2024-01-19
La commissione approva l'accordo Italia-Albania sui migranti, l'opposizione «rosica» e se ne va
True
Edi Rama e Giorgia Meloni (Ansa)
Mezzanotte di fuoco, a Montecitorio, nelle commissioni riunite Affari costituzionali ed Esteri, chiamate a licenziare il ddl di ratifica sull'accordo tra il nostro governo e quello albanese in materia di cooperazione sulla gestione dei flussi migratori.
Mezzanotte di fuoco, a Montecitorio, nelle commissioni riunite Affari costituzionali ed Esteri, chiamate a licenziare il ddl di ratifica sull'accordo tra il nostro governo e quello albanese in materia di cooperazione sulla gestione dei flussi migratori.La seduta finale, nella quale si è concluso l'esame degli emendamenti e il conferimento del mandato ai relatori Paolo Formentini (Lega) e Sara Kelany di FdI, ha vissuto infatti momenti di tensione quando le lancette dell'orologio avevano da poco fatto segnare la mezzanotte tra mercoledì e giovedì. Dopo che il rappresentante del governo aveva espresso parere negativo su tutti gli emendamenti delle opposizioni, puntualmente bocciati dalla maggioranza, gli esponenti del «campo largo» di centrosinistra hanno optato per la protesta plateale abbandonando i lavori e lasciando i deputati del centrodestra soli a votare. Come modifica al testo, è passata quella richiesta dallo stesso esecutivo per precisare che la Commissione territoriale d'asilo sarà quella che ha sede a Roma. Il testo è ora atteso in aula lunedì pomeriggio, dove dovrebbe essere approvato in settimana per poi passare al Senato e ottenere il via libero definitivo.Come era prevedibile, tutto l'iter del ddl in commissione è stato accompagnato da scintille tra maggioranza e minoranza, con quest'ultima che a un certo punto dei lavori aveva avviato un duro ostruzionismo per «costringere» il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi a venire a riferire in Parlamento sui dettagli dell'accordo. E le polemiche non si sono certo placate dopo il voto della scorsa notte, quando tutti i deputati di Pd, M5s e Avs hanno rilasciato dichiarazioni al vetriolo contro il ddl di ratifica, definendolo «inutile e dannoso» e funzionale alla campagna elettorale per Europee e Amministrative. Accuse respinte al mittente dal centrodestra, che ha difeso l'impianto dell'accordo, sottolineandone il valore innovativo e la possibilità di rappresentare un precedente a livello europeo. E la tesi della maggioranza, in effetti, è suffragata, tra le altre, dalle dichiarazioni di molti esponenti politici continentali, soprattutto tedeschi, come quelle rilasciate ieri dal primo ministro bavarese e presidente della Csu Markus Soeder, per il quale l'accordo «è conforme a norme e valori dell'Unione europea» e potrebbe fungere da modello. Il protocollo, però, deve superare uno scoglio giuridico in Albania, dove la Corte costituzionale, sollecitata dagli oppositori del premier Edi Rama, ha iniziato ieri l'esame del ricorso, sospendendone l'iter parlamentare. La sentenza è attesa entro tre mesi. L'accordo presentato a Palazzo Chigi da Rama e da Giorgia Meloni lo scorso 6 novembre prevede, a grandi linee, che l'Italia allestisca in territorio albanese due aree per l'identificazione e la permanenza temporanea dei migranti salvati in mare dalle nostre autorità, prima dell'eventuale rimpatrio e del riconoscimento della protezione internazionale. Non è previsto che vengano condotti in Albania minori non accompagnati, disabili, anziani, donne, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali o per le quali è accertata la sofferenza di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, e le vittime di mutilazioni genitali. Le due strutture saranno approntate nei pressi della cittadina costiera di Shengjin e a Gjder, nell'entroterra. La giurisdizione penale per eventuali commessi delitti all'interno di questi centri sarà affidata alle autorità italiane.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci