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2022-04-15
Colpita da Kiev o guasto tecnico? L’ultimo giallo è sulla nave Moskva
Ansa
Secondo la Cnn e il New York Times l’incrociatore missilistico russo Moskva (Mosca) è rimasto «seriamente danneggiato» da un’esplosione. Ma è stato un guasto tecnico oppure sono stati gli ucraini a colpire quella che è ritenuta la nave ammiraglia dei russi che incrociava nelle acque territoriali ucraine? Il ministero della Difesa ucraina ha comunicato di aver lanciato due missili Neptune, che hanno un raggio di circa 300 chilometri, nei pressi dell’Isola dei serpenti, a soli 35 chilometri dalle coste dell’Ucraina e della Romania. Anche stavolta, secondo alcune fonti ucraine, sarebbero stati della partita dopo i successi conseguiti sulla terra ferma, i micidiali Bayraktar TB2, i droni turchi sviluppati dalla azienda Baykar Technologies che avrebbero attaccato la nave prima del lancio dei missili, in modo da ostacolare l’equipaggio e compromettere le difese del Moskva.
Ma che nave è questo incrociatore missilistico? Ci aiuta a capirlo l’analista strategico Franco Iacch: «Gli incrociatori missilistici della classe Slava Progetto 1164 Atlant da 11.500 tonnellate, sono stati progettati in ruolo Carrier Killer in supporto agli incrociatori missilistici a propulsione nucleare classe Kirov Progetto 1144 Orlan. Le Slava sono state specificatamente progettate per ingaggiare i gruppi da battaglia delle portaerei Usa. In virtù del loro ruolo primario la classe Slava, strutturata su tre unità, imbarca 16 missili da crociera supersonici antinave SS-N-12 Sandbox. Non è chiaro se la Moskva, commissionata alla Marina sovietica nel 1983 e ammiraglia della flotta del Mar Nero, abbia ricevuto i più moderni P-1000 Vulkan. La classe Slava funge anche da potente strumento di difesa dell’area conferita dai 64 missili SA-N-6 Grumble imbarcati».
Ma sull’attacco è tutto chiaro? Magari. Avete presente quanto accaduto lo scorso 9 aprile contro la stazione di Kramatorsk, dove a causa di un missile Tochka-U, in dotazione non solo alle forze armate ucraine ma anche a quelle russe, sono morte 60 persone tra le quali almeno dieci bambini? Ecco siamo nella stessa situazione. Come allora le versioni delle parti belligeranti sono discordanti e le fake news abbondano. Facciamo ordine. Le autorità militari di Kiev rivendicano il successo che è anche simbolico dell’operazione, mentre il ministero della Difesa russo ha reso noto che sull’incrociatore «c’è stato un incendio che ha fatto esplodere le munizioni a bordo», aggiungendo che il Moskva non è affondato e che le esplosioni a bordo sono finite. Nemmeno il tempo di cercare delle conferme che il Comando operativo meridionale ucraino con una nota ha rincarato la dose. L’incrociatore russo? «Si è capovolto e ora sta affondando». Fin qui le parole delle due parti mentre non ci sono fotografie, immagini provenienti dai preziosi satelliti o video che possano chiarire cosa sia realmente accaduto, ma come nella vicenda di Kramatorsk basterebbero le verifiche sui satelliti per dirci cosa è successo, quando, come e chi è stato.
Mentre scriviamo il governatore del distretto di Odessa, il colonello Maksym Marchenko, sul suo canale Telegram ha scritto: «I nostri missili antinave Neptune hanno colpito e causato danni gravissimi all’incrociatore russo». In assenza di prove sappiamo che qualcosa di grave è successo perché le autorità moscovite, hanno confermato che il Moskva è stato rimorchiato ed è diretto verso un porto sicuro. In ogni caso che la nave sia stata affondata perché colpita dai missili ucraini, oppure come sostengono i russi che ci sia stata un’esplosione accidentale a bordo, questa è una brutta botta anche a livello di immagine per il Cremlino, che a oggi non può certo ritenersi soddisfatto dell’esito di quella che chiama ancora dopo 51 giorni, «operazione militare speciale». Il colpo è duro anche per la Marina militare russa che ora sa di non essere imbattibile e che ora potrebbe iniziare a temere per le sue 20 navi che si trovano davanti alla città di Odessa. Ma il sospetto che aleggia a Mosca è che l’altra notte nel Mar Nero ci sia stata una «manina» che ha aiutato gli ucraini.
E nel Donbass cosa accade? Secondo il generale di Corpo d’Armata, Maurizio Boni: «Siamo in attesa di conoscere gli esiti dell’attesa offensiva del Donbass che i russi dovrebbero lanciare a seguito della riarticolazione e riorganizzazione del loro strumento operativo avviato da giorni e tuttora in corso. Lo scopo è quello di rinforzare la direttrice d’attacco del Sudest e unirla con quella meridionale per accerchiare il grosso delle forze ucraine (circa 90.000 uomini) schierate nella provincia del Donetsk. Per questo la conquista di Mariupol è così importante».
In realtà sino a oggi si sono già verificate numerose puntate offensive dei russi, tutte respinte dall’esercito di Kiev, grazie a un’organizzazione difensiva collaudata da otto anni e anche all’abbondanza di informazioni d’intelligence fornite principalmente da Washington ai difensori. E cosa ne è dell’offensiva finale? Secondo il generale Boni «dovremo aspettare ancora dei giorni». In tal caso, sia per Mosca che per Kiev questa ulteriore fase del conflitto è decisiva. «Gli ucraini», continua Boni, «devono assolutamente evitare l’accerchiamento nel Donbass e i russi devono guadagnare più terreno possibile, almeno la totalità dei territori che dovrebbero ricadere sotto l’amministrazione di Mosca. Eventualità che concederebbe a Putin un vantaggio negoziale nel caso auspicabile in cui si torni trattare».
A Mariupol sfilata russa in vista
La città portuale di Mariupol, che si trova nel Sudest del Paese, eletta suo malgrado come città martire dell’Ucraina, oggi non c’è più e dopo 50 giorni dall’inizio della guerra, la televisione di Stato russa ha diffuso nella giornata di ieri le immagini di un gruppo di soldati ucraini che si arrendono dopo essere stati catturati dalle truppe di Mosca. Nelle immagini, i soldati di Kiev hanno le mani alzate e si consegnano alle truppe moscovite che trasportano anche alcuni feriti in barella. Secondo quanto viene narrato nel video, che sarebbe stato girato a Mariupol, i soldati ucraini avrebbero alzato bandiera bianca, arrendendosi.
Inutile dire che la notizia non è stata confermata dal governo di Kiev ma in ogni caso a Mariupol non c’è più nulla, i corridoi umanitari sono solo sulla carta, anche perché i militari russi se ne guardano bene dall’informare le persone che sono nei rifugi. Inutile scandalizzarsi, la guerra purtroppo è questa. Brutta, sporca e cattiva oltre ogni limite e viene condotta da uomini che si perdono, specie se i conflitti durano a lungo, nelle strade nel male. Nella città, che è ormai ridotta a un cumulo di macerie, manca tutto: il cibo, i medicinali e l’acqua si beve facendo sciogliere la neve. Secondo quanto riportato dall’Ansa, che attraverso un suo inviato ha incontrato alcuni rifugiati di Mariupol, giunti a Dnipro da una settimana, «i primi a morire sono i bimbi più piccoli, per la fame». Secondo Petro Andryushchenko che fa parte dello staff del sindaco di Mariupol: «Il Cremlino nella nostra città sta preparando “la parata della vittoria” prevista per il prossimo 9 maggio». Secondo Andryushchenko, «Mosca avrebbe ordinato all’autoproclamata amministrazione filorussa, di ripulire parte del distretto centrale della città dai detriti e soprattutto dai cadaveri in modo da permettere la sfilata». Intanto si registrano nuove accuse da parte ucraina in merito ai crimini di guerra commessi dai russi nell’area di Kiev: qui nelle ultime due settimane sono stati rinvenuti 765 civili uccisi, di cui 30 sono bambini.
Nella giornata di ieri, come se non bastasse il mistero relativo all’incrociatore russo, il governatore della regione russa di Bryansk -che si trova nella Russia europea sudoccidentale, capoluogo dell’omonima provincia, sul fiume Desna - ha dichiarato che le forze armate ucraine avrebbero bombardato due villaggi nella regione di Belgorod. Ci sarebbero sette feriti, tra cui una donna incinta e un bambino. Kiev ha smentito l’attacco mentre subito dopo i servizi segreti russi per l’interno (Fsb) hanno reso noto che anche un posto di frontiera nella regione di Bryansk è stato attaccato da colpi di mortaio dall’Ucraina.
Infine sono ormai arrivati a 400 i sacerdoti della Chiesa ucraina che si appellano collettivamente al Consiglio dei primati delle chiese antiche orientali (la più alta corte dell’ortodossia mondiale) contro il patriarca di Mosca, Kirill, citandolo in giudizio. La notizia che è apparsa sull’Orthodox Times racconta di come i 400 sacerdoti sostengono «che Kirill predica la dottrina del mondo russo, che si discosta dall’insegnamento ortodosso e andrebbe condannata come eresia. E addebitano a Kirill crimini morali nel benedire la guerra contro l’Ucraina e sostenere pienamente le azioni aggressive delle truppe russe sul suolo ucraino».
Mentre scriviamo Il ministero della Difesa russo ha invece smentito le indiscrezioni circolate su alcuni media ucraini negli scorsi giorni, su un presunto «infarto» che avrebbe colpito il titolare del dicastero, Sergej Shoigu. La notizia era stata diffusa anche dall’imprenditore ex comproprietario della compagnia petrolifera Yukos, Leonid Nevzlin, sul proprio profilo Twitter.
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Gli ucraini annunciano di aver affondato l’incrociatore avversario vicino all’Isola dei serpenti. I russi negano: «Le esplosioni sono state causate da un incendio». In ogni caso per il Cremlino è un brutto colpo.Della città del Sud Est non resta nulla. Gli invasori ripuliscono le strade per la parata del 9 maggio. Mosca accusa: «Bombardati due villaggi nella regione di Belgorod»Lo speciale contiene due articoliSecondo la Cnn e il New York Times l’incrociatore missilistico russo Moskva (Mosca) è rimasto «seriamente danneggiato» da un’esplosione. Ma è stato un guasto tecnico oppure sono stati gli ucraini a colpire quella che è ritenuta la nave ammiraglia dei russi che incrociava nelle acque territoriali ucraine? Il ministero della Difesa ucraina ha comunicato di aver lanciato due missili Neptune, che hanno un raggio di circa 300 chilometri, nei pressi dell’Isola dei serpenti, a soli 35 chilometri dalle coste dell’Ucraina e della Romania. Anche stavolta, secondo alcune fonti ucraine, sarebbero stati della partita dopo i successi conseguiti sulla terra ferma, i micidiali Bayraktar TB2, i droni turchi sviluppati dalla azienda Baykar Technologies che avrebbero attaccato la nave prima del lancio dei missili, in modo da ostacolare l’equipaggio e compromettere le difese del Moskva. Ma che nave è questo incrociatore missilistico? Ci aiuta a capirlo l’analista strategico Franco Iacch: «Gli incrociatori missilistici della classe Slava Progetto 1164 Atlant da 11.500 tonnellate, sono stati progettati in ruolo Carrier Killer in supporto agli incrociatori missilistici a propulsione nucleare classe Kirov Progetto 1144 Orlan. Le Slava sono state specificatamente progettate per ingaggiare i gruppi da battaglia delle portaerei Usa. In virtù del loro ruolo primario la classe Slava, strutturata su tre unità, imbarca 16 missili da crociera supersonici antinave SS-N-12 Sandbox. Non è chiaro se la Moskva, commissionata alla Marina sovietica nel 1983 e ammiraglia della flotta del Mar Nero, abbia ricevuto i più moderni P-1000 Vulkan. La classe Slava funge anche da potente strumento di difesa dell’area conferita dai 64 missili SA-N-6 Grumble imbarcati». Ma sull’attacco è tutto chiaro? Magari. Avete presente quanto accaduto lo scorso 9 aprile contro la stazione di Kramatorsk, dove a causa di un missile Tochka-U, in dotazione non solo alle forze armate ucraine ma anche a quelle russe, sono morte 60 persone tra le quali almeno dieci bambini? Ecco siamo nella stessa situazione. Come allora le versioni delle parti belligeranti sono discordanti e le fake news abbondano. Facciamo ordine. Le autorità militari di Kiev rivendicano il successo che è anche simbolico dell’operazione, mentre il ministero della Difesa russo ha reso noto che sull’incrociatore «c’è stato un incendio che ha fatto esplodere le munizioni a bordo», aggiungendo che il Moskva non è affondato e che le esplosioni a bordo sono finite. Nemmeno il tempo di cercare delle conferme che il Comando operativo meridionale ucraino con una nota ha rincarato la dose. L’incrociatore russo? «Si è capovolto e ora sta affondando». Fin qui le parole delle due parti mentre non ci sono fotografie, immagini provenienti dai preziosi satelliti o video che possano chiarire cosa sia realmente accaduto, ma come nella vicenda di Kramatorsk basterebbero le verifiche sui satelliti per dirci cosa è successo, quando, come e chi è stato. Mentre scriviamo il governatore del distretto di Odessa, il colonello Maksym Marchenko, sul suo canale Telegram ha scritto: «I nostri missili antinave Neptune hanno colpito e causato danni gravissimi all’incrociatore russo». In assenza di prove sappiamo che qualcosa di grave è successo perché le autorità moscovite, hanno confermato che il Moskva è stato rimorchiato ed è diretto verso un porto sicuro. In ogni caso che la nave sia stata affondata perché colpita dai missili ucraini, oppure come sostengono i russi che ci sia stata un’esplosione accidentale a bordo, questa è una brutta botta anche a livello di immagine per il Cremlino, che a oggi non può certo ritenersi soddisfatto dell’esito di quella che chiama ancora dopo 51 giorni, «operazione militare speciale». Il colpo è duro anche per la Marina militare russa che ora sa di non essere imbattibile e che ora potrebbe iniziare a temere per le sue 20 navi che si trovano davanti alla città di Odessa. Ma il sospetto che aleggia a Mosca è che l’altra notte nel Mar Nero ci sia stata una «manina» che ha aiutato gli ucraini. E nel Donbass cosa accade? Secondo il generale di Corpo d’Armata, Maurizio Boni: «Siamo in attesa di conoscere gli esiti dell’attesa offensiva del Donbass che i russi dovrebbero lanciare a seguito della riarticolazione e riorganizzazione del loro strumento operativo avviato da giorni e tuttora in corso. Lo scopo è quello di rinforzare la direttrice d’attacco del Sudest e unirla con quella meridionale per accerchiare il grosso delle forze ucraine (circa 90.000 uomini) schierate nella provincia del Donetsk. Per questo la conquista di Mariupol è così importante». In realtà sino a oggi si sono già verificate numerose puntate offensive dei russi, tutte respinte dall’esercito di Kiev, grazie a un’organizzazione difensiva collaudata da otto anni e anche all’abbondanza di informazioni d’intelligence fornite principalmente da Washington ai difensori. E cosa ne è dell’offensiva finale? Secondo il generale Boni «dovremo aspettare ancora dei giorni». In tal caso, sia per Mosca che per Kiev questa ulteriore fase del conflitto è decisiva. «Gli ucraini», continua Boni, «devono assolutamente evitare l’accerchiamento nel Donbass e i russi devono guadagnare più terreno possibile, almeno la totalità dei territori che dovrebbero ricadere sotto l’amministrazione di Mosca. 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Nelle immagini, i soldati di Kiev hanno le mani alzate e si consegnano alle truppe moscovite che trasportano anche alcuni feriti in barella. Secondo quanto viene narrato nel video, che sarebbe stato girato a Mariupol, i soldati ucraini avrebbero alzato bandiera bianca, arrendendosi. Inutile dire che la notizia non è stata confermata dal governo di Kiev ma in ogni caso a Mariupol non c’è più nulla, i corridoi umanitari sono solo sulla carta, anche perché i militari russi se ne guardano bene dall’informare le persone che sono nei rifugi. Inutile scandalizzarsi, la guerra purtroppo è questa. Brutta, sporca e cattiva oltre ogni limite e viene condotta da uomini che si perdono, specie se i conflitti durano a lungo, nelle strade nel male. Nella città, che è ormai ridotta a un cumulo di macerie, manca tutto: il cibo, i medicinali e l’acqua si beve facendo sciogliere la neve. Secondo quanto riportato dall’Ansa, che attraverso un suo inviato ha incontrato alcuni rifugiati di Mariupol, giunti a Dnipro da una settimana, «i primi a morire sono i bimbi più piccoli, per la fame». Secondo Petro Andryushchenko che fa parte dello staff del sindaco di Mariupol: «Il Cremlino nella nostra città sta preparando “la parata della vittoria” prevista per il prossimo 9 maggio». Secondo Andryushchenko, «Mosca avrebbe ordinato all’autoproclamata amministrazione filorussa, di ripulire parte del distretto centrale della città dai detriti e soprattutto dai cadaveri in modo da permettere la sfilata». Intanto si registrano nuove accuse da parte ucraina in merito ai crimini di guerra commessi dai russi nell’area di Kiev: qui nelle ultime due settimane sono stati rinvenuti 765 civili uccisi, di cui 30 sono bambini. Nella giornata di ieri, come se non bastasse il mistero relativo all’incrociatore russo, il governatore della regione russa di Bryansk -che si trova nella Russia europea sudoccidentale, capoluogo dell’omonima provincia, sul fiume Desna - ha dichiarato che le forze armate ucraine avrebbero bombardato due villaggi nella regione di Belgorod. Ci sarebbero sette feriti, tra cui una donna incinta e un bambino. Kiev ha smentito l’attacco mentre subito dopo i servizi segreti russi per l’interno (Fsb) hanno reso noto che anche un posto di frontiera nella regione di Bryansk è stato attaccato da colpi di mortaio dall’Ucraina. Infine sono ormai arrivati a 400 i sacerdoti della Chiesa ucraina che si appellano collettivamente al Consiglio dei primati delle chiese antiche orientali (la più alta corte dell’ortodossia mondiale) contro il patriarca di Mosca, Kirill, citandolo in giudizio. La notizia che è apparsa sull’Orthodox Times racconta di come i 400 sacerdoti sostengono «che Kirill predica la dottrina del mondo russo, che si discosta dall’insegnamento ortodosso e andrebbe condannata come eresia. E addebitano a Kirill crimini morali nel benedire la guerra contro l’Ucraina e sostenere pienamente le azioni aggressive delle truppe russe sul suolo ucraino». Mentre scriviamo Il ministero della Difesa russo ha invece smentito le indiscrezioni circolate su alcuni media ucraini negli scorsi giorni, su un presunto «infarto» che avrebbe colpito il titolare del dicastero, Sergej Shoigu. La notizia era stata diffusa anche dall’imprenditore ex comproprietario della compagnia petrolifera Yukos, Leonid Nevzlin, sul proprio profilo Twitter.
Ansa
Eppure, fino a pochi giorni fa, per la banca più antica del mondo l’aria era diventata irrespirabile. Le indagini della Procura di Milano avevano spinto il titolo giù dal cavallo, facendogli perdere miliardi di capitalizzazione. Le prime pagine dei giornali finanziari tremavano all’unisono: «aggiotaggio», «ostacolo alla vigilanza», «patto occulto». Parole che in Borsa funzionano come il fumo negli alveari: tutti scappano, nessuno chiede perché. Poi, lunedì, il colpo di scena. Spunta la parola magica che fa battere il cuore agli investitori: Consob. L’Autorità di vigilanza, finora poco loquace, aveva già detto a settembre che di «concerto» nella scalata a Mediobanca non ne vedeva traccia. E a Piazza Affari questo basta. Non è certezza, è una sfumatura, un mezzo sorriso, un sopracciglio alzato: ma per i mercati è come una benedizione papale. La Procura, però, non sembra aver preso bene la posizione dell’Autorità. Così ha inviato nuove carte, intercettazioni comprese, convinta che tra Luigi Lovaglio, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri ci fosse più di una semplice comunione d’intenti. Per i magistrati milanesi il trio avrebbe pianificato la conquista di Mps e poi la scalata a Mediobanca con la meticolosità di un architetto che disegna una cattedrale gotica.
Il punto è che dimostrarlo non è affatto semplice. Lo ha ricordato più volte lo stesso Paolo Savona, presidente della Consob, che sulla materia ha mostrato la cautela di un chirurgo: «Il concerto occulto è complesso da provare». Tradotto: puoi avere intercettazioni, sospetti, ricostruzioni, ma per far quadrare la tesi serve molto di più. E forse è questo che ha fatto scattare l’effetto molla sul titolo Mps: l’idea che la montagna giudiziaria rischi di partorire un topolino burocratico. Da qui in avanti il racconto assume i contorni della tragicommedia finanziaria. Milano manda documenti a Roma; Roma annuncia di valutarli. Gli investitori, che hanno il fiuto dei cani da caccia, interpretano la mossa come: «Sì, le carte le leggiamo, ma intanto non cambia nulla rispetto a settembre». E la banca di Siena - che ha passato negli ultimi dieci anni disastri che avrebbero fatto chiudere qualunque altro istituto occidentale - stavolta fiuta l’aria buona. Intanto gli analisti, quelli che il mercato lo guardano dall’alto del loro grafico preferito, si mostrano quasi papali: buy confermato, target price a 11 euro, fiducia intatta. Per loro la tempesta giudiziaria è un rumore di fondo. Una di quelle pioggerelline che fanno frusciare le foglie ma non cambiano le previsioni della vendemmia. Il paradosso è che anche Mediobanca, la presunta vittima designata del «concerto» inesistente, brinda. Alle 17 è a 16,48 euro, in rialzo dell’1,35%. Sembra quasi che il mercato si sia rassegnato a un’idea semplice: questa storia finirà in un grande nulla di fatto, come tante vicende finanziarie italiane in cui i protagonisti si guardano negli occhi e dicono: «Abbiamo scherzato». È un Paese curioso, l’Italia. Le accuse volano come coriandoli, i titoli crollano, la politica si indigna, i pm lavorano a pieno ritmo. Poi basta una riga in una relazione Consob - nemmeno una conclusione, solo un orientamento - e tutto si ribalta.
Il caso Mps dimostra ancora una volta che nel nostro mercato finanziario non c’è nulla di più potente della percezione. Non la verità processuale, non gli atti, non i faldoni. La percezione. Se la Consob solleva un sopracciglio, Mps vola. Se la magistratura invia nuove carte, il titolo magari trema per qualche ora, ma poi risale. È il teatro della finanza italiana: un luogo dove le istituzioni recitano, il pubblico interpreta e il mercato decide chi applaudirà. Intanto, a Siena, si festeggia. Non apertamente, perché la prudenza è d’obbligo. Ma nei corridoi, tra una planata di grafici e una riunione lampo, dev’essere tornato a circolare un pensiero che la banca aveva sepolto da tempo: forse stavolta siamo davvero usciti dal tunnel. Non è detto, perché le carte giudiziarie hanno vita propria e la Procura non ama essere smentita. Ma di certo lunedì è successo qualcosa. La banca più antica del mondo ha mostrato di avere ancora schiena, gambe e fiato. E soprattutto una cosa che da anni le mancava: fiducia. Il resto lo farà il tempo. E, naturalmente, la Consob. Che con un cenno, anche involontario, riesce ancora a muovere montagne. O almeno a far correre Mps come non succedeva da un pezzo.
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Il 43,8 % degli italiani ha detto di non ritenerla utile. «È una riflessione importante», osservava Ghisleri nel programma Realpolitik di Tommaso Labate su Rete 4, «perché vorrebbe dire che la legge sul consenso verrebbe utilizzata come deterrente, ma non sarebbe utile perché manca l’educazione». Ricordiamo che la legge, che introduce nel Codice penale il concetto di «consenso libero e attuale», è stata approvata all’unanimità alla Camera e presentata come un accordo bipartisan tra il premier Giorgia Meloni e il segretario del Pd, Elly Schlein. In commissione Giustizia, la coalizione di governo ha chiesto un nuovo passaggio, scatenando la reazione dell’opposizione che ha parlato di un «voltafaccia», di patto politico tradito. Ancor più singolare è che, nel sondaggio, sia stato il 37,6% delle donne a non ritenere la norma sullo stupro utile a scoraggiare o impedire la violenza sessuale, rispetto a un 38,8% convinto che serva. Perciò, se il 51,6% degli italiani interpellati crede che sia necessaria una legge che inasprisca il reato, ridefinendone le modalità (il ddl torna questa settimana in commissione a Palazzo Madama), la maggior parte di questo campione non lo considera un deterrente effettivo.
Inevitabile chiedersi il senso, allora, di una legge che complica all’inverosimile l’onere della prova di un consenso non «libero e attuale» (e il non poterlo provare può diventare equivalente all’aver commesso il reato), mentre poco inciderebbe nella protezione delle donne. Non la crede utile non solo l’elettorato di centrodestra (47,9% delle risposte, rispetto al 38,2% di «sì»), ma anche una bella fetta di coloro che votano a sinistra (34,3% i «no», 43,3 % i «sì»). E se può non sorprendere che il 53,6% degli elettori di Fratelli d’Italia abbia detto di con credere alla legge come prevenzione di episodi di violenza, è significativo che la pensi allo stesso modo il 38,5% di quanti votano Pd e che appena il 36,5% dei dem la consideri, invece, utile.
Quindi nei due partiti rappresentati da Giorgia Meloni e da Elly Schlein sono più forti le perplessità, circa l’approvazione del ddl come misura deterrente. Quanto all’impatto del reato di violenza sessuale riformato sulla base di un accordo Meloni-Schlein, restano sempre forti le riserve degli italiani. Non tanto perché non serva una legge dura (oltre il 53% sia a sinistra sia a destra si dice a favore), ma in quanto non risulta ben formulata. Non definisce che cosa costituisce consenso, anche nelle forme non verbali e nemmeno chiarisce quali elementi probatori possono dimostrarlo o escluderlo. «Si pensa che questi requisiti di libertà e attualità siano puntualizzati a tutela della donna e a vincolo e controllo per l’uomo: anche qui siamo di fronte a un ribaltamento concettuale e fisico della prova, spesso sono le donne che prendono l’iniziativa e non si può “pregiudizialmente” pensare al maschio come attaccante-persecutore, attizzatore di incendi passionali che si trasformano in atti di coercizione nel “fare” e nell’insistere», osservava due giorni fa su Startmag Francesco Provinciali, già giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Fanno pensare, inoltre, gli esiti di un altro sondaggio che è stato riportato sempre da Ghisleri. «Abbiamo chiesto quali sono le paure più grandi (degli italiani, ndr), al primo posto ci sono le aggressioni e le minacce (22,7%), seguite da rapine in casa (20,5%), furti e rapine (19,4%), truffe e frodi (16,6%)». La violenza sessuale risultava solo al quinto posto (9,4%) come preoccupazione. Eppure, dai primi dati emersi dall’indagine 2025 sulla violenza contro le donne condotta dal dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio e l’Istat denominata «Sicurezza delle donne», risultano aumentate «dal 30,1% al 36,3% le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai Centri antiviolenza e gli altri servizi specializzati (dal 4,4 del 2014 all’8,7% del 2025)».
Evidentemente, la certezza della pena non è un deterrente. Rispetto al passato, c’è una diversa sensibilità verso la violenza sessuale e i diversi contenuti giuridici che il reato ha assunto nel tempo, però occorrono strategie volte all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della violenza, formando operatori (dalla scuola alla magistratura, passando per i servizi sociali). Serve rendere operativo ovunque il percorso di tutela per le donne che hanno subito violenza e perseguire chi l’ha provocata. Discutere di pertinenza e liceità all’interno della coppia, criminalizzando a priori, non argina la violenza sessuale.
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Quella al ladro, invece, è finita «grazie» all’intervento di quanti hanno braccato un albanese di 40 anni finito poi in ospedale con 30 giorni di prognosi. Il messaggio della questura è chiaro, «nessuna giustizia fai da te». Ma la corsa a identificare i residenti che hanno inseguito il ladro, alcuni forse armati di piccone tanto da provocargli una frattura al bacino, per la comunità è difficile da digerire. «In casa con me vivono mia moglie e i miei due bambini piccoli. Per fortuna, in quel momento non eravamo presenti. L’allarme è scattato ma le forze dell’ordine sono arrivate una decina di minuti dopo: il tempo sufficiente perché i ladri scappassero», scrive in una lettera al sito Aostasera.it un cittadino che vive in una delle case finite nel mirino dei ladri. «Non vuole essere un rimprovero ai carabinieri che sono intervenuti, ma il dato di fatto di un territorio in cui i tempi di reazione non sono adeguati alla pressione dei furti che subiamo da mesi». Addirittura cinque o sei i raid di furti verificatisi a partire dall’estate. Troppi per il paesino che ormai vive nell’angoscia.
Lo scorso venerdì erano passate da poco le 19 quando un massaggio da parte di un cittadino ha fatto scattare l’allarme: «Sono tornati i ladri». E di lì il tam tam da un telefonino all’altro: «Fate attenzione, chiudete le porte». Il rumore provocato dai ladri nel tentativo di aprire una cassaforte richiama l’attenzione dei cittadini che chiamano i carabinieri. In poco tempo, però, scatta il caos perché in molti si riversano in strada. Partono le urla, le segnalazioni, alcuni residenti sono armati di bastoni. Qualcuno parla di picconi ma i cittadini, oggi, negano. Uno dei malviventi scappa verso il bosco mentre l’altro viene individuato grazie all’utilizzo di una termocamera e fermato. Ha con sé la refurtiva, 5.000 euro, gli abitanti gli si scagliano contro e solo l’intervento dei carabinieri mette fine al linciaggio oggi duramente stigmatizzato dal questore Gian Maria Sertorio: «La deriva giustizialista è pericolosissima, le ronde non devono essere fatte in alcun modo, bisogna chiamare il 112 e aspettare le forze dell’ordine». Dello stesso avviso il comandante dei carabinieri della Valle d’Aosta, Livio Propato, che ribadisce un secco «no alle ronde e alla giustizia fai da te. Non bisogna lasciarsi prendere dalla violenza gratuita perché è un reato. E si passa dalla parte del torto. I controlli ci sono, i furti ci sono, ma noi tutti stiamo facendo ogni sforzo per uscire tutte le sere con più pattuglie e quella sera siamo subito intervenuti».
Già, peccato che, a quanto pare, tutto questo non basti. Negli ultimi mesi il Comune si era attrezzato di una cinquantina di telecamere per contrastare le incursioni dei ladri ma senza successo. «A livello psicologico è un periodo complicato», stempera il sindaco Alexandre Bertolin, «le forze dell’ordine fanno del loro meglio ma non si riesce a monitorare tutto. Abbiamo le telecamere ma al massimo riusciamo a vedere dopo il fatto come si sono mossi i ladri». E anche qualora si dovesse arrivare prima e si riuscisse a fermare il ladro, commentano i cittadini, tutto poi finisce in un nulla di fatto.
«Leggendo le cronache», si legge sempre nella lettera a Aostasera.it, «si apprende che il ladro fermato sarebbe incensurato. Temo che questo significhi pochi giorni di detenzione e una rapida scarcerazione. Tradotto: io resto l’unica vittima, con la casa a soqquadro, i ricordi rubati e la paura addosso; lui invece rischia di cavarsela con poco senza dover dire chi lo aiutava e dove sono finiti i nostri beni».
Un clima di esasperazione destinato ad aumentare ora che si scopre che nemmeno difendersi sarebbe legittimo. Intanto, per il ladro, accusato di furto e in carcere fino al processo che si terrà il 19 dicembre, la linea difensiva è già pronta . Quella di un cuoco con figli piccoli da mantenere e tanto bisogno di soldi. «Mi hanno mandato altri albanesi», dice. In attesa di vedere quale corso farà la giustizia, i cittadini ribadiscono che l’attesa inerme non funziona. «Quando la legge non riesce a proteggere chi subisce i reati, le persone, piaccia o no si organizzano da sole. Se vogliamo evitare che episodi come questo si ripetano non dovremmo essere stigmatizzati. Occorre dare alla comunità strumenti per sentirsi protette. Prima che la rabbia prenda il sopravvento». Non proprio la direzione in cui sembra andare ora l’Arma.
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«Little Disasters: L'errore di una madre» (Paramount+)
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
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