
Uno studio pubblicato sull’autorevole «Journal of the american medical association» smonta il mito dell’erba per uso terapeutico. Le canne fanno infatti sparire la sofferenza quanto una sostanza senza principi attivi. La credenza contraria? «Ha basi mediatiche».Ma la cannabis è davvero efficace nella riduzione del dolore? Porsi oggi un simile quesito appare anacronistico. Il 17% degli americani dichiara di aver fatto uso terapeutico di tale sostanza nell’ultimo anno e perfino in Italia il tema non è più tabù da tempo. Basti pensare che una regione come la Toscana ha introdotto l’uso di tale sostanza per scopi terapeutici già dieci anni or sono, con la legge dell’8 maggio 2012, e attualmente sono almeno nove le Regioni della Penisola nelle quali si sono varati provvedimenti riguardanti l’erogazione di medicinali a base di cannabis. La questione sembra dunque chiusa da tempo.Sfortunatamente per i tanti che la pensano così, però, la ricerca scientifica rifiuta i dogmi e procede per continue verifiche. Si spiega così un lavoro fresco di pubblicazione che è difficile liquidare come sparata proibizionista e che, semplicemente, fa a pezzi il mito della nota «droga leggera» come opzione terapeutica. Stiamo parlando di uno studio uscito sul Journal of the american medical association (Jama), rivista peer-reviewed con 140 anni di storia, emanazione dell’American medical association, sigla cui fanno riferimento oltre 240.000 medici statunitensi.Ora, questa indagine - intitolata «Placebo response and media attention in tandomized clinical Trials assessing cannabis-based therapies for pain» - e il cui principale autore è lo studioso Filip Gedin del Karolinska Institutet, università alle porte di Stoccolma, si presenta come una meta-analisi, vale a dire uno studio riepilogativo di quanto già pubblicato sul tema. Più precisamente, Gedin e colleghi hanno considerato 20 studi controllati randomizzati - per un campione complessivo di 1.459 persone - nei quali la cannabis è stata confrontata con un placebo per il trattamento del dolore clinico. Riunite tutte queste ricerche effettuate in precedenza in vari Paesi del mondo - dagli Stati Uniti alla Spagna, dal Belgio al Canada, dal Brasile a Israele -, gli autori dello studio hanno iniziato una verifica dei dati effettivi. E si sono imbattuti in esiti sorprendenti. «La nostra meta-analisi ha mostrato che il dolore è stato valutato come significativamente meno intenso dopo il trattamento con un placebo, con un effetto da moderato a ampio a seconda di ogni persona», ha infatti scritto Gedin illustrando il suo lavoro sul sito specializzato TheConversation.com, ma «il nostro team non ha osservato alcuna differenza significativa tra la cannabis e un placebo per ridurre il dolore».Un risultato che però pone un problema: come mai allora non di rado i pazienti affermano davvero di star meglio dopo l’assunzione di cannabis? Secondo gli studiosi svedesi, il problema è sperimentale. Nelle indagini condotte spesso i partecipanti possono distinguere tra un placebo e una cannabis attiva. «Ma se sono consapevoli di ricevere o meno cannabinoidi», fa notare Gedin, «è più probabile che forniscano una valutazione distorta dell’efficacia dell’intervento». Tale propensione a giudicare positivamente l’efficacia della cannabis, prosegue sempre la ricerca pubblicata su Jama, non ha però basi mediche, bensì mediatiche. «La ricerca ha dimostrato che la copertura mediatica e le informazioni su Internet possono influenzare le aspettative che si ha di un trattamento», segnala ancora lo studioso il quale, esaminate con il suo team 136 notizie apparse sui media e nei blog, ha rilevato come la «copertura mediatica nei confronti della cannabis tende ad essere positiva, indipendentemente da quali» siano «i risultati di uno studio».In effetti, che la cannabis potesse essere clinicamente sopravvalutata già si sapeva. A pagina 109 del volume uscito qualche mese fa - e recensito dalla Verità - Droga, le ragioni del no (Cantagalli, 2022) a cura del magistrato Alfredo Mantovano, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma con anche contributi medici, già si segnalava come l’efficacia terapeutica della cannabis sia incerta e osservata solo su «pochissime patologie». Il punto è che su tale argomento la grancassa mediatica ha invece sposato da tempo la vulgata narcofila.Il lavoro di Gedin e colleghi è dunque prezioso. Presentare la cannabis come terapeutica risulta infatti funzionale alla sua liberalizzazione. E si dimenticano così i tanti effetti negativi di una sostanza i cui consumatori abituali, ha rilevato una recente indagine canadese sulla rivista Bmj open respiratory research, scontano il 22% in più di probabilità di finire al pronto soccorso o di essere ricoverati in ospedale. Per non parlare dei rischi sui giovani: un lavoro di coorte su oltre 200.000 soggetti tra i 10 ed i 24 anni uscito nel 2021 su Jama Pediatrics ha rilevato come l’uso massiccio di marijuana in soggetti con disturbi dell’umore quali depressione e disturbo bipolare fosse collegato ad un chiaro aumento del rischio di autolesionismo, tentativi di suicidio e morte. Ancora, altri studi hanno trovato un’associazione tra cannabis legale ed aumento di incidenti stradali. Si sta insomma parlando di tutto fuorché di una «droga leggera», che ha conseguenze anche sociali gravi. Il punto è che se i media non ne parlano, di tutto ciò non si ha percezione. Anzi, passa pure l’idea che le canne possano far bene.
Antonio Decaro (Imagoeconomica)
Decaro, Ricci e Tridico non si dimettono dall’Ue. E Vendola sogna già le Politiche.
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Inutile negarlo: il sushi fa parte ormai dei nostri orizzonti gastronomici. Ma attenzione: c’è sushi e sushi. Lasciate perdere quello non offerto da ristoranti giapponesi, è come mangiare la pizza all’ananas! E poi avere qualche cautela “sanitaria” non fa un soldo di danno anche perché ormai si spaccia finto sushi a buon mercato ovunque. Una cosa che forse non tutti sanno è che il sushi andrebbe mangiato con le mani e non con le bacchette. E proprio ispirandoci all’idea del finger food ci è venuto in mente questo non sushi di zucchine. E’ straordinario l’effetto che fa se lo servite come aperitivo. Penseranno tutti che siete bravissimi, in realtà è di una semplicità disarmante, inversamente proporzionale all’intensità di gusto. I vostri hosomaki (sono i pezzi di sushi circolari avvolti dall’alga) sono pronti.
Il premier indiano Narendra Modi (Getty Images)
A causa dei dazi imposti da Washington, il Paese asiatico oggi mostra un legame stretto con Mosca e Pechino. L’Italia però ha l’interesse e l’opportunità di dialogare con Nuova Delhi e gettare le basi per un trattato commerciale con l’Unione europea.
Emmanuel Macron (Ansa)
Volenterosi in panne: tante parole, forse solo i baltici offrono truppe. Rischiamo di spedire 16.000 soldati a fronteggiare 700.000 russi. L’unico scenario realistico è la nostra proposta sul modello dell’articolo 5.