
A Pesariis, nella Carnia friulana, c'è un orologio di varie fogge a ogni angolo di strada. «Nel passato abbiamo fornito le nostre monumentali realizzazioni per torri civiche e campanarie a paesi italiani ed esteri. Siamo meta turistica ma stiamo nel presente».Dal 1600 la principale occupazione degli abitanti di Pesariis, una frazione del Comune di Prato Carnico, a 760 metri di altitudine sulle montagne carniche, in provincia di Udine, è la misurazione del tempo. Tic-tac, tic-tac. Nelle case dei montanari e orologiai e nelle stradine del borgo è tutto un ticchettio. Si discendono le scale di una cantina e si sentono cento intonazioni allo scoccare di un'ora. Si percorrono i vicoli del borgo e parte un concerto d'orologi di ogni tipo. Macché quadruplice bip, del tradizionale segnale orario Rai, altro che dispendioso servizio ora esatta delle compagnie dei telefoni. A Pesariis, che oggi conta 160 anime - ma nel dopoguerra erano un migliaio - l'orologio da polso è un optional e persino la sveglia è ridondante. Tanto, in ogni angolo, meccanismi che azionano ingranaggi e lancette, meridiane e svegliarini, inderogabilmente, ti ricordano che ora è. E scandiscono i ritmi insondabili del tempo e della sua percezione.I motivi non sono chiari, anche perché preziose documentazioni storiche sono scomparse durante l'occupazione nazista, ma già nel 1600 e forse ancor prima, i pesarini costruivano, nelle loro case, mirabili orologi da parete in legno e in metallo simili a quelli prodotti già all'epoca anche nella Foresta Nera. Poi, nel 1725, nella contrada montana nacque una fabbrica, la «Solari», che iniziò a produrre orologi da campanile e da torre, forniti in tutta Italia e anche all'estero. Negli anni Cinquanta del '900 gli ordini declinarono e l'azienda riconvertì la sua produzione, specializzandosi dapprima negli orologi a scatto di cifre o a «palette», da essa brevettati, e poi indirizzandola verso sistemi di tele-indicazione per aeroporti e stazioni ferroviarie, di gestione della sosta nelle aree urbane e delle file d'attesa nei servizi pubblici. La modernizzazione, inesorabile, ha fatto il suo corso, rischiando di eclissare l'antica vocazione artigiana dei valligiani. E così Amanzio Solari, classe 1947, ex dipendente della Solari - la coincidenza del cognome non indica un legame di parentela e nel borgo la maggior parte delle famiglie lo porta -, insieme a un piccolo gruppo di amici, pure loro in gran parte legati alla storia dell'azienda, attorno al 2010, ha pensato di celebrare Pesariis e il suo culto del tempo, progettando e disegnando quegli orologi monumentali che, con l'avanzare sincrono delle loro lancette, sembrano sospendere il tempo stesso tra ossessione ed eternità. Se una celebre metafora del mistero del tempo è l'orologio senza lancette che il professor Isak Borg sogna nel film di Ingmar Bergman del 1957 Il posto delle fragole, in questo paesino è una grande collezione sparsa di orologi a renderlo atemporale. Lei è figlio di un orologiaio?«Qui a Pesariis abbiamo il tempo nel sangue. Mio padre Valentino, mancato due mesi fa a 103 anni d'età, ha lavorato 35 anni alla Solari, che ora, dopo varie vicissitudini societarie, ha sede a Udine per la parte elettronica, mentre qui mantiene solo l'attività meccanica. Con i fratelli, Vero e Pino, nutriva una gran passione per gli orologi. Io ho lavorato nell'azienda dal 1970 al 1975, disegnando attrezzature e stampi per orologi da timbratura. E mio nipote Roberto, il figlio di Vero, oggi conduce una piccola azienda che realizza la manutenzione degli orologi da campanile».Già, gli orologi da campanile. I borghi dell'Italia ancora soprattutto contadina si rivolsero per oltre due secoli alla Solari per la loro fornitura, tra le poche in Italia in grado di produrli.«Sfogliando il catalogo del 1906 della “ditta fratelli Solari" si osserva una lunga lista di paesi italiani a cui fu consegnato un orologio da campanile, Alcamo (Trapani), Bagnoli di Sopra (Padova), Baselice (Benevento), Canaro (Rovigo), Longarone (Belluno), Cervignano del Friuli, eccetera. Ma anche paesi all'estero, in Dalmazia, Istria, Croazia, Stati Uniti, ne fecero richiesta».Torna alla mente la celebre trasmissione Campanile sera. Poi l'azienda convertì la propria produzione...«Fu così, e negli anni Cinquanta il paese iniziò a spopolarsi, anche a causa del calo demografico. La tradizione dell'orologeria, tuttavia, era antichissima. Già la famiglia Cappellari, oltre agli orologi domestici, di cui si conservano preziosi reperti, costruiva quelli da campanile. Attorno al 2010, con Renzo Martin, Alvise Rupil, Giacomino Rupil, Amos D'Agaro, Savino Candido, Alvio Machin, iniziammo a disegnare progetti di orologi monumentali di diverse fogge, costruiti poi dalle pochissime aziende artigianali locali sopravvissute, finanziate attraverso un bando indetto dal Comune». E così sono stati posizionati per le vie del borgo.«Certo. Sono quindici».Anche perché Pesariis è luogo di visite di viaggiatori e turisti.«Registra diecimila presenze l'anno. E ai nostri orologi si scattano migliaia di foto». Per fermare il tempo. «È una moda. Poi le foto si cancellano. Io non faccio fotografie. Preferisco vivere il tempo nel presente. Non è una gran vita quella troppo frenetica, che costringe a inseguire il secondo». Anche in montagna?«Forse in montagna c'è un po' più il senso di vivere il tempo in maniera umana. Ma in fondo, per molte cose, la vita non è così diversa da quella di chi abita in città. Un tempo invece si viveva con più lentezza».Quanto tempo serviva, mediamente, per costruire gli orologi?«Prima dell'avvento delle tecnologie, nel corso del 18° secolo, gli orologi erano costruiti completamente a mano. Dunque poteva essere necessaria anche una stagione per realizzarne uno. Poi sono arrivate le macchine utensili. In seguito l'energia elettrica. E così i tempi si sono ridotti». A Pesariis una galleria di preziosi pezzi di vario tipo forma il percorso del museo del tempo.«A breve sarà trasferito in una sede più ampia nell'ex cinema frazionale».Continua a progettare orologi?«Mia moglie ha un agriturismo e le cose da fare sono molte. Ci provo, ma c'è poco tempo».
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






