2020-08-02
Ci vogliono modifiche strutturali non queste imposizioni poliziesche
Nessuna condizione eccezionale, per definizione, può essere prorogata a lungo. Chi ci governa si approfitta della pandemia per i propri interessi personali e impedisce agli italiani di ricominciare a vivere normalmente.Questa pandemia, come altre che l'hanno preceduta, sta cambiando molto velocemente il mondo. Ma la cattiva politica, invece di capire il senso del cambiamento, ne approfitta per farsi i propri personalissimi interessi. Come Giuseppi che col Covid-19 incassa un'«emergenza» che non c'è, ma serve a disabituare alla libertà. Con l'appoggio del professor Gustavo Zagrebelsky che spiega che l'emergenza, buona e democratica, non è l'«eccezione», cattiva e autoritaria, e che la prima, come un qualsiasi Sos in navigazione chiede solo legittimamente: «Fate presto». Peccato che nessun Sos di navigante pretenda di durare tre o sei mesi. O i soccorsi arrivano, alla svelta, o la nave affonda. Nessuna emergenza sanitaria rimane tale a lungo tempo, altrimenti non è più un'emergenza ma un naufragio. È il rischio dell'Italia.Lo stile dei giuseppi e loro cantori è l'opposto: non la velocità operativa dell'emergenza, ma l'indecisione di un potere senza principi e senza idee, che però non vuole andarsene dalla tolda del comando di cui tutto ignora. Tutto si può dire della gestione giuseppina dell'epidemia, tranne che sia stata affrettata. Dal «dobbiamo prima capire» durante il non breve inizio, al liberalizzare gli sbarchi di clandestini quando il virus si era già diffuso anche in Africa e Medio Oriente, con gestione ultrapermissiva dei clandestini stessi anche infettati, è stato tutto un evitare decisioni.L'emergenza non è stata impiegata per proteggerci dai pericoli addensati sulla testa degli italiani, ma per indebolire le loro libertà: di movimento, di opinione, di decidere di sé e del proprio futuro. Per chiuderli in casa, fermare le attività formative (scuola, università, formazioni), indebolire la libera iniziativa. La pandemia è così stata sfruttata per attribuire poteri, creare «task force» (come ama dire Giuseppi). Sostituendo così agli organi esistenti squadre di tecnocrati «usa e getta», e moltiplicando i tentativi di esautorare le funzioni e i poteri delle Regioni e creare una burocrazia avventizia di mercenari assoldati per mettere in crisi le istituzioni.Dell'arroganza verso i diversi settori produttivi è esempio eloquente l'invito a cambiare mestiere rivolto dal viceministro all'economia Laura Castelli ai ristoratori in difficoltà. Con molteplici interventi dello stesso tipo a opera dei vari ministri e relativi vice ha preso forma così la politica del «Tutti a casa, imprenditori e lavoratori», diretto a ingrossare le fila dell'esercito di sbandati prodotti dal governo e affidati con bonus di vario tipo alla rieducazione a opera dei tecnici della disoccupazione, formatisi nell'ambito del Movimento, preferibilmente in Università online ben viste dai cinesi. Un piano di decostruzione complessiva dello Stato e della sue strutture produttive e amministrative, con associazioni di categoria e sindacati sostituiti dalle burocrazie di partito mascherate da task force o simili. È forse il primo colpo di Stato a opera di disoccupati cronici realizzato in Europa Occidentale negli ultimi 50 anni. Un soggetto ideale per il regista Mario Monicelli, se non avesse gettato la spugna prima, avendo già da tempo intuito come sarebbe finita. Questa goffa operazione di occupazione del potere e sostituzione di un'economia di mercato con un socialismo de noantri ha preso il posto dell'opportunità offerta sul piatto della pandemia alle economie più avanzate (cui l'Italia comunque appartiene, malgrado i suoi politici arretrati). Opportunità invece subito colta da altri; tra i quali i Paesi «frugali», da noi scompostamente derisi. Si trattava del farsi finanziare dal sistema monetario internazionale l'ammodernamento di aspetti ormai non più rinviabili del nostro apparato industriale e di consumo, riconosciuti da tutti come cause della diffusione dell'epidemia nelle zone del pianeta nella quali il Covid-19 ha colpito prima e con più forza, a cominciare dalle pianure lombarde. Un tema che è rimasto pressoché assente dai dibattiti sulla gestione dell'epidemia da parte del governo (disinteressato alla questione), e dai vari media, con l'eccezione di questo giornale. La questione è stata invece ben presente, oltre che negli ambienti dell'industria e della finanza, attenti alla realtà per professione oltre che per l'ormai indispensabile attenzione all'ecologia industriale, a settori dell'Università e della ricerca, non ancora ridotti al silenzio dall'interessato confusionismo governativo. È così - ad esempio, che a Pisa già nella prima metà di aprile la docente dell'Università di Harvard Francesca Dominici e Gianluigi De Gennaro, coautore di un rapporto della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) con le Università di Bari e di Bologna hanno evidenziato i rapporti tra inquinamento atmosferico e diffusione dell'epidemia nei territori della Pianura padana con lo sforamento di Pm10 a febbraio, in concomitanza con la diffusione del Covid-19. Il gruppo di studio osservava come invece: «nella quarantena in Italia la percezione sia stata eccessivamente schiacciata sulle responsabilità individuali e sulla paura del corpo dell'altro.» E invitava invece a temere maggiormente gli aspetti di fondo del problema: la crisi ecologica complessiva e l'inquinamento dell'aria che indebolisce l'uomo e moltiplica e rende più temibili i virus. Così invece di dare una risposta strutturale alla più importante pandemia del nostro tempo dopo la spagnola di un secolo fa, intervenendo sull'aria inquinata dalle emissioni industriali in cui i virus si moltiplicano, si è data una risposta poliziesca. Non potendo arrestare i virus né ripulire i combustibili si sono confinati gli uomini nelle loro abitazioni, provocando così, oltre che infiniti e gravi disturbi fisici e psichici, come illustrato anche dal rapporto al governo inglese, una crisi economica dai gravissimi costi umani e sociali. Un modo primitivo di affrontare una crisi in cui si sommano i molteplici problemi prodotti sulla salute dagli ultimi due secoli di sviluppo tecnico e industriale. Ragionarci sopra, e vedere come affrontarli, non era particolarmente difficile né «rivoluzionario», ma puro buonsenso. Tanto è vero che le maggiori istituzioni pubbliche e private del mondo capitalistico internazionale l'hanno fatto subito, con rapporti, raccomandazioni e interventi sui governi perché realizzassero al più presto «economie sostenibili». Si tratta (hanno detto e scritto, dall'Onu ai maggiori fondi di investimento) di sostenere lo sviluppo rafforzando contemporaneamente la salute dell'uomo, indebolita dalle molteplici malattie dell'abbondanza, a partire da tumori, diabete e cardiopatie, grandi alleati del Covid-19. Senza dimenticare il pianeta con i suoi altri abitanti (come batteri e virus), moltiplicati e pericolosamente avvicinati all'uomo da un processo di industrializzazione selvaggia.Tante belle cose insomma, da imparare e da fare. Ma Giuseppi ci vuole a casa, mascherati e intossicati. È l'emergenza, bellezza.