2024-10-03
Con Jaki la specie degli Agnelli si è involuta
Storicamente la Fiat ha dato tanto in termini di occupazione ma ha ricevuto di più. L’Avvocato ha sempre «preso» con stile: ciò che conviene al gruppo va bene all’Italia. Gli Elkann invece pretendono e snobbano il loro Paese. Con il silenzio dei sindacati.Anche per quel che resta della Fiat, Stellantis, valgono le ere geologiche o l’età della pietra. Solo che, in questo caso, invece di rappresentare un’evoluzione continua, per quel che rimane degli Agnelli si tratta, al contrario, di un’involuzione continua e inarrestabile. E badate bene, non si tratta solo di una questione economica, come è stata raccontata bene su questo giornale nei giorni scorsi da Camilla Conti e Tobia De Stefano, si tratta di una questione di galateo della famiglia Agnelli-Elkann nei confronti di un Paese che si meriterebbe maggiore rispetto. Chi c’è stato prima degli Elkann, questo tipo di atteggiamento, pure mescolato a una gran dose di ipocrisia, comunque aveva almeno mantenuto le forme. Ora neanche le forme: né sostanza né forme. Nulla per l’Italia.Quando sei parte di una storia nazionale - e la Fiat ne è stata parte importante per lungo tempo - non puoi, ad un tratto, come se tu fossi un marziano, non tenere più conto di questa storia e trattare l’Italia con l’eleganza di un elefante in un negozio di cristalleria. Né può pensare il giovane Elkann di fare il giro delle sette chiese a Roma, compreso il presidente della Repubblica, non si capisce bene a promettere cosa visto che, regolarmente, tutto quello che è stato promesso non è stato mai mantenuto. Da Mirafiori a Melfi, da Cassino ad Atessa (dove producono i vicoli commerciali) per arrivare a Pomigliano. Tanto per intenderci, sarebbe come se, a un certo punto, la Barilla o la Ferrero, marchi italiani d’eccellenza, cominciassero a smobilitare i siti produttivi italiani andando all’estero ma senza dirlo esplicitamente, tacendolo alla chetichella, considerando gli italiani una massa di scemi che non vedono e non capiscono. Le proporzioni sono le medesime. Non c’è dubbio che la Fiat abbia dato molto a questo Paese, sia in termini di ricchezza ma soprattutto in termini di occupazione. Ma non c’è altrettanto dubbio, per chi se lo fosse dimenticato, che la stessa Fiat molto ha preso dallo Stato italiano. Troppo. È noto che l’avvocato Gianni Agnelli avesse una preferenza spiccata a ricorrere al denaro pubblico per allargare l’azienda. Vari sono gli studi che lo dimostrano inconfutabilmente. Ne ricordo solo velocemente due. Uno studio del 2012 di Federcontribuenti dal quale si evinceva che dal 1975 ad oggi la Fiat aveva ottenuto dallo Stato italiano l’incredibile somma di 220 miliardi di euro di contributi pubblici. Oppure basterebbe ricordare quanto scritto da Milena Gabanelli e Rita Querzè e cioè che «Da fonte Inps vediamo per la prima volta i numeri esatti: fra il 2014 e il 2020 Fca ha ricevuto contributi per 446 milioni, dal 2021 ad aprile 2024 la cassa sale a 984 milioni di cui 280 a carico dell’azienda. Tirando le somme: 9 anni tra cassa integrazione, agevolazioni per assunzioni e contratti di espansione (ciò che è certo è che, a fronte di questa espansione, c’è stata una pari contrazione delle casse dello Stato, e quindi delle tasche degli italiani, nda), abbiamo sborsato di tasca nostra quasi 887 milioni». Da gennaio 2021 a maggio 2024 Stellantis ha distribuito 4,16 miliardi di dividendi dei quali 2,7 sono andati nella holding del signor John Elkann ad Amsterdam? No, lo chiediamo perché sono soldi nostri e quindi avremmo diritto di sapere perché, a fronte di tutti questi quattrini ricevuti, praticamente gratis, le imprese sono andate sempre peggio e l’Italia è stata via via abbandonata. Ora, tra l’altro, l’elettrico è attivo in Spagna e si parla di un grande accordo con la Renault nel quale c’è lo zampino anche di Renzi ma, come si sa, citando il salmo «le vie di Renzi sono imperscrutabili» quando meno te lo aspetti sbuca Renzi che cammina, come i funamboli, sulla corda tesa, di solito a notevole altezza dal suolo; un equilibrista di fama mondiale, come direbbe la Treccani. Ma torniamo a noi. L’amministratore delegato di Stellantis, sul modello del suo capo, quando si rapporta alle istituzioni lo fa con la delicatezza della carta vetra; varie volte ha detto cose del genere: «O ci date i soldi o chiudiamo tutto». Anche qui, tornando alle ere geologiche, il nonno di Elkann, l’avvocato, almeno ci sapeva fare a prendere i soldi dallo Stato perché avvolgeva il tutto in una sorta di retorica quasi nazionalista nella quale spiegava che le ragioni della Fiat coincidevano con quelle dell’Italia e viceversa. Poi seguì (che botta di culo per la Fiat) il grande Sergio Marchionne che, certamente era un uomo di numeri e di efficienza che metteva il profitto, nella scala di valori, prima del primo posto, ma almeno sapeva parlare con il Paese e con i suoi rappresentanti. Poi è arrivata l’epoca Elkann e qui, al contrario dell’evoluzione dell’homo sapiens, siamo tornati all’homo erectus che, diventando erectus, è riuscito ad allargare il suo orizzonte di vista ma lo ha fatto solo per farsi i cazzi suoi.In tutto questo, al contrario del sindacato americano che sta dando battaglia a Stellantis in quel Paese, quello italiano, a questo proposito, ha emesso sospiri, gemiti, qualche piagnucolio, piagnisteo, guaito e mugolio. Salvo occuparsi dell’autonomia differenziata e della cittadinanza agli immigrati. Io lo riconosco, sono rimasto indietro. Ero rimasto ai sindacati che si occupavano delle fabbriche, del lavoro, degli operai e dei lavoratori. Chissà perché su Stellantis sono stati sempre zitti salvo quella serie di emissioni vocali che abbiamo sopra descritto? Un mistero che non è neanche un mistero buffo, come avrebbe detto Dario Fo, è solo un mistero ridicolo.
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