Studio su «Nature» mostra che la carica virale dei renitenti al siero è pressoché uguale rispetto agli inoculati. A registrare i livelli più bassi d’infettività sono i guariti, per ben 18 mesi. Eppure dopo tre tornavano sospesi.
Studio su «Nature» mostra che la carica virale dei renitenti al siero è pressoché uguale rispetto agli inoculati. A registrare i livelli più bassi d’infettività sono i guariti, per ben 18 mesi. Eppure dopo tre tornavano sospesi.Dice il «competente» un tanto al chilo - e la Regione Lombardia, come l’Emilia Romagna, lo seguono a ruota: i medici non vaccinati vanno tenuti lontani dai pazienti fragili, perché rischiano di infettarli. Sì, magari il vaccino non sarà formidabile nel bloccare la trasmissione del Covid. Però riduce la carica virale in chi si ammala, il che rende meno probabile che costui diffonda il Sars-Cov-2. Gli esperti da talk show che usano questo argomento dovrebbero dare una letta a uno studio israeliano, appena uscito su Nature Communications. Gli autori hanno esaminato il valore Ct nei referti dei tamponi molecolari di soggetti mai inoculati, o vaccinati a vario titolo. Il valore Ct indica il numero di cicli necessari in un Pcr per individuare il materiale genetico del coronavirus. Più è alto il valore Ct, cioè più fatica si fa a trovare il genoma del patogeno nel campione, più è bassa la carica virale nell’individuo. Che avrà meno chance di contagiare gli altri. I risultati dell’analisi parlano chiaro. Già in concomitanza con lo scenario Delta, si vedeva che il valore Ct dei vaccinati con due dosi calava repentinamente, diventando inferiore a quello dei non vaccinati entro poco più di due mesi dalla seconda puntura. Cosa significa? Che la tesi dei talebani dell’mRna rimaneva vera solo per un brevissimo lasso di tempo. Il «privilegio» dei vaccinati durava poco, finché il confronto con i no vax volgeva a loro sfavore. Soluzione? La terza dose. Sfortunatamente, pure il richiamo ha mostrato grossi limiti: a 70 giorni dallo shot, il valore Ct era solo poco più alto di quello riscontrato nei renitenti. Ed era molto minore di quello dei guariti, che a sua volta superava quello dei vaccinati con due dosi di recente. Tutte osservazioni rafforzate dall’indagine sullo scenario Omicron. Nel quale, semmai, le differenze tra le varie categorie si sono assottigliate ulteriormente, come si vede dalla tabella che pubblichiamo in questa pagina. A dieci giorni dalla seconda dose, il valore Ct dei bidosati era quasi uguale a quello dei no vax. Il booster migliorava la situazione, ma il tappo era effimero: a 40 giorni, i livelli diventavano paragonabili a quelli dei refrattari all’iniezione - e financo inferiori ai loro, dopo il settantesimo giorno dal richiamo. Pure in questo caso, i guariti sembravano i meglio attrezzati. E godrebbero di un jolly: gli scienziati che hanno vergato il paper notano che sia con la variante Delta, sia con la variante Omicron, in loro, «i livelli di carica virale rimangono bassi ben oltre i 18 mesi». E restano inferiori a quelli di chi sceglie di non porgere il braccio anche per periodi più lunghi.In Italia, intanto, cos’è successo? L’obbligo vaccinale per i sanitari era stato introdotto ad aprile 2021. Meno di tre mesi dopo, era già dominante il ceppo indiano. A quel punto, non solo lo schermo immunitario offerto dagli antidoti si era parecchio indebolito, ma la carica virale del vaccinato infetto, stando alle rilevazioni israeliane, doveva essere identica, se non maggiore, a quella del non vaccinato con il Covid. Tanto più che il personale degli ospedali era stato tra i primi a sottoporsi alle dosi. Dopodiché, a dicembre 2021, era diventata dominante la variante sudafricana. In quel periodo, dottori e infermieri avevano ricevuto o stavano ricevendo la terza dose, sufficiente appena per scavallare i picchi invernali. Ovviamente, solo in termini di carica virale degli infetti. La protezione dal contagio, infatti, era destinata quasi ad annullarsi, come è facile evincere dai report dell’Iss. L’efficacia dei farmaci di Pfizer & c. stava diventando negativa. Quando, a fine marzo 2022, l’obbligo vaccinale è stato prorogato fino al 31 dicembre, avevamo davanti la combinazione peggiore: la comparsa di sottovarianti ancora più capaci di eludere l’immunità dei vaccinati; e il totale annullamento delle differenze tra le cariche virali, cioè tra le capacità infettanti, di inoculati e renitenti. Nel mentre, una buona parte dei camici bianchi allontanati dalle corsie aveva contratto il Covid. I guariti venivano riammessi a lavoro, certo. Ma per tre mesi. Dopodiché, o si recavano all’hub, o venivano di nuovo privati di stipendio e dignità. È l’esempio perfetto del mondo al contrario in cui vive Roberto Speranza, l’uomo che si vantava di «seguire la scienza». L’ex assessore di Potenza, con il contributo dell’ex premier, Mario Draghi, ha tenuto in piedi un obbligo fondato sulle fake news («i vaccini proteggono dal contagio» e «i vaccinati hanno meno probabilità di infettare gli altri»). Inoltre, ha disposto la sospensione dei guariti, i quali rimangono meno infettanti per oltre un anno, preferendo loro i tridosati, che invece, dopo manco tre mesi dal booster, diventano tipo i no vax. Certo, sono meno esposti alle conseguenze gravi della malattia. Ma questo cosa c’entra, con il pericolo che rappresenterebbe, per i fragili, il sanitario che non ha porto il braccio? Ce lo spiegheranno i fenomeni del Consiglio regionale lombardo?
2025-09-14
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