alcuna separazione essenziale tra l’uomo e gli altri esseri viventi, né tra l’uomo e tutta la natura, che egli semplicemente abita, senza dominarla con una qualsiasi superiorità. Il paganesimo, cosmico, risponde alle preoccupazioni dell’ecologia. Il momento postmoderno è preoccupato dello spazio più che del tempo, perché ha abbandonato le grandi speranze temporali».
L’uomo di oggi «vuole vivere in un mondo autosufficiente che contenga in sé il suo significato, in altre parole: un mondo incantato, il cui incanto sta al suo interno e non in un aldilà angosciante e ipotetico. L’uomo postmoderno vuole abolire le distinzioni – il suo aggettivo preferito è “inclusivo”. E il cosmoteismo gli si addice perché cancella il vecchio dualismo caratteristico del giudeo-cristianesimo. Sente l’esigenza di sfuggire alle contraddizioni tra il falso e il vero, tra Dio e il mondo, tra la fede e la ragione... Invece di esiliare Dio fuori del mondo, lo richiama qui e si riappropria del sacro».
Ecco perché si può dire che l’ecologia sia diventata una religione vera e propria. Le certezze scientifiche sul clima, come quelle di cui si discute a Cop 27, «producono convinzioni e certezze irrazionali, in realtà credenze religiose». Secondo la Delsol, «l’ecologia è diventata una liturgia: è impossibile omettere la questione, in un modo o nell’altro, in qualsiasi discorso o frammento di discorso. È un catechismo: lo si insegna ai bambini a partire dalla scuola materna e in modo ripetitivo, per aiutarli ad acquisire le buone abitudini di pensare e di agire. È un dogma consensuale: chi pone delle questioni al riguardo, o chi solleva il minimo dubbio, è considerato come un pazzo o un malfattore. Ma soprattutto, e questo è il chiaro segno di una credenza vigorosa e non certo di una scienza razionale, la passione per la natura fa accettare tutto ciò che era rifiutato dall’onnipotente individualismo: la responsabilità personale, il debito imposto verso i discendenti, i doveri verso la comunità. È quindi in nome di questa religione immanente e pagana che reintegriamo tutte le dimensioni indispensabili dell’esistenza, che prima erano assunte e coltivate dal cristianesimo».
Qualcuno potrebbe dire: dove sta il problema? Nel fatto che la difesa dell’ambiente sia divenuta una sorta di obbligo morale? Non proprio. Esiste pure una grande tradizione cristiana che impone la conservazione per la natura, l’amore per il creato. Il punto è che la nuova fede ecologica è gestita da una casta di profeti i quali impongono dogmi impossibili da contestare, a meno di non voler passare per negazionisti. Ed è in nome di questi dogmi, di queste verità di fede, che il potere dominante indirizza tutti noi lungo il sentiero a lui più gradito, cioè la cosiddetta rivoluzione verde. Purtroppo, la religione green impone dei sacrifici, e troppo spesso le vittime sacrificali sono i popoli.






