2020-04-16
Colao scavalca la task force Pisano. Sceglie lui la app
In soffitta il team di 74 esperti. Il tracciamento dei positivi verrà deciso dall'ex ad Rcs. Uno schiaffo all'agenda digitale del M5s.Si spengono le luci intorno alla task force digitale nata appena due settimane fa (era il 31 marzo), creata dal ministro dell'Innovazione Paola Pisano per proporre soluzioni tecnologiche per la gestione dell'emergenza sanitaria. Dopo qualche incontro all'inizio, da quasi una settimana i 74 membri del gruppo multidisciplinare non si ritrovano più. «È superata», dice chi sta seguendo da vicino i lavori del comitato di esperti che avrebbe dovuto selezionare l'applicazione con cui i cittadini italiani sarebbero stati tracciati per muoversi in sicurezza nella famigerata Fase 2 promessa dal governo Conte. Tutto finito? La pagina Internet del ministero esiste ancora, ma l'evolversi degli eventi delle ultime ore ha riposto in frigorifero proposte, idee, bandi e decisioni. Insomma le saracinesche si sono abbassate. Il motivo? Tra i tanti organizzativi - manca un sistema integrato intorno all'applicazione di tracciamento - ce n'è soprattutto un altro di non poco conto. L'arrivo al timone delle operazioni della nuova task force «ripartenza» di Vittorio Colao, l'ex manager Vodafone che sta di fatto commissariando il governo sui prossimi passi per l'uscita dall'emergenza sanitaria. C'è voluto Colao perché si parlasse di autocertificazione digitale, dopo una girandola di fogli(quattro versioni diverse) e di multe per i cittadini.Si chiude quindi con un nulla di fatto la proposta del ministro Pisano, esponente di punta del movimento 5 stelle, il partito che ha fatto la rivoluzione digitale una sua bandiera. Le promesse roboanti, al momento, restano solo sulla carta. Anche del bando a cui hanno partecipato 319 aziende non si sa più nulla. Negli ultimi giorni sono circolate diverse ipotesi sui possibili vincitori, ma anche su questo non ci sono certezze. Si era parlato di Bending Spons (azienda digitale milanese dove è socio di minoranza anche Luigi Berlusconi) insieme con il centro medico Santagostino del manager renziano Luca Foresti. O si era anche fatto cenno ai lavori dell'ex parlamentare di Scelta civica Stefano Quintarelli. Per ora è tutto fermo, rinviato a data da desinarsi. Forse non si saprà mai, come già diversi addetti del settore che ritenevano impossibile la realizzazione di un dispositivo tecnologico di questo tipo in un Paese che non ha ancora digitalizzato l'intera pubblica amministrazione e ha un sito dell'Inps troppo debole.Del resto, il pallino della situazione è ora in mano al nuovo gruppo di esperti di Colao che martedì ha espresso tutti i suoi dubbi alla Pisano che continua a insistere su un modello di tracciamento anonimo, solo su base volontaria e su tecnologia bluetooth. L'ex manager di Vodafone vedrebbe bene invece un tracciamento tramite Gps in aggiunta a triangolazioni su celle telefoniche. In sostanza si tratta di due posizioni opposte su cui il ministro non ha potuto far altro che abbozzare. Nel frattempo anche la Commissione europea ha iniziato a farsi sentire. E ieri ha diramato una serie di indicazioni per gli Stati membri, spiegando che «l'uso di tali applicazioni mobili dovrebbe essere volontario per le persone, in base a consenso degli utenti e nel pieno rispetto della privacy europea e della protezione dei dati personali. Quando utilizzano le app di tracciamento, gli utenti dovrebbero mantenere il controllo dei propri dati. Le autorità sanitarie nazionali dovrebbero essere coinvolte nella progettazione del sistema». Ma sempre ieri dovevano essere inviate proposte a Bruxelles da parte dei singoli stati. L'Italia non c'è. Del resto, le premesse alla creazione di un'applicazione non sono state delle migliori. Prima è stato aperto il bando (era il 20 marzo) aperto a università, cooperative e consorzi, poi è stato creato il gruppo dei 74, che doveva essere in principio solo di 30. Poi c'è stato il sospetto, mai superato anche perché la liste non è mai stata resa pubblica, che tra i membri del comitato ci fosse anche qualcuno che avesse presentato una proposta. Nel frattempo la comunità digitale italiana, da semplici utenti Twitter a esperti fino a hacker etici, si è data da fare. Ha chiesto trasparenza sul processo decisionale, ha chiesto chiarezza e messo in rilievo i problemi delle applicazioni già presenti a livello regionale, talvolta troppo vulnerabili. Ma a lato di questo, il gruppo della Pisano ha subito capito di avere troppe criticità di fronte per poter realizzare un'operazione nello stile di altri Paesi, come per esempio Singapore. A supportare l'applicazione non c'è nulla. Innanzitutto non c'è un accordo tra i ministeri, Viminale, Salute e Innovazione. Non esiste una rete intorno. Non c'è un sistema integrato. Non è stata pianificata la logistica, non ci sono nemmeno i tamponi con cui poter definire chi è contagiato e chi no né un test sierologico validato a livello nazionale. È evidente anche a chi non si intende di tecnologia che un'applicazione fine a sé stessa sul telefonino serve a ben poco se non integrata con altri servizi. Servono cabine di regia che analizzino il flusso dei dati, servono soprattutto kit diagnostici. La stessa Pisano nel suo discorso l'8 di aprile in audizione alla Camera dei deputati l'aveva detto: «L'applicazione è parte di un sistema integrato del quale i protagonisti saranno inevitabilmente aspetti non tecnologici. Rivolgiamo la nostra attenzione su un meccanismo che ha una valutazione scientifica e tecnica e denota una sua validità, tuttavia non dobbiamo escludere che ci siano aspetti da perfezionare». Ma al momento non ci sono neanche gli aspetti.
L'infettivologa Chiara Valeriana