2025-05-09
La Consulta salva l’addio all’abuso d’ufficio
La Corte boccia le questioni sollevate dalla Cassazione e da 13 giudici contro l’abrogazione del reato cancellato a luglio. Una legnata per Pd e M5s, che descrissero come un favore ai corrotti la decisione di Nordio, malgrado fosse ben vista pure da sindaci di sinistra.L’abrogazione dell’abuso d’ufficio non è incostituzionale: lo ha stabilito ieri la Consulta, al termine dell’udienza pubblica e dopo avere esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da 14 autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione. Innanzitutto, la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili solo le questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione, la cosiddetta Convenzione di Merida. Entrando quindi nel merito, i giudici costituzionali hanno dichiarato infondate le questioni di legittimità, stabilendo che dalla Convenzione di Merida non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale. Una bella legnata per il M5s, che sull’abrogazione dell’abuso di ufficio, approvata definitivamente dal Parlamento lo scorso 10 luglio con i voti a favore del centrodestra, Azione e Italia viva, aveva scatenato un’ondata di propaganda giustizialista: Da oggi l’Italia è un Paese più ingiusto. «Da oggi», aveva tuonato il giorno stesso dell’approvazione il leader del M5s, Giuseppe Conte, «i cittadini non potranno avere giustizia se qualcuno commetterà un abuso di potere truccando un concorso pubblico. Il governo Meloni e la sua maggioranza hanno cancellato il reato di abuso d’ufficio e ancora una volta hanno scelto di stare dalla parte dei potenti, voltando le spalle alle vittime dei soprusi. Lo Stato adesso dovrà cancellare, con tanto di scuse e inchino ai colpevoli, oltre 3.600 condanne definitive per abuso d’ufficio e i relativi effetti. Hanno fatto tutto questo», aveva aggiunto Conte, «nonostante gli allarmi degli esperti e dell’Unione europea, violando convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito». Una tesi completamente smontata dalla Corte costituzionale, quella di Conte. Il Pd aveva votato contro per decisione di Elly Schlein, che si era trovata di fronte, manco a dirlo, a un partito spaccato in due come una mela, con numerosissimi sindaci ed esponenti nazionali che erano favorevoli all’abrogazione. La Schlein aveva commentato la decisione con il consueto equilibrismo: «Sull’abuso d’ufficio», aveva detto la leader dei dem, «noi non siamo per l’abrogazione, siamo sicuramente disponibili al confronto su una riforma che possa delineare meglio la fattispecie ed evitare anche degli effetti distorsivi, però non l’abrogazione, perché si porrebbe anche in contrasto con gli impegni internazionali e la discussione sulla direttiva europea che si sta per approvare contro la corruzione che chiede a tutti gli Stati membri comunque di avere una simile fattispecie». Parole che cercavano di tenere buoni i favorevoli all’abrogazione del Pd pur cedendo all’ala giustizialista del partito. Ieri ha manifestato la sua soddisfazione il ministro della Giustizia, Carlo Nordio: «Esprimo la massima soddisfazione», ha detto il Guardasigilli, «per il contenuto del provvedimento della Corte costituzionale, che ha confermato quanto sostenuto a più riprese in ordine alla compatibilità dell’abrogazione del reato di abuso di ufficio con gli obblighi internazionali. Mi rammarica che parti della magistratura e delle opposizioni abbiano insinuato una volontà politica di opporsi agli obblighi derivanti dalla convenzione di Merida. Auspico», ha aggiunto il ministro, «che nel futuro cessino queste strumentalizzazioni, che non giovano all’immagine del nostro Paese e tanto meno all’efficacia dell’amministrazione della giustizia». Commento positivo anche quello di Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia e senatore di Forza Italia: «La Corte costituzionale», ha sottolineato Sisto, «sancisce un principio che governo e maggioranza avevano più volte rivendicato: la Convenzione di Merida non obbliga alla presenza nell’ordinamento giuridico del reato di abuso d’ufficio. Legittimamente, dunque, si è scelto di abrogare una fattispecie di reato molto gravosa nell’economia della giustizia, comportando oltre il 90% tra assoluzioni, archiviazioni e proscioglimenti, a fronte di danni gravissimi all’apparato amministrativo e, di conseguenza, ai cittadini. Per troppi anni», ha aggiunto Sisto, «la paura della firma ha paralizzato la mano dei decisori pubblici, bloccando scelte e decisioni. Senza dimenticare che il nostro bagaglio legislativo contiene in sé numerose armi per contrastare la corruzione. Il principio di fondo che abbiamo voluto affermare, in virtù di una riflessione ispirata da competenze ed equilibrio, è dunque legittimo, e oggi ne abbiamo la più autorevole delle conferme». Definisce l’abrogazione dell’abuso di ufficio un «provvedimento fortemente inopportuno e sbagliato» invece Alfredo Bazoli, vicepresidente del gruppo Pd al Senato..
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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