2019-08-17
Con gli indiani cari al Giglio magico gli operai di Piombino restano al palo
Dopo 15 mesi dall'acquisto delle acciaierie da parte di Jindal, nel cui cda siede Marco Carrai, nessun piano e 1.500 persone in cassa.In Europa esistono solo due impianti in grado di produrre binari. Il rischio che dal prossimo anno ne esista soltanto uno è concreto, perché l'impianto di Piombino è prossimo a lasciarsi alla spalle questa capacità produttiva. Non ne risentirà nessuno in giro per il mondo o l'Europa, tanto India, Russia e altre nazioni hanno ormai soppiantato la tradizione italiana. Se ne accorgeranno gli oltre 1.500 dipendenti già in cassaintegrazione dello stabilimento che da maggio 2018 è di proprietà degli indiani di Jindal. A settembre, quasi in contemporanea con quelli dedicati all'ex Ilva di Taranto, al Mise sono stati già fissati i tavoli con i sindacati che chiedono conferma delle promesse anche a Regione e governo. O meglio al presidente della Toscana, Enrico Rossi, e all'ex ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda. A distanza di quasi 15 mesi, il governatore piddino si è limitato a dire che gli indiani presenteranno il piano industriale all'inizio del 2020 e Calenda non si pronuncia sul tema. La scelta di portare a Piombino dopo lunghe vicissitudini il gruppo Jindal è stata fortemente voluta dai dem, così fortemente che adesso Marco Carrai siede nel consiglio di amministrazione di Jws, di proprietà di Sajjan Jindal, dopo aver ricoperto ufficialmente il ruolo di advisor. La sola speranza è che a gennaio il gruppo indiano stupisca tutti e tiri fuori un maxi coniglio dal cilindro che giustifichi l'ingiustificabile regalo che il precedente governo gli ha fatto pur di farlo subentrare ai precedenti proprietari: ben 79 milioni e 500.000 euro. Nel 2015 l'allora commissario dello stabilimento, Piero Nardi, individua in Issab Rebrab, imprenditore algerino proprietario di Cevital, l'uomo giusto per il rilancio. L'intuizione sembra avere fondamenta, tant'è che Rebrab promette 2 milioni di tonnellate di produzione, Matteo Renzi lo accoglie con la fanfara, ma due anni dopo il ministro del suo successore Paolo Gentiloni è costretto ad ammettere che il piano non è stato rispettato. Calenda dichiara decaduti gli accordi e rescinde il contratto. A maggio del 2018 lo stabilimento passa di mano. E finisce appunto agli amici di Carrai della Jindal South West che già nel 2013 ci avevano messo su gli occhi. E in questo frangente il governo tira una linea sulla maxi causa che l'amministrazione straordinario aveva intentato a dicembre del 2017 agli algerini. La somma totale per i danni per gli inadempimenti arrivava a 80 milioni di euro e a luglio del 2018 il tribunale di Livorno avrebbe dovuto incasellare la prima udienza. Nel bilancio della società però si legge nero su bianco che la causa è stata estinta ancor prima di arrivare in aula. A fronte di un accordo tombale comprensivo di soli 500.000 euro. Un enorme regalo sia agli algerini, sia agli indiani e al consiglio di amministrazione dove adesso siede Carrai. Eppure in 15 mesi non si sono visti passi in avanti se non la necessità di sedersi di nuovo a un tavolo di crisi. Eppure la fretta nel maggio del 2018 era così esagerata che il Mise non ha voluto nemmeno aprire discussioni parallele. La bresciana Ormis, guidata da Diego Penocchio (famoso alle cronache calcistiche) vantava un credito sia da Aferpi (società partecipata da Cevital) sia da Jindal per oltre 4,5 milioni e in quei frangenti di scelte politiche ha cercato più volte di chiedere tutela al governo per la propria posizione. Cosa che aveva già fatto in precedenza a Mumbai dove, inutile dire, ha ricevuto solo porte in faccia dagli indiani. Purtroppo le porte in faccia le ha ricevute anche a Roma. Le numerose lettere e richieste inviate al Mise sono rimaste inascoltate. Calenda aveva fretta di chiudere. D'altronde il suo partito aveva già deciso: Jindal è il futuro. E non c'era tempo da perdere per tutelare un'azienda italiana. O mettere sul piatto un rallentamento. D'altronde cosa sono 4,5 milioni se si era già disposti a perderne 79,5? I primi sono di un privato, e come avrà pensato il Mise rientrano nelle diatribe tra privati. Gli altri però sono dei contribuenti che da settembre saranno di nuovo chiamati a mettere mano al portafoglio. I dipendenti di Jsw al lavoro sono poco più di 500, gli altri 1.500 sono in cassaintegrazione, ma per loro si profila un peggioramento delle condizioni. Immaginate poi se fra un mese il ministero, ora guidato da Luigi Di Maio, da gialloblù diventerà giallorosso. Pd e 5 stelle che cosa faranno di Piombino? Il Pd renderà mai conto delle scelte che ha fatto in Toscana? Perché se è vero che l'acciaio è in crisi in tutta Europa, sembra che l'Italia abbia accettato passivamente di perdere tutta la sua tradizione e di svendere agli stranieri quel poco che rimane senza imporre strategia e soprattutto investimenti. Con 79,5 milioni di euro quanti piani industriali si potevano fare per Piombino? Con il governo dell'inciucio e un Mise in mano al Pd renziano immaginate quanto potrà essere messo sotto pressione Marco Carrai quando verrà convocato per chiedere il rispetto degli impegni presi.