2019-09-14
Comunisti, renziani e parenti vari: l’ultima infornata è un capolavoro
Viceministri e sottosegretari divisi al grammo fra M5s e Pd. La pattuglia del Bullo è foltissima, anche se Maria Elena Boschi frigna: «Nessun toscano». Stefano Buffagni al Mise, e Luigi Di Maio impone a Davide Casaleggio Laura Castelli al Mef.Bisogna guardare con molta attenzione i nomi, i ruoli, chi è riuscito finalmente a strappare uno stipendio, chi ha moltiplicato le poltrone, i tesorieri nelle posizioni strategiche, come le correnti di partito, nella nuova squadra di viceministri e sottosegretari del governo Conte bis. Perché dietro le scelte non c'è solo stato un lavoro di cesellatura degno del migliore manuale Cencelli, c'è soprattutto la nuova mappa del potere politico in Italia, non più gialloblù ma neppure tanto giallo. I pentastellati avranno anche più incarichi, 21 rispetto ai 18 del Partito democratico, ma hanno perso deleghe importanti in dicasteri importanti, come per esempio dentro il ministero dell'Economia di Roberto Gualtieri. Al Nazareno non si può che festeggiare. Certo i renziani Dario Nardella e Maria Elena Boschi protestano per una carenza di toscanità all'interno dell'esecutivo, ma appare più una scusa per marcare un po' le distanze da un governo voluto da Matteo Renzi, ma sul quale è meglio non metter troppo la faccia. Le intemperanze del Giglio magico sono infatti una spia per quello che potrebbe accadere in futuro, con la creazione di un nuovo partito di centro che frammenterà ancora di più le anime già spaccate del Pd. Di sicuro il king maker del governo è l'attuale segretario Nicola Zingaretti. La maggior parte delle nomine è romanocentrica, fondata su quel dialogo che va avanti da anni in Regione Lazio tra dem e grillini. C'è Lorenza Bonaccorsi, sottosegretario alla Cultura, ex assessore uscente nella giunta laziale. C'è anche Giampaolo Manzella, altro ex assessore di Zingaretti, ora di stanza al ministero dello Sviluppo economico come sottosegretario.C'è anche Marina Sereni, viceministro agli Esteri e proveniente dalla segreteria di Zingaretti. Come della segreteria nazarena fanno parte la compagna del senatore Gianclaudio Bressa, Francesca Puglisi (sottosegretario al Lavoro) e il coordinatore Andrea Martella, quest'ultimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'editoria. Qui bisogna fare un inciso. Perché i membri della segreteria non sono parlamentari e - date le ultime diatribe sui soldi dentro il Pd, che sono sempre di meno - non hanno percepito stipendio in questi mesi. Quando Zingaretti diventò segretario chiese che parte dei fondi dei gruppi parlamentari arrivassero anche al Nazareno. Non ci fu niente da fare. I capigruppo renziani, Andrea Marcucci e Graziano Delrio, fecero spallucce. Da qui la decisione di inserire i tre nell'esecutivo, in modo che da qualche parte arrivi una busta paga.Nella situazione opposta c'è invece Giancarlo Cancelleri, nuovo viceministro ai Trasporti nonché - sino a ieri - consigliere regionale in Regione Sicilia e persino vicepresidente dell'assemblea regionale. Il nuovo membro dell'esecutivo non sarebbe stato in conflitto di interessi, quindi avrebbe potuto trattenere tutti i posti, tra cui quello più remunerativo in Sicilia (quasi 20.000 euro tra gettoni e benefit): ieri ha deciso di dare le dimissioni. Del resto, se si calcolasse una sorta di reddito familiare, andrebbe aggiunto anche quello della sorella Azzurra Cancelleri che è deputato per il Movimento 5 stelle: assieme avrebbero fatto un maxi stipendio pubblico. A uscire con le ossa rotte nella nuova compagine governativa è senza dubbio Stefano Buffagni, nuovo viceministro al Mise, ma di fatto tagliato fuori dalle stanze di via XX Settembre, cuore delle scelte per le nomine pubbliche. Buffagni, non è un segreto, avrebbe preferito ottenere un posto al Mef, per contare di più, anche perché da mesi porta avanti un dialogo con le partecipate e in particolare con Cassa depositi e prestiti, per il suo progetto Italia 2030. A spuntarla è stata invece Laura Castelli, nuovo viceministro all'Economia, molto vicina a Luigi Di Maio e quindi non della stretta schiera di Davide Casaleggio. Sarà lei a gestire insieme con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro Roberto Gualtieri le nomine nelle aziende pubbliche da qui all'estate del 2020. Non solo. Il ruolo marginale di Buffagni è letto anche come una sterzata all'interno di Cassa depositi e prestiti. Al momento le forze leghiste e quelle grilline si sono fronteggiate dentro il palazzo di via Goito a Roma. Adesso i Pd non vuole avere ostacoli. Cdp nelle intenzioni dei dem dovrà essere una prateria. Primo appuntamento sarà la nomina del successore di Valentino Grant, il leghista che ha lasciato il board per l'europarlamento. Al suo posto ad agosto sarebbe dovuto andare Giulio Sapelli. Poi si è perso tempo ed è caduto il governo. Adesso a puntare all'incarico ci sono profili come Franco Bassanini, uno che da semplice consigliere riuscirebbe a contare quasi quanto un amministratore delegato: tradizioni di pervasività al potere tipiche della sinistra. Stesse capacità che mostrerà un altro sottosegretario. Pier Paolo Baretta torna all'incarico al Mef, il medesimo che aveva ai tempi di Paolo Gentiloni. A Baretta toccherà occuparsi di Mps e del ritorno della banca al settore privato. L'altro ieri l'istituto di Siena ha incassato dall'antitrust Ue la proroga per la ricapitalizzazione. Una scelta che lascia intendere ci sarà un'altra proroga. Già Giovanni Tria aveva intenzione di chiedere all'Ue sei mesi in più per l'uscita del Tesoro dal capitale di Mps. Con tale lasso di tempo Baretta può fare i salti mortali. D'altronde a lui si deve la gestione della ricapitalizzazione precauzionale che ha avviato Mps alla nazionalizzazione temporanea. Al fianco di Renzi e Gentiloni quando saltò o qualcuno fece saltare l'aumento di capitale c'era proprio Baretta, che pur amando rimanere dietro e quinte, è a tutti gli effetti il dominus piddino del sistema bancario. Adesso potrà divertirsi anche a Genova con Carige. A differenza del precedente governo, questo giallorosso userà tutta l'esperienza dei Ds e la faccia dei grillini per far finire loro nel calderone delle polemiche. C'è da aspettare i fuochi d'artificio.D'altronde nel complesso i pentastellati perdono posti nelle posizioni chiave di spesa. La nomina di Martella all'editoria potrebbe essere rivoluzionaria per il mondo dei quotidiani, sempre più in crisi e in attesa di maniche più larghe per i contributi pubblici. Il nuovo sottosegretario è un fedelissimo di Walter Veltroni, ex segretario, ex sindaco, ma soprattutto ex direttore dell'Unità, giornale poi chiuso sotto la gestione di Renzi.Vito Crimi diventa viceministro dell'Interno grazie alle buone entrature nella vecchia amministrazione Aise e per un buon affiatamento con l'ex ministro degli Interni Marco Minniti: per un ex cancelliere del tribunale di Brescia emigrato da Palermo è di sicuro un ottimo risultato. C'è poco Nord nel governo e quello che si vede è soprattutto della passata gestione di Pier Luigi Bersani. Basta guardare il nome di Antonio Misiani, nuovo volto del Mef, bergamasco, senatore della commissione Bilancio, tesoriere del Pd all'epoca di Bersani ora responsabile economico della segreteria e al momento schierato al fianco di Zingaretti. C'è anche un altro tesoriere, Matteo Mauri, nuovo viceministro al Viminale, ex fedelissimo di Filippo Penati, già corrente di Massimo D'Alema, di cui si parlò spesso durante il caso Serravalle-Gavio-Unipol.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)