2021-06-02
Che pena la sinistra che si schiera con gli oppressori
Ermanno Bencivenga (Leonardo Cendamo/Getty Images)
In questa pandemia, i progressisti non hanno capito il disagio di chi subiva le serrate. Almeno la destra vuole meno restrizioni.Una fonte continua di perplessità e frustrazione, in questo periodo, è stata il fatto che, nelle mie due patrie (Italia e Stati Uniti), misure demenziali e tiranniche siano state introdotte e sostenute da amministratori, giornalisti e intellettuali che si definiscono «di sinistra» e che, per trovare appoggi contro tali misure, si sia dovuto perlopiù contare su individui o istituzioni di carattere reazionario o almeno dubbio. Prima di lasciarci, sarà opportuno affrontare la perplessità. […] Immaginiamo che, se non gli imbonitori da fiera che occupano il Parlamento, molti di quelli che in Parlamento li hanno mandati credano fermamente in qualcosa di molto simile alla mia definizione di sinistra, che per comodità potrei riassumere: essere di sinistra significa stare dalla parte degli oppressi. Persone così formano lo zoccolo duro che mantiene deputati e senatori al loro posto: quali che ne siano le frodi e i tradimenti (peccati gravi! quelli cui Dante riserva i gironi più fondi dell'inferno!), costoro inghiottiranno amaro ma continueranno a pensare di essere dalla parte giusta della Storia, e di dover comunque sostenere chi erige un baluardo contro i fascisti. Si sentiranno anzi eredi dei partigiani che alla lotta al fascismo si sono sacrificati.Non credo che si tratti di persone in malafede (non tutte, almeno), e non credo che siano (tutte) stupide. Nel caso più interessante, ma anche più pericoloso, sono sincere e intelligenti, ma vittime di un errore prospettico – come quelli su cui si fondano i giochi illusionistici. A un certo punto della loro esistenza, hanno deciso chi erano gli oppressi, e chi erano i privilegiati, e da allora sono rimasti lì mentre il mondo, e che cosa vuol dire essere oppresso, si muoveva. Trent'anni fa potevano aver deciso che gli oppressi erano i lavoratori delle fabbriche, e difenderli a spada tratta, senza rendersi conto che essere un lavoratore in una fabbrica, con un contratto a tempo indeterminato, uno stipendio e una pensione garantiti, era diventato una condizione di privilegio rispetto ai nuovi oppressi: ai precari, alle partite Iva, ai giovani che vagavano da uno stage all'altro. Dieci anni fa, negli Stati Uniti, potevano aver deciso che i privilegiati erano i bianchi, di qualsiasi classe sociale, e che dunque finché lottavano per i neri o per gli immigrati avrebbero lottato per gli oppressi; nulla contavano, per loro, le decine di milioni di bianchi impiegati in industrie in crisi per la concorrenza sleale che le multinazionali avevano istituito con Paesi dalla manodopera a basso costo - in quanto bianchi, non erano oppressi. Ed è quello il popolo cui si è rivolto Trump, che lo ha eletto, e che forse avrebbe eletto Sanders se il «progressista» Partito democratico non lo avesse boicottato con tutti i mezzi leciti e illeciti. Tutto ciò è curioso, perché, tornando all'Italia, la sinistra qui è stata per oltre un secolo inserita nel paradigma marxista (oggi i marxisti sono limitati a frange estreme di un arcipelago che in sostanza ha ricostruito la Democrazia cristiana, con tutte le sue correnti); e quel paradigma era un'applicazione del pensiero hegeliano. Del pensiero dialettico hegeliano, per il quale le idee non rimangono fisse, legate a una loro definizione aristotelica, per genere e differenza, come «essere umano = animale razionale», ma si evolvono, trascendono ogni tappa del loro itinerario volgendosi talvolta nel suo opposto - e così può capitare che sia un essere umano qualcosa di non-razionale come un malato di Alzheimer, o lo diventi qualcosa di non-animale come un computer o una rete elettronica. Pur ammettendo l'attuale diffusa ignoranza della logica hegeliana (e del marxismo), il codice genetico di quella che oggi in Italia si considera sinistra una traccia di queste relazioni ancestrali dovrebbe portarla; quindi dovrebbe esserci una qualche vaga consapevolezza che la nozione di oppresso evolve, e che bisogna esercitare vigile attenzione sui suoi spostamenti, per evitare che «la parte giusta della Storia» si trasformi a nostra insaputa in un vicolo cieco.Gli oppressi, durante la pandemia, sono stati i gruppi di cui ho parlato in questo libro: i piccoli commercianti e imprenditori che sono andati in rovina; i giovani cui è stata negata la giovinezza, i bambini cui è stato negato il gioco e gli studenti cui è stata negata la scuola; gli anziani condannati alla solitudine, in vita e in morte; gli uomini e le donne del teatro, della musica e della danza che non hanno potuto recitare, suonare o danzare per un pubblico (e i pubblici che non li hanno potuti ammirare); i lavoratori e frequentatori di musei, biblioteche, palestre, centri di yoga e altri luoghi di cultura, del corpo e dello spirito; e in generale tutti i cittadini che soffrono, e talvolta si suicidano, perché sono confinati agli arresti domiciliari, inibiti nel vedere e abbracciare amici e familiari, orfani di una stretta di mano, di un abbraccio, di una serata in allegria. Chi si ritenga autorizzato a scrollare le spalle di fronte al disagio di tutte queste categorie di persone (che, messe insieme, rappresentano la maggioranza della popolazione), e ritenga sé stesso di sinistra perché difende i diritti (sacrosanti) dei gay o degli immigrati, è stato lasciato indietro dalla Storia dalla cui parte giusta teneva tanto a collocarsi ed è divenuto, dialetticamente e ineluttabilmente, un complice del dispotismo messo in atto contro i nuovi oppressi. Vuol dire che anche il nostro giudizio morale su una persona potrà evolvere? Che io, per esempio, dovrò rivedere il mio giudizio su Trump e Bolsonaro ora che me li ritrovo alleati nella lotta contro le misure anti-Covid? Hegel probabilmente risponderebbe di sì, perché non crede in una morale che emetta giudizi definitivi; ma io non sono un hegeliano. Considero la logica hegeliana un utile strumento per determinare il contesto in cui va formulato un giudizio morale; compiuta questa determinazione, il giudizio va formulato, per me, sulle basi kantiane che ho già descritto – in base cioè a quanto sia scevro da predilezioni e idiosincrasie individuali. Per spiegarmi, offrirò una triangolazione fra Kant, Hegel e Aristotele. Secondo il Filosofo, beni e doveri sono di carattere universale ma ogni decisione è particolare: è effettuata in una situazione specifica, da una persona specifica, che ha specifiche relazioni con altre. Se in una specifica situazione, contemporaneamente, mia moglie sta male e i miei studenti mi aspettano in classe, i beni o doveri pertinenti sono quelli di assistere mia moglie e rispettare il mio ruolo di insegnante, e per decidere sarà opportuno valutare una quantità di dettagli presenti in quella situazione ma non in altre simili. Qualcuno può, temporaneamente, prendersi cura di mia moglie? La lezione può essere rimandata? Quando avrò raggiunto il quadro migliore possibile di ciò con cui ho a che fare (e non sarà mai un quadro perfetto, anche perché il tempo per deliberare potrebbe essere limitato), deciderò, e agirò, per quel che mi sembra il meglio; e sulla mia decisione e azione si potrà formulare un giudizio.Per un kantiano come me, il giudizio sarà formulato in base a quanto razionali siano state decisione e azione: a quanto chiunque altro, usando solo la propria ragione, avrebbe raggiunto la medesima decisione e agito nello stesso modo. Questa natura del giudizio non cambia se mettiamo in gioco Hegel: quel che cambia è l'introduzione di elementi dialettici nel determinare quale sia la situazione in cui ci troviamo. Magari la mia relazione con mia moglie si è evoluta in modo tale che, quando sta male, preferisce prendersi cura di sé stessa, e un mio comportamento che tempo fa avrebbe visto come segno di affetto oggi vedrebbe come segno di paternalismo. Magari i miei studenti sono evoluti in senso analogo, e un'ora trascorsa a organizzare autonomamente il loro lavoro sarebbe per loro il modo migliore, nelle circostanze date, per progredire nella loro educazione - e il modo migliore per me di favorire questo loro progresso. Nell'arrivare a una decisione, sarà opportuno che io sia cosciente di questi cambiamenti, e non mi lasci condizionare da un'«idea fissa» di quale sia la situazione che mi trovo ad affrontare. Per dirla in breve, Hegel mi serve (più di Aristotele) per stabilire su che terreno mi muovo, e Kant per stabilire come muovermi.Trump e Bolsonaro hanno spesso agito (per Trump non posso dire anche «deciso», perché i suoi non sembrano processi decisionali) da furfanti, compiendo atti malvagi; è il giudizio che traggo dalle informazioni che ho. E tale giudizio non cambia, se non cambiano le informazioni di cui dispongo. Ma, nella situazione in cui sono, non ho il lusso di scegliere tra un furfante e un eroe incontaminato: tra un male e un bene. Tutte le persone di potere che contemplo, tutte quelle che hanno il potere di influenzare il destino dei popoli, stanno compiendo atti malvagi, e io devo responsabilmente decidere quale sia il male minore – così come dovrei decidere se sia minore il male di ferirmi tuffandomi da una rupe o quello di lasciar affogare una persona nel torrente di sotto.Quindi mi rallegrerò se il governatore della Florida Ron DeSantis, che è, per quanto ne so, un repubblicano reazionario, abbatte tutte le restrizioni e multa di cinquemila dollari chi richiede un passaporto vaccinale per fornire un servizio. Mi sembra la mossa razionale e giusta da fare nei confronti dei nuovi oppressi, quindi mi sembra una mossa di sinistra, che avrei fatto anch'io; e ciò non muta il mio giudizio sui repubblicani reazionari, né su DeSantis in quanto è uno dei loro. Certo, nulla mi farebbe più felice del vedere un partito «progressista» fare mosse simili; ma come ho detto non ho, non abbiamo questo lusso. Dobbiamo accontentarci di una mossa per volta, di un piccolo gesto di liberazione per volta, eventualmente sporcandoci le mani con compagni di strada poco raccomandabili, finché non passi la nottata.
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