2024-02-12
«Con gli attacchi Huthi impatti molto pesanti. Soprattutto in Italia»
Il ministro Guido Crosetto: «Potrebbero imporsi nuove rotte commerciali che ci tagliano fuori. I riservisti servono, faremo la legge delega».Guido Crosetto, ministro della Difesa: le operazioni contro i ribelli Huthi nel Mar Rosso sono una nuova forma di guerra?«Ufficialmente gli Huthi lottano per la causa di Hamas, ma la portata del conflitto è più vasta. Rischiamo un forte impatto economico. Stanno attaccando navi incapaci di difendersi, mentre i cargo cinesi e russi passano indisturbati. Tutto questo ha un effetto negativo principalmente per l’Italia e crea squilibri inaccettabili nella concorrenza internazionale. Il Mar Rosso è uno dei colli di bottiglia cruciali del traffico commerciale globale. I cinesi stanno già contattando le aziende, anche italiane, per promuovere le loro compagnie marittime: quelle spedizioni costano meno e non subiscono attacchi. È la nuova guerra ibrida che abbatte intere economie e che potrebbe marginalizzare il Mediterraneo».L’Italia è esposta?«Sì, perché se le navi sono costrette a circumnavigare l’Africa, potrebbero imporsi nuove rotte commerciali stabili. A vantaggio, per esempio, di Rotterdam. Le nostre merci saranno zavorrate da uno svantaggio competitivo e costeranno di più».Con quali mezzi L’Italia guiderà la missione navale Ue?«Ci sarà un minimo di tre unità navali europee, supporto di intelligence e logistico, e valutiamo la possibilità di offrire assetti aerei con capacità di sorveglianza».Una missione solo difensiva?«Sì, perché l’Italia non può attaccare un territorio sovrano se non è aggredita, se non ci chiede aiuto uno Stato amico sovrano invaso o attaccato, o se manca una risoluzione internazionale di condanna che permette un attacco. Ovviamente, se le navi verranno attaccate, le forze italiane si difenderanno».Dobbiamo prepararci a più stanziamenti per la Difesa?«Dobbiamo prepararci a tempi in cui difesa e sicurezza diventeranno prioritari. Anzi, rappresenteranno i prerequisiti per la sopravvivenza dell’economia affinché le nazioni possano preservare produzione e prosperità».Comprando armi?«No, il discorso è molto più ampio. Nessuno vuole la guerra nel mondo. Ma le nuove sfide vanno affrontate con i giusti mezzi, anche formando adeguate e nuove professionalità. Guardiamoci intorno: riflettiamo sul fatto, ad esempio, che non si trova più polvere da sparo e che i principali produttori sono Russia, Cina, Iran e Corea».Questo la preoccupa?«Non mi preoccuperebbe, se la Russia se ne stesse al suo posto tranquilla. Invece...».Vladimir Putin ha detto che non ha intenzione di attaccare la Nato, e che la guerra in Ucraina finirà se smetteremo di dare armi a Kiev.«Putin aveva anche detto “mai attaccheremo l’Ucraina”. È difficile credere alle promesse di un leader che negli ultimi mesi non ha smesso di bombardare per un minuto una nazione sovrana, con lo scopo di cancellarla dalla faccia della terra. Come dice il Vangelo, “dai frutti li riconoscerete”. E i frutti della sua azione li vediamo ogni giorno».È immaginabile una sospensione dell’invio degli armamenti all’Ucraina per amore della pace?«Se domani l’Occidente sospendesse gli aiuti militari, tutti i missili russi pioverebbero sul territorio ucraino. Quella nazione cesserebbe di esistere».Ma in tanti, anche nella maggioranza, chiedono una spinta maggiore per i negoziati. Per l’Italia, il G7 può essere un’occasione per ritagliarsi il ruolo di mediatore?«È dall’inizio della guerra che spero si possa intavolare un negoziato. Però per negoziare dev’esserci innanzitutto la disponibilità del diretto interessato e aggressore, oltre che quella dell’aggredito. Se fosse facile ci sarebbe già la pace. Purtroppo viviamo in anni nei quali la pace non è più un bene scontato, e per noi senza sicurezza non c’è sviluppo. E la cosa che più garantisce la pace quando si è di fronte ad autocrazie con volontà espansive è la capacità di deterrenza». Il Senato americano boccia la legge sui fondi all’Ucraina. Negli Usa coglie una stanchezza in relazione a questo conflitto?«La guerra non fa contento nessuno, ma bisogna sempre chiedersi chi l’ha iniziata e quali sono le condizioni concrete per farla cessare. Quanto ai repubblicani americani che hanno bloccato la legge la loro è una battaglia politica che mira a ottenere in cambio un giro di vite sui migranti in arrivo dal Messico. Ma il nodo politico si risolverà e i nuovi aiuti Usa arriveranno».Non teme che, con una eventuale vittoria di Donald Trump, gli Usa abbandonino il campo e si ritirino nel loro cortile di casa?«Trump è un pragmatico e non un ideologico. Recidere il legame con l’Europa, proprio mentre molti Paesi si mostrano ostili al blocco occidentale, non sarebbe conveniente. Non ce lo vedo Trump che fa a pezzi il mondo libero».Joe Biden ha detto che la risposta di Israele contro Hamas è stata «over the top». Ha ragione?«Dal primo giorno di questa nuova guerra abbiamo detto con chiarezza che una nazione democratica, anche quando reagisce legittimamente con la forza, deve rispettare il diritto internazionale e le regole che esistono anche in guerra. La risposta comprensibile di Israele all’attacco terroristico subito non giustifica la rottura delle regole legali e morali che le nazioni democratiche rispettano anche nei conflitti e della protezione umanitaria verso i civili».Benjamin Netanyahu vuole disintegrare Hamas ma otterrà l’opposto?«Si può bandire Hamas per sempre, si può escluderne i componenti da ogni consesso ma eliminare ogni membro di Hamas non è possibile. Occorre invece una strategia seria per il dopo conflitto. Occorre pensare a ricostruire. Altrimenti il comportamento di Israele rischia di essere controproducente per Israele stessa. Anche i Paesi più amici di Gerusalemme, come siamo noi, continuano a parlare di “due popoli e due Stati” e vogliono una tregua che ponga fine al massacro dei civili. È il momento di mettere fine al conflitto. Ogni cittadino di Israele deve poter tornare in sicurezza nella sua casa e ogni palestinese deve poter riavere pace, futuro e uno Stato». Si è parlato di «guerra mondiale a bassa intensità». E lei lo ha detto chiaro e tondo: dobbiamo prepararci al peggio, anche facendo ricorso ai riservisti. Cosa intende?«I soliti professionisti della polemica hanno speculato su questa frase. Mettiamola così: il lavoro del ministro della Difesa consiste nel preparare la nazione a poter affrontare tutti gli scenari, anche quelli peggiori. Speriamo che le tensioni nel mondo scemino, ma se invece continuassero a salire ogni nazione dovrebbe lavorare per essere pronta a ogni evenienza. Tra le tante necessità, quella di poter attivare una riserva, al fianco delle Forze armate regolari, non è da escludere. Come avviene in Svizzera».Dunque non è allarmismo?«È allarmismo farsi l’assicurazione sulla vita? No, è realismo. I riservisti sono volontari che si rendono disponibili a scendere in campo per la difesa nazionale in caso serva. Prima però, servirà una legge con relativi fondi: non è una cosa che si mette in piedi dall’oggi al domani. Ci lavorerà il governo con una legge delega».Niente militarismo, dunque?«Cos’è un militarista? Uno che pensa che una nazione debba potersi difendere? Io gli antimilitaristi non li ho mai capiti. Una nazione senza Difesa non è più tale. Se qualcuno pensa che le Forze armate siano inutili, tanto vale decidere da chi farsi annettere».I riservisti servono a prepararsi a un’America più debole sullo scenario internazionale?«Per fortuna non siamo soli, abbiamo alleati ma intanto prepariamoci a difenderci come se fossimo soli. Quando parlo di attacchi non penso solo a quelli militari classici, perché come ho detto la guerra oggi ha mille facce. Siamo sottoposti ad attacchi cibernetici, ad aggressioni alla libertà di navigazione, al blocco delle materie prime, del gas e della rete Internet. Oggi la guerra si fa anche scaricando milioni di immigrati in territorio altrui, o polarizzando l’opinione pubblica con il sapiente utilizzo delle fake news».Dopo il caso dell’eurodeputata lettone accusata di essere una spia al servizio di Mosca, una risoluzione del Parlamento europeo chiede misure contro le interferenze russe. È a rischio la regolarità delle prossime elezioni?«Non posso escludere tentativi di condizionamento, anche se forse nel mirino ci sono soprattutto gli Stati Uniti. Numerosi think thank indicano che la minaccia più grande nei prossimi 30 anni sarà la disinformazione. Si può scatenare un blackout in un Paese anche diffondendo psicosi e certamente le autocrazie sono più attrezzate per affrontare certe minacce rispetto ai Paesi democratici».Cosa conterrà il piano Mattei per l’Africa, che per adesso prevede una dotazione di 5,5 miliardi?«È un perfetto esempio della capacità di prevedere i problemi. Parliamo di un continente che nel 2050 avrà 2 miliardi e mezzo di abitanti, molti giovanissimi, mentre da noi il 26% della popolazione sarà over 65. Se non consentiamo a quei miliardi di migranti di sfamarsi e studiare, ci ritroveremo un potenziale esercito ai nostri confini».Questa sarà l’ossatura del piano Mattei?«L’Africa va aiutata a crescere valorizzando le terre coltivabili, facendo crescere la loro capacità produttiva e tecnologica e scambiando materie prime con l’Europa e il mondo. L’Italia avrà più peso politico nel continente, nella speranza che i colpi di Stato di questi mesi siano mediati e contenuti, in futuro, da altri Paesi africani sempre più democratici. La democrazia non si può imporre: il nostro obiettivo è perlomeno agevolarla».Prevede una presenza militare italiana in Africa?«La presenza europea nel continente africano è sempre stata di addestramento o di ausilio agli Stati per mantenere la sicurezza. Nessuno andrà laggiù a fare la guerra».
Margherita Agnelli (Ansa)
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