2020-11-03
Colle in campo per manovrare i governatori
Giuseppe Conte cerca di fare scaricabarile sui presidenti, che però si oppongono a chiusure locali e invocano restrizioni nazionali Interviene Sergio Mattarella, che chiama Stefano Bonaccini e Giovanni Toti per invitarli «a unire gli sforzi a prescindere da geografia e partigianerie».È il gioco del cerino acceso, l'ultimo che lo riceve si scotta. E non c'è governatore che abbia voglia di dedicarsi allo sport preferito di Giuseppe Conte. Ancora ieri il premier ha temporeggiato replicando la strategia di marzo, quando decretò il lockdown solo dopo che a chiederglielo erano state le Regioni più colpite e i sindaci lombardi. O la strategia di aprile, quando disse (smentito dalla Costituzione e dai magistrati) che le zone rosse non erano compito suo. O la strategia di maggio, quando provò a sfilarsi da ogni responsabilità fingendo di delegare la terrificante fase 2 a Vittorio Colao. Adesso ci risiamo.la CampaniaPalazzo Chigi continua a sponsorizzare chiusure locali, zone rosse regionali, provinciali o comunali dove ce ne fosse bisogno. E, sull'onda di messaggi sempre più allarmanti dal comitato tecnico scientifico e dalla batteria di virologi da talk show, preme perché «ogni Regione si assuma le proprie responsabilità». Per chiamarsi fuori, Conte ha inventato le tre aree di rischio nelle quali sarà suddiviso il Paese per intensità di contagio e quindi per importanza di restrizioni. Ma anche qui «l'ingresso di un territorio in una delle tre aree verrà deciso dal ministero della Salute in base agli indicatori dell'Istituto superiore di sanità». Lui, in base a una delle regole più scientificamente sofisticate contro il virus cinese, si limita a lavarsene le mani.Nessun governatore intende cadere nella trappola, anche perché nessuno ha garanzie di poter finanziare i ristori con i propri denari, visto che da Roma non arriva praticamente niente. Così in molti chiedono al governo di decidere misure nazionali. Uguali per tutti. Nel rispetto dei dati che indicano «una diffusione del virus uniforme in tutto il Paese. Le differenze riguardano l'ampiezza del tracciamento che variano da Regione a Regione», sostiene Attilio Fontana, che non intende blindare la Lombardia (20% del Pil) ed è contrario a blocchi territoriali che «sarebbero inefficaci e incomprensibili ai cittadini». Il nocciolo del problema riguarda Milano, che nessuno - tantomeno il sindaco Giuseppe Sala - vorrebbe chiudere. Il ragionamento è corretto: se una Regione ha più contagi ma il triplo dei tamponi processati non ha senso penalizzarla rispetto a territori nei quali il tracciamento è sporadico e casuale. È ancora Fontana a farsi interprete del pensiero di colleghi come Giovanni Toti, Stefano Bonaccini e Vincenzo De Luca: «Se i tecnici ci dicono che l'unica alternativa è il lockdown, facciamolo a livello nazionale». In caso contrario coprifuoco, restrizioni di movimento per gli over 70, altre chiusure in attesa di vedere la curva epidemiologica. Dal punto di vista politico la trasversalità è totale, almeno quanto la diffidenza dei presidenti di Regione nei confronti del premier e della sua abilità nello sfuggire alle responsabilità. De Luca ha cambiato totalmente idea in una settimana. Prima era dell'idea di mettere il lucchetto alla Campania e di difenderlo con il lanciafiamme, poi ha capito che la sua zonetta rossa ad Arzano è miseramente fallita perché dai tratturi di campagna uscivano anche i bambini. Un groviera, con un'aggravante: nessuno vuole sottoporsi al tampone. Su 34.000 abitanti, solo 5.000 si sono messi in fila. Il flop lo ha indotto alla retromarcia e oggi dice: «La logica delle chiusure territoriali non ha senso perché l'epidemia è diffusa, i livelli di controllo non esistono».Nella mappa dei favorevoli e dei contrari si nota un diverso pensiero all'interno di un partito localista come la Lega, dove uno dei campioni della lotta al Covid, Luca Zaia, sembra in linea con Conte nell'opporsi a un lockdown generalizzato. «Se proprio dovessero esserci misure restrittive, dovrebbero concretizzarsi in chiave locale». E spinge per far eseguire i tamponi ai medici di famiglia in base a un accordo nazionale che va rispettato. «Chi non lo rispetta verrà sanzionato». Lockdown è considerata una parolaccia anche per sindaci come Dario Nardella (Firenze) e Antonio Decaro (Bari, presidente dell'Anci nazionale). Vade retro zona rossa, con la consapevolezza che se i contagi dovessero salire ancora e le terapie intensive riempirsi, saranno necessarie nuove chiusure «uniformi per tutto il Paese».tritacarneI governatori non vogliono finire nel tritacarne mediatico al posto di Conte o sfilare in vece sua davanti ai magistrati (un'epidemia colposa non si nega a nessuno). Così ieri si è dovuto muovere il principale tutor del governo, il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha parlato con Bonaccini e Toti, presidente e vice della Conferenza delle Regioni. Un richiamo sostenuto a «unire gli sforzi di tutti a prescindere da ruolo, appartenenza politica o geografica, mettendo da parte partigianerie, protagonismi ed egoismi». Un appello alla coesione indirizzato a due fra i governatori più attenti a non farsi prendere in mezzo. Perché anche Bonaccini, oggi bandiera local del Pd, non più tardi di 24 ore fa ha detto: «L'area metropolitana di Bologna per ora non si chiude». La partita ha un aspetto economico non secondario; se il cerino scotta, i soldi sono quelli del Monopoli. E nessun governatore vuole assumersi la responsabilità di sostituire il ministro Roberto Gualtieri nel raccontare le favole. «Il governo darà tutto il sostegno necessario, ci sono le risorse», ha detto. Non ci crede più nessuno. Girano le pale, ma non sono quelle dell'helicopter money.