2022-05-10
Chi vuole incastrare l’Eni usando D’Alema?
Sui giornali altre dichiarazioni di Amara contro l’ex premier e l’ad dell’azienda. Ma pure stavolta qualcosa non torna. A partire dai plichi anonimi di un «corvo» che ha cercato di inchiodare il Cane a sei zampe facendo arrivare 35 milioni all’amico di Baffino.Dal vaso di Pandora delle dichiarazioni di Piero Amara spunta una storia che chiama in causa alcuni personaggi vicini all’ex premier Massimo D’Alema, ma anche i vertici dell’Eni. Una vicenda che avevamo anticipato lo scorso autunno.In una registrazione agli atti il lobbista romano Alessandro Casali, captato di nascosto da Giuseppe Calafiore, sodale di Amara, ammetteva di essere a conoscenza di una trattativa che doveva consentire alla Blue power di Francesco Nettis, ex socio e amico dell’ex premier, di incassare dall’Eni 120-130 milioni attraverso una transazione per un affare mai concluso, ovvero la vendita di una nuova tecnologia per trasportare, comprimendolo, gas naturale di un giacimento norvegese. Un accordo che sarebbe stato messo a punto durante un incontro nella sede di Italianieuropei, la fondazione presieduta da D’Alema. Una vicenda che lo stesso Calafiore ha così ricordato a Casali nel file audio: «Tu mi dicesti, quando sei uscito dalla fondazione Italianieuropei: “Beppe, 10 milioni li dobbiamo mettere da parte”». Soldi che avrebbero dovuto essere indirizzati verso una società di advisory, di quelle che abbiamo già visto in azione nel Colombia-gate. Mentre altri 3 milioni avrebbero dovuto essere accantonati per la campagna elettorale di Leu. Fin qui tutte chiacchiere, visto che di questi denari sino a oggi non ci risulta sia stata trovata traccia. Noi, già sette mesi fa, avevamo provato a verificare questo racconto, contattando Salvatore Carollo, manager prima in forza all’Eni e poi proprio a Blue power, uomini vicini a D’Alema e la stessa compagnia petrolifera. La quale aveva ridimensionato, carte alla mano, l’esagerazione di Calafiore & C. che parlavano di 120 milioni, spiegandoci di aver firmato una transazione da circa 30 milioni di euro per evitare di far lievitare il costo delle spese legali, in questo caso parametrato alla richiesta risarcitoria miliardaria e che in Italia, nel procedimento Opl 245, era schizzato oltre i 60 milioni di euro. Una montagna di denaro spesa per un processo conclusosi con una assoluzione. A Londra il Cane a sei zampe non era neppure sicuro che il contenzioso finisse a proprio favore, vista l’accusa non del tutto peregrina di non aver attuato «ogni migliore strategia» presso il partner norvegese per ottenere il consenso all’utilizzo della tecnologia offerta da Blue power. Insomma rischiavamo di trovarci di fronte all’ennesima boutade di Amara. Ma la Procura di Perugia e quella di Milano, a cui gli inquirenti umbri hanno trasmesso questo filone per competenza, devono averla pensata diversamente, anche perché effettivamente al centro della questione non ci sono noccioline. E così quei 35 milioni sono diventati a distanza di sette mesi una notizia succosa. Soprattutto dopo che il Colombia-gate ha travolto Baffino. Il Domani nelle scorse ore ha titolato: «Così l’Eni ha dato 35 milioni all’ex socio di D’Alema», lasciando ipotizzare una qualche complicità nell’affare da parte dell’attuale management della compagnia petrolifera. È noto ai nostri lettori che, come sempre, nelle storie raccontate da Amara, verità e bugie si mescolino perfettamente, creando un impasto gelatinoso difficile da dipanare. Per esempio Amara era certamente in rapporti, oltre che con Casali, anche con un altro dalemiano del livello di Andrea Peruzy, segretario generale di Italianieuropei. È anche vero che la società Blue power appartiene alla famiglia di Francesco Nettis, già socio dei due figli dell’ex premier nell’azienda agricola La Madeleine. Ma qui il problema è un altro. La transazione tra Eni e Blue power è stata favorita da un intervento diretto sui vertici dell’Eni da parte di D’Alema? Inchiesta al capolinea?Verrebbe da rispondere di no dopo aver sfogliato la denuncia presentata il 15 ottobre 2019 dall’ad di Eni Claudio Descalzi alla Procura di Milano, per la quale il 2 maggio scorso, esattamente una settimana fa, il procuratore aggiunto Laura Pedio ha chiesto l’archiviazione. L’8 luglio 2019 alla Direzione affari legali dell’Eni e, dopo poco, agli avvocati inglesi di Blu power arriva un identico plico spedito da un corriere espresso di Milano e contenente sei mail risalenti all’ottobre del 2013, più copia della cosiddetta procedura whistleblowing di Eni, riguardante gli obblighi di segnalazione da parte dell’azienda all’autorità giudiziaria delle denunce anche anonime. Le prime due mail sono state scambiate tra la Statoil e il direttore di Eni Norvegia e in una di esse uno dei manager stranieri faceva sapere che l’azienda di Oslo non era intenzionata a utilizzare il brevetto della Blue power, essendo «l’economia del progetto scarsa» e «il restante rischio tecnico e commerciale elevato». Alla comunicazione seguivano altre quattro mail in cui Descalzi si rallegrava per la decisione con tre dirigenti della sua azienda: «Ottimo!» esultava l’ad, «Statoil è stata di parola e del resto il mio meeting con Lund di fine giugno aveva indirizzato questa presa di posizione che conviene a tutti, soprattutto a noi». Tra luglio e ottobre del 2019 l’Eni avrebbe rinvenuto nei propri archivi solo le prime due missive, mentre non avrebbe ritrovato le altre quattro (definite nella denuncia «totalmente false e contraffatte»), né in formato elettronico, né cartaceo. Inoltre avrebbe interrogato destinatari e autori, che, però, le avrebbero «disconosciute, per il semplice fatto che non le hanno mai scritte né ricevute».Uno strano intreccioNella querela si legge che per poter «compiutamente apprezzare la gravità di quanto sta avvenendo è necessario chiarire» che in quel momento, di fronte al Tribunale di Londra, era in corso «il contenzioso civile promosso dal gruppo Blue power […] riferibile all’imprenditore pugliese Francesco Nettis» nei confronti di tre società del gruppo Eni «per ottenere il risarcimento di un danno stimato dagli attori dell’ingentissimo importo di oltre un miliardo di euro». Dunque il 15 ottobre 2019 l’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi, denunciava l’asserita falsità del contenuto dei plichi anonimi e citava come beneficiario del presunto reato l’uomo a cui avrebbe dovuto «regalare» 35 milioni grazie all’intermediazione di D’Alema. I lettori staranno pensando che in questa ricostruzione qualcosa non torni. L’attacco di Descalzi all’anonimo corvo volato in soccorso di Blue power è durissimo: per lui le presunte false mail sarebbero state «create ad arte per poter confortare la tesi» di Blue power e cioè per «comprovare» un accordo tra Eni e Statoil «finalizzato a estromettere» l’azienda pugliese dallo «sviluppo della tecnologia», mentre l’invio della procedura di whistleblowing (che per il denunciante «si connota per le sue fosche tinte intimidatorie») doveva costringere l’Eni a «riversare le prove “contraffatte”» davanti all’Alta corte inglese, dove esiste l’obbligo di tempestivo deposito nel processo di tutto il materiale attinente la causa. Ala fine la querela non è stata disinnescata dalla transazione, tanto che nell’accordo legale del settembre 2020 l’Eni fa specificare che lo stesso non comportava «alcuna rinuncia rispetto ai fatti» rappresentati nella denuncia e che se la Procura avesse trovato gli autori dei falsi l’Eni avrebbe potuto comunque costituirsi parte civile nel processo. La clausola lasciava intendere che i dirigenti del Cane a sei zampe sospettassero l’esistenza di un collegamento tra la controparte e i futuri eventuali imputati. Per questo l’azienda ha chiesto e ottenuto di spalmare il pagamento in tre tranche (l’ultima scade a ottobre) confidando nell’efficacia delle indagini della Procura. Descalzi nella documentazione prodotta ha anche inserito un atto di citazione dello studio inglese che assisteva Blue power da cui si evinceva che i legali lamentavano di aver ricevuto dal loro cliente «un documento falsificato nei metadati così da farlo risultare esistente prima di una certa data».Le coincidenzeIl 2 maggio, poco prima della pubblicazione dell’articolo del Domani, la Pedio ha chiesto l’archiviazione della querela non ritenendo gli elementi rappresentati dall’Eni «sufficienti a identificare l’autore» delle presunte falsificazioni, pur riconoscendo che le circostanze riferite «potrebbero far ritenere configurato il reato». Il 24 novembre 2019 Amara, davanti ai pm di Milano, aveva estratto dal cilindro la storia del contenzioso Eni-Blue power. Secondo il faccendiere, D’Alema nel 2017 avrebbe consigliato all’Eni di assecondare Nettis e di concedergli il 20-30 per cento di quanto chiedeva («intorno ai 130 milioni di euro») «nell’interesse nazionale». Alla fine avrebbe portato a casa questo risultato: Blue power «avrebbe dovuto inviare all’Eni una nota con quale si dichiarava disponibile a un percorso di transazione». E a chi premeva questa soluzione? Secondo Amara, il suo referente Antonio Vella, all’epoca numero due dell’azienda, successivamente licenziato e accusato dalla Procura di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla calunnia e al depistaggio, gli avrebbe detto che «la cosa interessava “a quello”», cioè a Descalzi, che pure nel 2010-2012, ai tempi in cui era stata coinvolta nell’affare norvegese Blue power non era alla guida dell’azienda. È possibile che D’Alema si sia mosso con Descalzi come ha fatto con l’ad di Leonardo Alessandro Profumo durante il Colombia-gate? Se fosse andata così, Descalzi, denunciando l’anonimo postino, avrebbe rischiato di far fallire la transazione e di far partire un procedimento penale che avrebbe potuto coinvolgerlo. Obiettivamente ci sembra un piano un po’ cervellotico. E allora resta una domanda: chi ha ancora interesse ad avvalorare le parole di Amara & C. contro gli attuali vertici dell’Eni e a far credere che i 35 milioni pagati per chiudere un esoso contenzioso fossero in realtà un regalo a un amico di D’Alema? L’Eni, a quanto ci risulta, si opporrà alla richiesta di archiviazione inoltrata dalla Pedio e forse più approfondite indagini permetteranno di scoprire chi abbia inviato i plichi anonimi favorevoli a Blue power.