2021-10-03
«Commissione d’inchiesta sabotata. Non sapremo mai la verità sul Covid»
L'ex ricercatore dell'Oms, Francesco Zambon: «Uno strumento che sarebbe servito pure a prepararci a emergenze future. Errori fatali nella prima fase della pandemia: sottovalutata l'importanza di tracciamento e isolamento».Francesco Zambon è suo malgrado divenuto famoso nei mesi scorsi per aver curato un report sulla gestione italiana della pandemia che è stato censurato dall'Oms. Dopo quell'episodio, Zambon si è dimesso dall'Organizzazione mondiale della sanità, ha scritto un libro sulla sua vicenda (Il pesce piccolo, Feltrinelli) e ha denunciato le storture dell'approccio italiano e internazionale all'emergenza Covid.Zambon, bentrovato. Che sta facendo dopo le dimissioni dall'Oms?«Diciamo che dimettersi dall'Oms è… una occupazione a tempo pieno! Al momento ci sono moltissimi fronti aperti. Non passa giorno senza che ci sia qualcosa di nuovo. Nonostante il silenzio in cui sia caduta la vicenda, le cose diventano sempre più grosse, sempre più persone sono coinvolte, si va sempre più in alto».Viste le difficoltà rifarebbe le stesse scelte?«In realtà è stata una scelta sola. Quella relativa alla pubblicazione del rapporto Oms sull'Italia poi fatto morire. Il rapporto poteva essere importante in una fase delicatissima come quella di inizio pandemia. Tutte le altre scelte dipendono da questa. Io ho solo fatto il mio lavoro e il mio dovere. Ne è valsa la pena? Se tutto questo produrrà un cambiamento certamente sì. È presto per tirare conclusioni e cerco di farmi questa domanda meno volte possibile...»Nei giorni scorsi abbiamo raccontato come tra dicembre 2019 a gennaio 2020 siano entrate in Italia 4200 persone da Wuhan. Nessuno fu sottoposto a tampone. Quanto ha pesato secondo lei quell'errore?«Moltissimo. Per mesi il mondo si è mosso su piani paralleli - l'Oms, la Cina, l'Italia, l'Europa - con pochi punti di contatto efficaci. Ogni ora, ogni giorno nelle prime fasi di una pandemia sono fondamentali. A gennaio 2020 in Italia è entrato di tutto. Erano i giorni del Nuovo Anno Cinese… prima che fosse imposto dalla Cina il blocco dei viaggi, da Whuan sono uscite 5 milioni di persone, un terzo delle quali sono uscite fuori dalla provincia dell'Hubei. Tutto questo accadeva mentre da Ginevra, il 23 gennaio 2020, il direttore generale dell'Oms Tedros parlava ancora di focolai, neanche di epidemia. In via precauzionale, invece, si sarebbero dovuti sospendere i viaggi da e per la Cina. E l'Italia, dal canto suo, avrebbe dovuto richiedere un rientro blindato di ogni persona - certo non solo quelli che rientravano con voli diretti - che provenisse dalla Cina. Non era niente di inapplicabile».Ah, allora si poteva fare.«Sì, infatti Taiwan, che ha fatto tesoro della difficile gestione della Sars del 2003, ha attuato immediatamente misure super restrittive. Risultato? Di un territorio con 24 milioni di persone, nei primi 15 mesi di pandemia ci sono state 12 vittime. Questo equivale ad un tasso di mortalità per Covid-19 (morti su popolazione residente) 4.000 volte inferiore rispetto a quello dell'Italia per lo stesso periodo. Si parla molto della contagiosità della variante Delta. Ma non dobbiamo dimenticare che allora, nei primi mesi del 2020 quando eravamo completamente scoperti, R0 (il numero di riproduzione all'inizio dell'epidemia) è stato valutato da alcuni studi fino a 6. Ovvero una persona poteva infettarne altre sei. E oggi sappiamo che il virus si poteva trasmettere anche da parte di persone totalmente asintomatiche, che certamente non venivano bloccate dal termo scanner».Il 17 gennaio l'Ecdc disse in una riunione che si dovevano fare test tempestivi sui passeggeri in arrivo da Wuhan in aereo. Perché secondo lei non furono fatti?«Ci sono dei passaggi distinti che vanno visti in sequenza: arriva un nuovo virus, si sequenzia, e sulla base della sequenza si sviluppano i test diagnostici. Alla fase di sviluppo, segue tutto quello che è la produzione dei test e la distribuzione degli stessi su larga scala. Non si può dire: “Oggi abbiamo trovato un nuovo virus: ecco, questo è il test per sapere se un paziente ce l'ha o meno". L'Oms dice che la Cina ha dato la sequenza virale solo l'11 gennaio. Non è pensabile che dal 12 gennaio ci potesse essere un kit diagnostico e che questo fosse disponibile per tutti i soggetti di ritorno da zone ad alto rischio. Il 17 gennaio è solo qualche giorno dopo il sequenziamento del virus, non ci poteva essere un test diagnostico disponibile per tutti i soggetti potenzialmente infetti. Ma questo non vuole affatto dire che non si potesse - nel frattempo - fare altro per contenere la pandemia. Anzi. C'erano altri modi per farlo».Si spieghi meglio…«All'inizio di un'epidemia e proprio quando i test diagnostici non sono ancora disponibili la cosa più importante da fare sono l'isolamento e il tracciamento dei contatti. Non è niente di nuovo, il concetto dei 40 giorni/quarantena in isolamento era applicato già dalla Serenissima più di 600 anni fa. Nell'incertezza, le persone andavano messe in quarantena e con sorveglianza attiva». Come mai secondo lei non è stato fatto tracciamento? Potevano gli esperti non sapere che fosse necessario?«No, non potevano non saperlo. Credo sia stata una delle cose più gravi non fatte nelle settimane successive al 5 gennaio, quando l'Oms aveva dato un'allerta - pur molto debole a dire la verità - di una nuova polmonite ad eziologia sconosciuta di provenienza cinese. Non possiamo sistematicamente dimenticarci del passato o far finta che simili incidenti non siano mai esistiti. Nel 2003 c'è stata la prima Sars, a provenienza cinese. La Cina non disse niente per 4 mesi. Se ne accorse Carlo Urbani, nome da non dimenticare mai, dal Vietnam. Fu lui a dare l'allarme e a morire proprio di Sars. Potevamo attenderci qualcosa di diverso? Il Paese di provenienza era lo stesso, la sintomatologia iniziale pure, il nome del virus anche (Sars-CoV)… chi si occupa di sorveglianza avrebbe dovuto saltare sulla sedia, dopo l'allarme dell'Oms». E invece non saltarono…«Un punto di riflessione per il futuro ce lo deve dare anche il fallimento di Immuni, che era nata proprio per il tracciamento dei contatti. Dobbiamo chiederci perché in molti Paesi asiatici si è riuscito a fare un fenomenale contenimento dell'epidemia proprio grazie alle nuove tecnologie per il tracciamento dei contatti incrociando dati da cellulari, sistemi di videosorveglianza, carte di credito, etc., mentre in Italia - in nome della privacy individuale - non si è riusciti a salvare la collettività? È stato meglio tutelare quella privacy per godere di quella che abbiamo oggi? Aver affrontato queste tematiche 20 mesi fa, non ci avrebbe probabilmente portato alle tangibili tensioni sociali che abbiamo oggi in relazione al green pass (a proposito di privacy individuale) o obbligo vaccinale. In ogni caso implementare un tracciamento dei contatti di qualsiasi tipo, significa saperlo fare e saperlo fare subito, nella fase di risposta emergenziale. Questa è una cosa che si prepara nella fase di preparazione alle pandemie, per esempio attraverso un piano pandemico. E certamente le tecnologie che abbiamo oggi non sono quelle di 10 anni fa».Quali errori ha commesso l'Italia in quella fase?«Sarebbe importante saperlo e anche poterne parlare. Ma non possiamo. A luglio nel nostro Paese si è verificata una cosa gravissima, direi nel silenzio generale della stampa. Tutto parte nel maggio del 2020: il Parlamento aveva istituito una commissione parlamentare di inchiesta con lo scopo di capire cosa era successo nella prima risposta al Covid. Cosa è andato storto? Cosa abbiamo fatto bene? Questa necessità di chiarezza è innanzitutto preventiva, non punitiva. Invece degli emendamenti approvati in Parlamento a luglio del 2021 hanno castrato questo potentissimo strumento di salvaguardia del nostro futuro. Sono stati proposti e approvati in particolare due emendamenti. Uno che limita il campo dell'indagine di questa commissione al 30 gennaio del 2020, ovvero il giorno prima l'Italia entrasse in stato di emergenza. L'altro che ne limita addirittura l'ambito geografico: si poteva indagare solo nei Paesi dove il virus aveva avuto origine. Come se l'Italia potesse, o fosse suo compito, chiedere alla Cina cosa era successo in quei primi mesi. È stata una cosa gravissima, che si è consumata nel silenzio quasi totale».Che cosa ci avrebbe potuto dire questa commissione?«Di chi fanno gli interessi i parlamentari che hanno castrato la Commissione? Come è potuta succedere la catastrofe del Covid in un Paese come l'Italia? Ci siamo privati dell'unico strumento che ci poteva fornire risposte in tempi utili per meglio prepararci. Quindi non potremmo mai sapere se saremo meglio preparati alla pandemia da virus XWY che accadrà nell'anno 20xx. Inoltre è fondamentale una analisi comparativa con altri Stati. L'Italia ha commesso molti errori commessi anche da altri Paesi. Prima di parlare di colpe sarebbe interessante analizzarne le ragioni, ma ciò diventa impossibile perché chi accusa tende a strumentalizzare e chi si difende a negare. Un dialogo più serio porterebbe maggiori garanzie per il futuro. Questo è il contesto a cui vorrei contribuire, sia sul piano nazionale che internazionale».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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