
A guasti e surriscaldamenti si somma pure l’inadeguatezza di solare ed eolico.Ci risiamo, è tornato il grande caldo e diventa la causa di ogni evento negativo ma, soprattutto, quella dei continui blackout elettrici. Bergamo nei primi due giorni di luglio, Milano ieri, con addirittura coinvolta la metropolitana che per qualche ora ha funzionato a singhiozzo. La memoria recente ci riporta al grande blackout spagnolo di fine aprile ma anche all’avvertenza dei tecnici sulle caratteristiche dell’energia rinnovabile, in primis che non può essere costante se affidata a sole e vento. Di conseguenza, ai possibili disastri di una transizione green imposta con i tempi dell’ideologia e non con quelli dell’evoluzione tecnologica. Squillano i telefonini, sono gli allarmi anti intrusione domestici che segnalano mancanza di alimentazione, arrivano le notifiche delle app delle società di trasporto pubblico e di distribuzione dell’energia che avvisano dei disagi. La rete fa quello che può: l’energia elettrica in forma di corrente alternata, non si può conservare, bisogna produrla e utilizzarla, ma è ancora l’unica tecnologia in grado di alimentare grandi territori, densi di utenze. Non si può stivare nelle batterie, dunque c’è poco da fare, in talune parti del Paese la densità di abitanti e di attività è tale che occorre produrre più energia. Il caldo non soltanto rende insofferenti le persone che cercano sollievo con i climatizzatori, ma il calore è esso stesso una forma d’energia (la meno mobile) e qualsiasi apparato elettrico in funzione ne genera una certa quantità. Questa è energia del tutto sprecata che spesso si somma a quella generata dall’insolazione causando avarie. E se con una nuova produzione da fonte nucleare miglioreremo la situazione in termini di minor costo e maggiore quantità di energia disponibile, le altre questioni da risolvere, cioè le cause dei surriscaldamenti, sono più complesse. C’è una sigla da conoscere: Lole, in inglese Loss of load expectation, che in italiano rappresenta l’indice di adeguatezza delle reti. Alle richieste di maggiore potenza, ma anche al cambio di tecnologie e fonti imposto dalla transizione verde, indica la probabilità di perdita dell’energia, le ore giornaliere stimate in cui si potrebbe verificare un’interruzione nell’erogazione. Terna, che di reti se ne intende, nel suo rapporto 2023 sosteneva che il sistema elettrico italiano risultava mediamente adeguato e non necessitava di nuova capacità. Ma anche che rimanevano dei rischi legati alla chiusura e dismissione di impianti termoelettrici per insostenibilità economica. Le analisi di Terna sul lungo periodo consideravano ulteriori dismissioni della produzione da fonte termoelettrica dovuta alla possibile riduzione dei ricavi nei mercati dell’energia. Lo stesso rapporto indicava che l’Italia avrebbe avuto un Lole superiore a 100 ore annue di discontinuità, escluse le grandi isole dove tale dato sarebbe stato inferiore.C’è poi la fisica ignorata a Bruxelles: le temperature elevate provocano l’espansione dei materiali metallici e tra questi quelli scelti come conduttori, come il rame che troviamo nei cavi. Le dilatazioni causano tensioni meccaniche e queste ultime generano problemi tecnici, interruzioni e danni alle connessioni tra apparati e cavi stessi. Le infrastrutture elettriche più datate, proprio perché hanno subito anni di questi cicli di caldo-freddo, sono più vulnerabili rendendo più probabili i blackout. Ci sono poi danneggiamenti provocati da eventi severi come allagamenti o fulminazioni. L’acqua è un conduttore d’energia elettrica e un quadro elettrico alluvionato è senza dubbio un apparato nel quale persistono corto circuiti. Il surriscaldamento di parti elettriche può generare deformazioni delle strutture plastiche attigue e provocare incendi, così come la mancanza di chiusure tenaci delle cabine di distribuzione e allacciamento consente a piccoli animali di entrare. Una banale crepa nella copertura plastica di un apparato è un punto d’intrusione per piccoli rettili, acqua e detriti. Scoiattoli, roditori o piccoli mammiferi si arrampicano sui pali ed entrano nelle cabine elettriche, toccano i conduttori nei punti non isolati e muoiono folgorati causando altri danni. È l’estate. Gli uccelli rapaci possono danneggiare i cavi elettrici e le strutture; i cinghiali sovente rosicchiano le condutture. Infine ci sono gli atti di vandalismo, come il danneggiamento delle strutture esterne delle cabine elettriche. Diventano quindi sempre più frequenti e costose le ispezioni da fare per individuare e riparare tempestivamente eventuali danni causati da umani come dalla fauna selvatica, ed è fondamentale anche controllare le colonie animali attraverso il loro contenimento. Tutto ciò fa i conti con i costi e a pugni con l’ideologia. Se si proibisce lo spostamento di una colonia felina, non ci si deve meravigliare se poi gli animali fanno danni. Per legge europea la produzione di apparati elettrici ed elettronici deve essere fatta con materiali non tossici e con processi non inquinanti. Ciò comporta che in alcuni casi la durata media di tali prodotti si sia ridotta aumentando la necessità di prevenzione e manutenzione. Se la rete elettrica è gestita da privati, questi possono essere ritenuti responsabili, costringendoli a maggiori spese. Morale: i costi non aumentano soltanto per la produzione, abbiamo intrapreso la strada della transizione green troppo in fretta e le conseguenze si leggono nelle bollette.
        John Grisham (Ansa)
    
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
        Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
    
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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