2022-05-05
Consulenze d’oro di Banca Etruria. Chiesto un anno per babbo Boschi
Il reato contestato a 14 imputati è bancarotta colposa. Sentenza attesa a fine mese.Per le consulenze d’oro che avrebbero aggravato le condizioni di salute di Banca Etruria, andata a gambe all’aria nel 2015, la Procura di Arezzo ha chiesto la condanna di quasi tutti i membri dell’ultimo Consiglio d’amministrazione, compreso Pier Luigi Boschi. Per babbo Boschi, ex vicepresidente e padre dell’ex ministro Maria Elena (attuale capogruppo di Italia viva alla Camera), per Luciano Nataloni, a capo del Comitato controllo e rischi, per Claudia Bugno, membro del cda (è stata anche consigliere del ministro del Mef, Giovanni Tria) e Luigi Nannipieri, anche lui nel cda (ex del Monte dei Paschi di Siena), c’è la richiesta più alta: la pena di 1 anno di reclusione. Per gli altri imputati le richieste variano dagli 8 mesi per Daniele Cabiati, Carlo Catanossi ed Emanuele Cuccaro ai 9 mesi per Alessandro Benocci, Claudia Bonollo, Giovanni Grazzini, Anna Lapini, Alessandro Liberatori e Ilaria Tosti e ai 10 mesi per Claudio Salini.Sotto la lente della Procura erano finiti 4,3 milioni di incarichi ritenuti in gran parte «inutili» o «ripetitivi» e affidati dall’ultimo cda con una condotta definita «imprudente». I vertici della banca, poi, «non avrebbero vigilato». E i costi sarebbero stati tali, hanno ritenuto i magistrati, da infliggere un duro colpo ai bilanci già precari dell’istituto di credito aretino. Le pratiche riguardavano tutte il progetto di fusione con un istituto di «elevato standing», la Popolare Vicenza. Dal fronte difensivo, invece, affermano che le consulenze erano necessarie e che la solidità di Etruria non era stata ancora messa in discussione. Le indagini, per bancarotta colposa, sono state chiuse nel giugno 2019. Uno dei capi d’accusa chiama in causa più di altri babbo Boschi e riguarda i contratti con la società milanese Bain & co. per 2 milioni in tutto. In particolare si fa riferimento a una «delibera senza data avente a oggetto l’incarico di «sviluppare i risultati commerciali e creditizi» a fronte della quale veniva corrisposta la somma complessiva di euro 389.180 (spalmata su due distinte fatture) delibera che veniva adottata «fuori procedura» e senza un numero di regolare protocollazione. Somme, poi, effettivamente corrisposte nonostante che la Bain & co. non avesse provveduto ad alcuna elaborazione del nuovo Piano industriale (…) e quanto, alla ulteriore attività, non avesse prodotto alcuna documentazione attestante le prestazioni rese, bensì mere slide di natura illustrativa».Nel dicembre 2017 La Verità aveva anticipato questo filone investigativo, raccontando di un pizzino con il nome di Pier Luigi Boschi sequestrato dalla Guardia di finanza durante le indagini. Su una proposta di delibera che il direttore generale (in quel momento il dimissionario Luca Bronchi) mandò al cda per il pagamento di 2 fatture di circa 400.000 euro di importo totale c’era l’annotazione manoscritta: «Non inserita in procedura come da accordi con Boschi e Cuccaro (Emanuele Cuccaro, ex vicedirettore, ndr)». Non si sa chi abbia scritto la nota a margine, ma il senso era: va pagata per ordine di Boschi e Cuccaro (all’epoca vice direttore generale e per alcuni mesi sostituto dello stesso Bronchi) anche se non rispetta le procedure interne. E Boschi senior rischia una condanna anche per quel pizzino. La sentenza è attesa per la fine di maggio.