2021-02-23
Fanno finta di condannare il prof che dice «scrofa» poi ci trattano come maiali
Giorgia Meloni e Giovanni Gozzini (Ansa)
Sospeso Giovanni Gozzini per gli insulti a Giorgia Meloni. L'accademico non è un caso isolato, bensì il prodotto di una cultura che sistematicamente discrimina la destra.Qualcuno è riuscito persino a dire la verità. Ovviamente lo ha fatto per distinguersi, per suscitare ulteriore polemica e scroccare un po' di pubblicità. Però l'ha detta, e così facendo è riuscito a evitare la melassa veltroniana, i discorsi stomachevoli sulla necessità di «odiare l'odio», e le tirate nauseanti sul sessismo. Non possiamo dire che chi ha rifiutato di esprimere solidarietà a Giorgia Meloni sia più onesto, questo no. In qualche modo, però, chi rivendica il disprezzo ci aiuta a capire meglio, con più chiarezza, che cosa sia davvero la sinistra italiana. Gli altri -quelli che hanno pubblicato messaggini sui social network fingendo commozione, quelli che hanno firmato editoriali laccati di disgusto con tre giorni di ritardo - si sono rifugiati come al solito dietro l'ipocrisia. Giovanni Gozzini - l'uomo che si è rivolto alla presidente di Fratelli d'Italia chiamandola «scrofa, vacca» e simili - non è, come si dice in altri ambiti, un «lupo solitario». È un compagno che ha ecceduto. È il prodotto appena più trasparente di una cultura politica che sistematicamente discrimina, disprezza, svaluta e censura. Non è sessista, perché a una donna di sinistra mai avrebbe rivolto certe offese. Non ha esagerato: ha solamente detto ciò che pensa. Soprattutto, ha detto ciò che pensano in tanti, non solo nei peggiori bar di Caracas, ma nelle Università, nei giornali, in tutto il «bel mondo» della cultura. Il problema non è Gozzini in sé, ma il Gozzini che si annida dentro la stragrande maggioranza della sinistra istituzionale. L'Università di Siena ha stabilito ieri la «sospensione immediata da funzioni e stipendio» del professore insultatore, in attesa di stabilire quali sanzioni disciplinari applicare. È una cosa buona e giusta, che però non toglierà di mezzo la superiorità morale, non eliminerà il razzismo intellettuale. Il punto non è che si debba abolire l'odio, come sostiene Walter Veltroni. L'odio è un sentimento, non si può cancellare, al massimo si può reprimere o controllare in modo che non si tramuti in violenza. Il punto è riconoscere che esiste una forma specifica di odio riguardante la destra, o comunque tutto ciò che non rientra nei confini della sinistra. Esistono categorie sociali sostanzialmente intoccabili, che non possono nemmeno essere criticate. Altre categorie, invece, possono essere continuamente e pubblicamente disprezzate con l'approvazione di una bella fetta di politici, intellettuali e giornalisti. Fra pochi giorni uscirà nelle librerie italiane il pamphlet della femminista francese Pauline Harmange intitolato Odio gli uomini. A parte il fatto che un maschio avrebbe difficoltà a pubblicare un manoscritto intitolato Odio le donne, non si può dire che la Harmange odi tutti gli uomini. Lei odia gli esponenti del patriarcato, cioè i maschi-bianchi-conservatori-privilegiati. Gli uomini «di destra»: quelli sì che si possono odiare. Ugualmente si possono odiare le donne di destra come Giorgia Meloni. E guai a sfiorare le minoranze, ma i bianchi... Già: i bianchi si possono, anzi si devono discriminare (lo teorizza apertamente l'americano Ibram X. Kendi in un saggio appena edito da Mondadori). Ecco il nodo della questione. Sono in troppi, a sinistra, a pensarla come Goffredo Bettini, a ritenere cioè che la destra debba essere «civilizzata». Sono in troppi a pensare - come ebbe a sostenere lo psicoanalista Massimo Recalcati - che il sovranismo sia una malattia psichica (il che rende i sovranisti dei malati di mente). Nel corso degli anni abbiamo sentito aberrazioni di ogni tipo. C'era Gilberto Corbellini, stimato scienziato del Cnr, che suggeriva di somministrare ossitocina ai destrorsi per renderli più favorevoli all'accoglienza. C'è lo storico Eric Gobetti che si fa le foto vicino alle statue di Tito e, pubblicato da una grande casa editrice, può svilire il dramma delle foibe perché ritiene che appartenga alla memoria della destra. Poi ci sono i casi di doppiopesismo. Piccolo esempio? L'associazione di giornaliste progressiste chiamata Giulia, nota da tempo per le battaglie sul linguaggio politicamente corretto, ha appena pubblicato un libro intitolato #Staizitta giornalista!, che mira a mostrare quanto siano diffuse «denigrazione e misoginia» nei riguardi delle professioniste di orientamento dem. Il volume viene presentato in pompa magna da esponenti del Pd, della Federazione nazionale della stampa, dalla commissaria dell'Agcom Elisa Giomi. Chiaro, per gli insulti via Web alle croniste democratiche si mobilitano le autorità. Ma non c'è istituzione che fiati quando il giornalista «antifascista» del noto giornale «democratico» invoca la censura di un libro pubblicato dalla «casa editrice fascista». Nessuno si scandalizza nemmeno quando si scopre che il suddetto giornalista non ha mai letto né preso in mano il volume di cui pretende il rogo, tanto che, citandolo, ne sbaglia persino l'editore.Restiamo un attimo nell'ambito editoriale, perché è lì che troviamo forme estremamente raffinate di discriminazione. Il prestigioso marchio Laterza, per dire, ha appena pubblicato un libro della filosofa Claudia Bianchi intitolato Hate speech, e dedicato proprio ai «discorsi di odio». Sfogliandolo, si apprende che l'odio va in una direzione sola, da destra verso sinistra. Funziona sempre così: la destra ha il monopolio dell'odio, quindi odiarla magari è poco elegante, ma in fondo è giusto. Visto? Abbiamo citato scrittori, giornalisti, filosofi, scienziati, professori di fama. Tutti. più o meno educatamente, battono sullo stesso tasto: la destra è inferiore, impresentabile, inaccettabile, meritevole di censura. Questo è l'atteggiamento prevalente fra i progressisti. Possono anche fingere di scandalizzarsi perché un pirla usa la parola «scrofa», ma continueranno sempre a trattarci come maiali.