
- L'imprenditore Giambattista Tirelli, che produce e commercializza marchi come Fisico e Rick Owens: «Siamo passati da abiti di cashmere per pochi a un brand apprezzato in tutto il mondo per la sua qualità italiana. Andiamo bene in Giappone, Russia e Stati Uniti».
- La moda per il prossimo autunno/inverno arriva a Parigi, in barba all'allarme coronavirus.
Lo speciale contiene due articoli e gallery fotografiche
È una storia romantica. Che parte da un matrimonio d'amore e attraversa una vita di successi. Sempre insieme. Giambattista e Mirta Tirelli sono la coppia d'oro di Olmar and Mirta, società che ha creato, prodotto e distribuito negli anni le collezioni di Maurizio Pecoraro, Rick Owens, Gareth Pugh, Gentryportofino, Uma Wang e Fisico, ma anche molti altri. Se lui è il braccio che si occupa di numeri e strategie, lei è la mente creativa sempre accesa su modernità e capi all'avanguardia. Un orgoglio mantovano che prese il via negli anni Settanta e continua il suo cammino con il vento in poppa. Non solo marchi di successo, noti al grande pubblico, ma nomi quasi nascosti, qualità artigianale portata su scala industriale e messa a disposizione dei creativi di tutto il mondo «che spesso vengono da noi quando vogliono produrre creazioni di assoluta eccellenza. Una ricchezza che ci rende unici», racconta Giambattista Tirelli alla Verità.
Come siete arrivati a occuparvi di moda?
«Ero un agente per il Consorzio agrario di Mantova. Mirta e io decidemmo di sposarci, lei faceva già la modellista e la stilista per un'azienda. Ma mi sembrava un mestiere inutile e le dissi di smetterla e di venire a lavorare con me in agenzia. Mentre aspettava il primo figlio, di nascosto, faceva delle camicie che vendeva, aveva trovato anche un rappresentante. Dopo un anno e mezzo era in attesa del secondo figlio e smise di lavorare definitivamente per il Consorzio, dove era rimasta circa un anno. Ma la moda ce l'aveva nel cuore e allora le organizzai un laboratorio a Quistello, un paese in provincia di Mantova. E le costruii un piccolo marchio, Creazioni Mirta, prendendo qualche persona a lavorare con lei. Mia moglie è sempre stata una creatrice molto brava».
Dal piccolo marchio ne avete fatta di strada.
«Nel 1997 è andata in crisi la Olmar di Concordia, nella bassa modenese, un'impresa famosa per il conformato, le cosiddette taglie forti. Compro il fallimento con 25/30 persone. E inizio a interessarmi per fare delle licenze. La prima con Maurizio Pecoraro e poi continuo per altri brand, alcuni fanno fortuna, altri meno e poi vado a incappare in Rick Owens che esplode: così nasce tutto».
Owens, californiano, è considerato uno dei più grandi stilisti d'avanguardia del mondo, amato da attrici e rockstar. Si può dire sia anche un po' italiano?
«Quando è scaduta la licenza avuta per 15 anni, erano interessati ad acquistarlo molti investitori internazionali. Ma con Owens abbiamo costituito una società, la Owens corps Italia tra lo stilista, Elsa Lanzo, Luca Ruggeri e la mia società Olmar and Mirta, con varie sedi sul territorio e a Parigi, dove lui abita. Però ha anche un appartamento a Concordia sulla Secchia dove c'è l'azienda, dislocata pure a San Giacomo delle Segnate. Sono nel triangolo tra il Lombardo Veneto e gli Stati controllati dal Papa».
Ma la Olmar and Mirta si occupa anche di altri brand.
«Esatto, produce e gestisce a Quistello dove abbiamo anche rilevato la Christies, azienda in crisi che faceva corsetteria. Avendo un'impresa organizzata sui costumi, il know how l'ho trasferito su Fisico, marchio che ho acquistato nel 2016. Abbiamo negozi di Fisico monomarca a Torino, Saint Tropez e Porto Rotondo».
E non finisce qui.
«Ho una licenza con la cinese Uma Wang, una stilista importante che sfila a Parigi e viene prodotta in Italia dalla mia società. Il 40% del fatturato viene venduto in Cina, il resto in tutto il mondo con il made in Italy».
E si arriva a Gentryportofino, marchio nato a Genova nel 1974 dalla brillante intuizione di Camillo Bertelli, acquisito nel 2011.
«Gentryportofino fino agli anni Ottanta e Novanta era una marchio molto importante, acquistato nel 2000 dalla Ittierre di Bologna insieme a Malo, altro marchio di cashmere. In un momento di crisi la Ittierre lo vende a un maglificio di Concordia che produce anche altri marchi ma purtroppo anche questo fallisce e io acquisto dal curatore il brand e pure il maglificio. Purtroppo è arrivato il terremoto a Concordia e tutto si è fermato. Dopo diversi mesi, quando si è potuto riprendere in mano il progetto, ho spostato l'attività del maglificio a San Giacomo delle Segnate dove avevo da poco rilevato un'azienda con un'ottantina di dipendenti dove si trovano la logistica, il controllo qualità e la commercializzazione di Rick Owens. Vogliamo riprendere il cammino interrotto ridando slancio alle grandi potenzialità del marchio, che oggi conta su cinque negozi monomarca in Italia e su ottime performance in mercati come Giappone, Russia e Stati Uniti».
Oltre all'alta qualità, il valore aggiunto è dato dall'estro creativo di sua moglie Mirta e da Matteo Smaniotto.
«Insieme hanno creato un prodotto di altissima qualità, sempre più contemporaneo nello stile e nel design. Il frutto del rinnovamento è rappresentato dalle collezioni che via via si sono susseguite e il cammino prosegue con quella del prossimo inverno. Gentryportofino ha iniziato un percorso di forte innovazione da cashmere brand, inteso come materiale di lusso, a brand globale, portavoce dell'artigianalità made in Italy, capace di mantenere saldi i valori che da sempre lo caratterizzano - qualità, artigianalità e sperimentazione - interpretandoli in chiave attuale con un design essenziale ed elegante».
La settimana della moda parigina
In tempi di coronavirus, la Parigi della moda continua la sua settimana dedicata alle presentazioni per il prossimo inverno. Dopo New York passata totalmente indenne, Milano colpita negli ultimi due giorni con le sfilate di Giorgio Armani, Laura Biagiotti e Moncler a porte chiuse, la Ville Lumiere, non avendo ancora casi accertati, ha dato il via alla kermesse. Tra i nomi di grido, ha aperto Dior il 25 febbraio e chiuderanno Chanel, Luis Vuitton, Miu Miu e Lacoste il 3 marzo.
La sfilata di Dior disegnata dalla bravissima Maria Grazia Chiuri è stata un inno al femminismo e in particolare a Carla Lanzi critica d'arte fiorentina che visse intensamente le rivolte ideali degli anni Settanta. Periodo storico che decretava anche una moda di grande eleganza, di charme e di avanguardia. Le modelle hanno sfilato alle Tuileries tra l'installazione del collettivo Claire Fontaine e un tappeto di fogli di giornale Le Monde, che fanno da richiamo all'attualità della vita oltre che del fashion. Poi le scritte al neon, tutte in inglese, con tante frasi tratte dai volumi di Carla Lonzi, come «Quando le donne scioperano il mondo si ferma», «Le donne sono la luna che muove le maree», «Consenso», «Siamo tutte donne clitoridee». In prima fila Demi Moore, Cara Delevingne e altri nomi dello stesso calibro.«Questa collezione è un diario visivo, ho voluto mettere nello show i riferimenti della mia memoria a quel 1978 cruciale per me, ancora adolescente. Ho rivisto le foto di famiglia e quelle di quegli anni e oggi le ho riviste con occhi diversi». Sulle musiche di Morricone, Lucio Battisti e un finale a sorpresa con Mina che canta Se telefonando, hanno sfilato i tradizionali capi check che si alternano a trasparenze, frange e bandana che, senza dubbio, uno degli accessori must.Il mix and match regna sovrano così come i tailleur dal taglio maschile e le giacche avvitate da abbinare a fantasiose gonne a spacchi e frange preziose, pantaloni svasati in stile Seventies. «Questa collezione è un diario visivo - ha spiegato Maria Grazia Chiuri - ho voluto mettere nello show i riferimenti della mia memoria a quel 1978 cruciale per me, ancora adolescente. Ho rivisto le foto di famiglia e quelle di quegli anni e oggi le ho riviste con occhi diversi. Mi sono ispirata al manifesto femminista di Carla Lonzi per questo defilé e sono felice che il 23 marzo si inaugurerà una mostra, I Say I ispirata al suo pensiero alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, celebrazione della potente affermazione di sé che è stata il femminismo, anche per le relazioni tra donne».
Jonathan Anderson, dal 2013 direttore creativo di Loewe, marchio spagnolo nato nell'alta pelletteria e nel portafoglio del Gruppo Lvmh, ha presentato forme austere ed esagerate che ogni volta conquistano il pubblico per la loro unicità. «Stavolta mi sono ispirato al Giappone e alla sua cultura» racconta Jonathan Anderson che ha inserito negli abiti e negli accessori dei pezzi di ceramica dell'artista Takuro Kuwata. E alle forme giapponese si ispirano le grandi maniche di certi vestiti, i colletti scultura, i pantaloni legati all'orlo, i pantaloni che ai lati sembrano avere le ali. Magnifiche le scarpe che ti vorresti subito mettere col fiore sul cinturino, belli i secchielli color cuoio, le ampiezze esagerate delle gonne che sfiorano terra. Nessun gioiello addosso alle modelle per non rompere l'incanto/incantesimo di Loewe. I volumi sono estremi, sospesi, cascanti e minuziosamente studiati. Maniche rigonfie. Scollature rialzate. Colletti scultorei. Corpetti lisci ed esplosioni di volume nei drappeggi. E all'improvviso, l'isteria di un copricapo piumato.
La collezione autunno inverno 2020-2021 di Chloé, firmata dal direttore creativo Natacha Ramsay-Levi, rivendica il suo spirito libero mixando con sapienza l'invito fatto a tre personalità di fama mondiale a partecipare al fashion show: Rita Ackermann, l'americana-ungherese famosa per i lavori di corpi astratti, Marianne Faithfull, cantante e attrice britannica, e Marion Verboom, la scultrice di Nantes. Tre donne differenti, scelte dalla stilista per regalare una visione diversa e unica per capi rigorosamente femminili. «Non sono una stilista a cui piace lavorare da sola - ha spiegato Natacha Ramsay-Levi subito prima della sfilata - Naturalmente, ci sono momenti di solitudine per schiarirmi le idee, ma la mia ispirazione arriva spesso dal lavoro creativo di un team. Ecco perché ho chiesto a questo trio di donne di accompagnarmi in questo momento importante». In passerella, una palette colori che ai classici marroni e nero affianca pennellate di verde e albicocca, fino al rosso laccato e giallo cadmio. Le silhouette sono seducenti ma anche impalpabili come nei drappeggi e negli intarsi degli abiti degli abiti lunghi. Ma fanno bella mostra di sé anche i dipinti di Rita Ackermann che sono riprodotti su alcuni capi e su una selezione di accessori, tra cui borse e gioielli.
Sono uomini e donne sempre in viaggio, quelli immaginati per Kenzo da Felipe Oliveira Baptista. Dopo otto anni in Lacoste, lo stilista prende il testimone da Carol Lim e Humberto Leon alla direzione creativa del marchio - fondato da Kenzo Takada nel 1970 - declinando nell'abbigliamento e negli accessori il tema del nomadismo, in un momento storico in cui si tende invece a chiudersi e a respingere il diverso. Gli outfit sono protettivi, avvolgenti, a volte reversibili e non manca il piumino che si può trasformare in sacco a pelo. «In questa collezione ho voluto abbinare i concetti di comfort e poesia», spiega il designer. Oliveira Baptista gioca su sovrapposizioni e ampiezze, alternando modelli monocromatici - con il nero, il grigio e il blu fra le tonalità dominanti - con esplosioni di colore e fantasia nei capi-tavolozza legati al dna della griffe: qui i grandi felini (in primis la tigre, da sempre simbolo di Kenzo) diventano motivi grafici d'impatto, realizzati insieme all'artista Julio Pomar, mentre su mantelle, caban e maxi gilet irrompono fiori sgargianti e il verde intenso della giungla. Tra gli accessori, i marsupi in pelle con tre scomparti di diverse dimensioni si dividono la scena con le capienti borse da portare a mano e i cappelli, studiati per proteggere da pioggia e intemperie. Fatte per camminare a lungo le calzature, mentre un must have è la borraccia.
Per la sua ultima collezione alla direzione creativa di Rochas, Alessandro Dell'Acqua rielabora dagli archivi alcuni dei capi più rappresentativi del marchio, in modo da legare in un continuo richiamo il passato e il presente. La sua è una donna austera ma femminile, che mescola per gioco il guardaroba maschile e femminile, concedendosi anche qualche tocco sparkling con gli occhiali da sole pipistrello: accessori da cui la grande dame Hélène Rochas, moglie del celebre couturier, non si separava mai. Dell'Acqua riscopre il soprabito, il vestito in lurex e la camicia ricamata con strass dorati, anche nella variante maschile in lana e cachemire, oltre alla gonna a frange cosparsa di paillettes oppure a pieghe in vernice, leggera come un guanto. Per la sera non passa inosservato l'ampio cappotto voluminoso, dall'effetto grafico, che nasconde abiti realizzati in stoffe pregiate, prese in prestito dall'alta moda. Lo stilista sperimenta materiali inediti, come l'acetato nero per le frange e il cotone reciso, che sembra piuma, spingendosi fino al lurex cucito a punto pelliccia e lo shearling, trattato come fosse pelliccia vera.
















