
Dopo Blackrock anche Vanguard, un altro dei maggiori investitori al mondo, alleggerisce le posizioni sui prodotti sostenibili (Esg) per intercettare i rendimenti più redditizi. Le decisioni dei due colossi fanno da bussola al mercato: in tanti sono pronti a seguirli.Controrivoluzione nella finanza verde. Con l’inflazione alle stelle e l’aumento dei tassi i colossi della gestione del risparmio hanno capito che insistere con gli investimenti sostenibili in società che seguono i cosiddetti criteri Esg (su ambiente, sociale e buon governo dell’impresa) non fa più guadagnare, anzi. Rischiano di rimetterci, considerando anche il rischio di incappare in chi fa greenwashing, ovvero spaccia progetti e prodotti come ad alto standard ambientale quando non lo sono. Meglio, dunque, fare dietrofront. A muoversi per prima in ritirata è stata l’americana Blackrock, la più grande società di investimento del mondo guidata da Larry Fink capace di spostare masse di milioni di dollari con un clic. Una sorta di esploratore del mercato che viene seguito a ruota dagli altri investitori internazionali. All’inizio del 2018 aveva suonato la carica nella lettera annuale inviata agli ad delle migliaia di società partecipate da un capo all’altro del pianeta: «Per prosperare nel tempo, la performance finanziaria non è sufficiente, ogni azienda deve dimostrare di aver fornito un contributo positivo alla società, a beneficio di tutti i suoi portatori di interesse; azionisti, dipendenti, clienti e comunità di riferimento», scriveva nella missiva Fink prima ancora che Greta Thunberg facesse scendere in piazza il movimento Fridays For Future. Ed è stato il primo a lanciare il contrordine: quest’anno Blackrock ha dichiarato di appoggiare le risoluzioni degli azionisti su questioni ambientali e sociali delle società statunitensi, per lo più di tipo consultivo, solo nel 7% dei casi, rispetto al 22% dello scorso anno. Ora si è allineata - e con un calo ancor più marcato - anche un’altra big Usa, Vanguard, che ha sostenuto solo il 2% delle proposte degli azionisti riguardanti temi Esg, in netta riduzione rispetto al 12% del 2022. A rivelarlo è stato lo stesso fondo, spiegando che la percentuale è scesa sia perché sono aumentate le proposte (359 da 290) sia perché è migliorata l’attenzione delle società ai temi Esg che ne rende molte superflue. «In alcuni casi, abbiamo constatato che, sebbene una proposta sollevasse un rischio rilevante per la società in questione, il consiglio di amministrazione aveva già dimostrato un’adeguata supervisione del rischio e ne aveva dato prova attraverso una solida informativa o aveva adottato pratiche che soddisfacevano sostanzialmente la richiesta della proposta», ha dichiarato Vanguard. Insomma, secondo la società basata in Pennsylvania, molti cda adottano pratiche e comunicazioni che anticipano quelle che sono le segnalazioni degli azionisti. Di certo, parliamo delle strategie di due colossi che, insieme, sfiorano i 20.000 miliardi di dollari in gestione a livello globale. Le loro decisioni fanno da bussola all’intero settore e se decidono di ridurre del loro impegno sul fronte della tutela degli aspetti ambientali, sociali e di buona governance aziendale, è prevedibile che anche il resto del mercato seguirà la stessa strada. Bisogna comunque ricordare che Vanguard e Blackrock sono finite nel mirino dei repubblicani che le accusano di portare avanti una cultura «woke» che si scontra con il capitalismo americano. Ma sono state anche criticate dagli ambientalisti. Lo scorso 28 luglio aveva ad esempio fatto molto discutere la decisione di Blackrock di nominare l’amministratore delegato del colosso petrolifero Aramco, Amin Nasser, nel suo cda. Come Blackrock, Vanguard non ha spiegato come le critiche possano aver influenzato i voti di quest’anno, ma ha assicurato che il suo approccio alla valutazione delle proposte degli azionisti «è stato coerente nel tempo».La retromarcia della finanza green, arrivata a valere decine di trilioni di dollari, dovrebbe farci riflettere. Così come ci aveva fatto chiedere, ai tempi del circo mediatico collegato a figure come Greta, quali interessi ci fossero attorno alla spinta sugli investimenti «sostenibili». Oltre un decennio di quantitave easing ha prodotto enormi masse finanziarie con rendimenti e tassi pari a zero o negativi. All’inizio del 2020, il mercato registrava una massa di obbligazioni con rendimento negativo pari a 13.000 miliardi di dollari. E si trattava soltanto di bond, a cui andavano aggiunti altri fondi e diverse tipologie di investimenti. Il Qe iniziato nel 2008 negli Usa e adottato in Europa per uscire dalla crisi ha prodotto una enorme bolla di denaro che non rende. Serviva trovare la possibilità di allocarla su altri asset agli occhi dei mercati appetibili e redditizi. Sono nati così i grandi flussi di investimenti cosiddetti Esg. Alimentati da anni di storytelling, marketing e allarmi climatici che creano panico ma anche nuove tendenze. E più si spinge il piede sull’acceleratore dell’ambiente più si trovano investitori disposti a metterci i soldi, facendoli migrare dalla bolla dei rendimenti negativi verso isole green ed ecologiche costruite dagli stessi gestori o banche d’affari che devono uscire dall’impasse. Ora, però, che l’epoca del «Whatever it takes» con cui le banche centrali portarono i tassi sotto zero e resero negativi i rendimenti di 18 mila miliardi di dollari in bond è finita, scatta il contrordine compagni. Perché il vero «verde» che interessa è sempre quello dei dollari.
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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