Il Mef diffonde i dati di crescita (+7,9%) soprattutto per persone fisiche che cercano il risparmio fiscale. La produzione industriale resta positiva (+1%) nel trimestre, ma scende a marzo anche per colpa dell'ecotassa sulle auto che sta massacrando il settore.La flat tax o forfettario sulle partite Iva è stato oggetto di pesanti critiche. In tanti si sono scagliati sul provvedimento leghista (ispirato da Armando Siri) fatto inserire in manovra. Accuse? Favorirà l'evasione fiscale e non permetterà alcun tipo di emersione. «Tutte le partite Iva a forfait», è stato il coro di molti quotidiani, «ne inventeranno di tutti i colori per rimanere sotto la soglia dei 65.000 euro, quella che consente l'aliquota al 15%». Pregi del provvedimento? «Nessuno», è stata l'osservazione più frequente. Premesso che nessun tipo di provvedimento è esente dall'evasione fiscale, tanto meno il forfettario, a noi piace ricordare che le tasse non sono belle. E meno se ne pagano meglio è perché quei soldi rientrano in circolo nell'economia. Così ieri il ministero dell'Economia ha diffuso i primi dati dell'effetto flat tax entrata in vigore a Capodanno.A gennaio, febbraio e marzo sono state aperte 196.060 nuove partite Iva, il 7,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2018. Per essere precisi il 77% è stato aperto da persone fisiche, il 18,5% da società di capitali, il 3,5% da società di persone. Secondo l'Osservatorio del dipartimento finanze, rispetto al primo trimestre del 2018 vi è stato un notevole aumento di avviamenti per le persone fisiche (+14%), dovuto alle crescenti adesioni al regime forfetario, mentre le forme societarie presentano significativi cali: -17,2% per le società di persone e -8,5% per le società di capitali. Il Mef sottolinea che nel primo trimestre 104.456 soggetti hanno aderito al regime forfetario, pari a più della metà del totale delle nuove aperture (53,3%), con un aumento di adesioni di ben il 40% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Al di là dei semplici numeri significa che la metà delle nuove posizioni fiscali forfettarie sono emerse da realtà di grande precarietà o addirittura di nero. Un dato positivo che conferma un ragionamento molto semplice. Il taglio delle tasse impatta positivamente sull'economia e con il tempo sul Pil.È troppo presto per dirlo e per trarre le conclusioni sul concreto effetto sulla ricchezza e sul reddito da lavoro, speriamo solo che il prossimo anno l'allargamento del forfettario fino ai 100.000 euro (20% di aliquota) dia una seconda spallata. Purtroppo non si può non notare che questo governo ha a tempi alterni inserito nei vari provvedimenti economici novità che vanno in senso opposto e che impattano negativamente sui dati della produzioni industriale. Sempre ieri l'Istat ha diffuso i dati sul trimestre.Nonostante il calo della produzione dello 0,9% a marzo, i primi tre mesi del 2019 si chiudono con una crescita dell'1% rispetto ai tre mesi precedenti, la prima dal quarto trimestre 2017. «Tra i principali settori di attività solo per i beni strumentali si registra un incremento congiunturale a marzo, seppure lieve», specifica l'Istat, mentre i rimanenti comparti registrano tutti una dinamica negativa. Rispetto a marzo 2018, i dati corretti per gli effetti di calendario mostrano un calo dell'1,4%. Su quest'ultima percentuale l'opposizione ieri si è scatenata, sottolineando il rischio di recessione, soprattutto in confronto con gli stessi risultati portati a casa da Regno Unito e Germania. In realtà i dati vanno presi con le pinze. I valori di marzo sono appesantiti da un dato estremamente negativo e tutto relativo al comparto automotive. La produzione di auto è crollata del 14% circa e con il terzo mese dell'anno si è assistito all'effetto della famigerata ecotassa. Voluta a tutti i costi dai 5 stelle, prevede un'imposta sui motori a scoppio proporzionale alle emissioni e al tempo stesso un bonus sulle vetture elettriche. Meno inquinano più è alto il contributo pubblico. Con la differenza che la tassa tocca il 15% circa del mercato e gli incentivi solo lo 0,3. Una disparità che sta già dando i propri frutti anche se il peggio potrebbe verificarsi dopo l'estate. I dati primaverili delle immatricolazioni mostrano un boom, ma solo perché sono influenzati dalla corsa agli acquisti entro il 28 di febbraio (data dopo la quale è entrata in vigore l'ecotassa), acquisti che sono stati smaltiti nei due mesi successivi. Speriamo che la tassa sui motori a scoppio venga in qualche modo calmierata da futuri provvedimenti, altrimenti la produzione continuerà a risentirne. E ciò dimostra che la politica industriale non può essere schizofrenica. La Lega taglia le tasse e i grillini le alzano. I trend economici necessitano di stabilità. Altrimenti staremo sulle montagne russe.
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Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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