2020-06-19
«Che dispiacere» quando perde la Juventus
Nel nuovo romanzo di Paolo Nori la trama ruota attorno a un giornale stranissimo: redattori e collaboratori devono stare all'erta, perché va in edicola soltanto in occasione delle - rarissime - sconfitte dei bianconeri. Come quella di mercoledì sera.«Dodici minuti di ritardo» aveva pensato Barigazzi versandosi il terzo bicchiere d'acqua gassata. «Che testa di cazzo di un ascolano» si era poi detto posando sul tavolo il terzo bicchiere d'acqua gassata nel preciso momento in cui la testa di cazzo di un ascolano, Enrico Mancino, entrava in quella sala dell'Osteria della Trottola che dava sul retro della basilica di San Petronio. Era vestito in un modo che si potrebbe dire elegante, classico, Mancino: completo misto lana nero, piumino hi-tech nero, cappello di cachemire nero, un paio di guanti neri, un paio di scarpe da ginnastica alte bianche e rosse che, quando le aveva viste, Barigazzi aveva pensato: «Ma guarda che scarpe da coglione».«Scusa» aveva detto Mancino, «mi ha chiamato il direttore che ero per strada per dirmi una cosa su un pezzo che esce domani, su due pagine, un servizio sulla reincarnazione in Svizzera».«Ma figurati» aveva detto Barigazzi, e poi si era chiesto: «Ma te, che due secondi fa gli davi della testa di cazzo, com'e che adesso gli dici “Figurati"?».Questo se l'era detto a bassa voce, dentro la testa, mentre a alta voce diceva: «Hai fatto un servizio sulla reincarnazione in Svizzera?».«Eh, lo so che suona strano, ma a me son simpatici, gli svizzeri, e le svizzere ancora di più, pensa che ne ho trovate due, che abitano una a Lugano, l'altra a Bellinzona, che sono convinte, ma convinte, eh, di essere state, in un'altra vita, Cleopatra. Tutte e due. E io le ho fatte incontrare».«E si son rimaste simpatiche?».«Non tanto. Ancora un po' si picchiano. Pero a me son simpatiche, tutte e due. Le svizzere, devo dire, sono quasi tutte simpatiche, quelle che ho conosciuto, più degli svizzeri. Come le lettrici, che mi son simpatiche più dei lettori», aveva detto Mancino, e poi aveva taciuto, come a invitare Barigazzi a dire la sua su questa differenza lettrici/lettori. Era, la letteratura, un campo nel quale Mancino riconosceva la superiorità, di Barigazzi: Mancino aveva appena pubblicato il suo primo romanzo, Barigazzi, in 20 anni, ne aveva pubblicati una ventina.Anche in altri campi, Mancino riconosceva la superiorità, di Barigazzi. Diciamo che Barigazzi, per come era fatto, riusciva a avere relazioni esclusivamente con dei maschi adulti che riconoscessero la sua superiorità. Non era fatto benissimo, forse. E Mancino, per come era fatto, riusciva a far finta di riconoscere la superiorità di qualcuno anche se, dentro di sé, nelle sue viscere, per così dire, non era disposto a riconoscergli tutta questa superiorità. Non era fatto benissimo neanche lui, forse.«Per me» aveva detto Barigazzi, «lettrici e lettori, tutti e due, son tutti e due dei misteri» aveva detto, poi aveva taciuto, si era passato una mano sopra la testa, aveva preso un fiato e aveva continuato. «Non so, stanotte mi ha scritto uno che abita a Trento, mi ha detto che ha finito di leggere un libro che ho scritto, l'ultimo libro che ho pubblicato, Poeti russi scalcinati, e mi ha detto che la parte dove parlo di Velimir Chlebnikov, che è il poeta sul quale ho fatto la tesi, tanti anni fa, e prima di parlarne dico che so, che non riuscirò a parlarne come si deve, perché io ho sperimentato cosa vuol dire vivere sotto Velimir Chlebnikov, per due anni, e so la potenza, l'effetto che fanno le sue poesie, e le sue idee, e i suoi suoni, in originale, e so che, qualsiasi cosa io possa scrivere, Chlebnikov, comunque, e di più, ecco lui, questo di Trento, mi ha scritto che questa cosa l'ha emozionato, e mi ha ringraziato. Come, non so, una volta, ero su un autobus, qui a Bologna, tre mesi fa, una ragazza fa per scendere, mi passa di fianco, mi tocca un braccio, mi sorride, mi dice: “Continui a scrivere, noi aspettiamo". Ecco io, era appena morta mia moglie, allora, da dieci giorni, e io, figurati l'umore che avevo, ma io, quella ragazza li, su quell'autobus, l'avrei abbracciata, e l'altra sera avrei abbracciato anche quel signore di Trento, anche se magari a lui il libro non era piaciuto, mi ha detto solo una cosa, che l'aveva commosso, in un libro di 250 pagine, magari voleva prendermi in giro, con quella mail, ma io, cosa vuoi, l'avrei abbracciato lo stesso».«Ma per forza, ma che bello, ma sai cosa?» aveva detto Mancino. «Io, adesso, ho appena cominciato, son due settimane che ho pubblicato il mio primo romanzo, ma l'altro giorno, quando son tornato dalla Svizzera, in stazione, a Bologna, mi è successa una cosa che, non e all'altezza della tua» aveva detto Mancino allungando una mano in un gesto che significava che lui, nemmeno minimamente, pensava che le cose che succedevano a lui fossero paragonabili alle cose che succedevano a Barigazzi, nel campo della letteratura (e in qualsiasi altro campo, sottintendeva il gesto), «ma e stata comunque una cosa singolare come se cominciassi a capire, cosa vuol dire, essere uno scrittore».A questo punto Mancino aveva taciuto, come se aspettasse che Barigazzi gli chiedesse qual era, la cosa singolare che gli era successa che aveva cominciato a fargli capire cosa voleva dire, far lo scrittore.Barigazzi, c'è forse da dire, non aveva tantissima voglia di sapere cosa voleva dire, per Mancino, far lo scrittore. Lui che, quando glielo chiedevano, ne parlava sempre benissimo, pubblicamente, del suo mestiere, lo scrittore, dentro di sé, nelle sue viscere, se così si può dire, dopo vent'anni che lo faceva, cominciava un po' a montargli su per una braga, il suo mestiere, far lo scrittore. E gli era montato talmente tanto, su per una braga, che, da un anno e mezzo, aveva cominciato a fare un altro mestiere: si era messo a fare il giornalista sportivo. Anche se non lo sapeva quasi nessuno. Scriveva sotto pseudonimo, si faceva chiamare Ivan Piri, e nessuno, o quasi nessuno, sapeva chi fosse. E, con altri sei giornalisti, e con l'aiuto di pochissimi tecnici, tipografi e corrieri, facevano un quotidiano sportivo che usciva solo il giorno dopo le sconfitte della Juventus e che si intitolava Che dispiacere.E, quel mercoledì di fine gennaio, la Juventus giocava, in Coppa Italia, a Bergamo, contro l'Atalanta, e Barigazzi sperava che la Juventus vincesse o pareggiasse, perché cosi, quella nottata, non avrebbe dovuto lavorare e sarebbe potuto uscire con la barista del bar Bulgarelli che poteva uscire solo quel mercoledì, quella settimana, cioè anche il lunedì, ma il lunedì, Barigazzi, non poteva lui. Allora quella sera, Barigazzi avrebbe voluto cenare in fretta con il suo amico, quella testa di cazzo di un ascolano, dando un'occhiata ogni tanto all'andamento della partita, salutare il suo amico, tornare a casa in fretta, vedere il finale, assicurarsi che la Juventus non avesse perso e che non ci fosse da lavorare, chiamare Daguntaj, che dormiva dalla sua amica Jessica, darle la buona notte e uscire con Marzia e veder di nascosto l'effetto che fa, come dice il poeta. Ed era cominciato tutto malissimo. Nel senso che il suo amico, quella testa di cazzo di un ascolano, era arrivato con quasi 20 minuti di ritardo, e poi, invece di ordinare, aveva cominciato a raccontargli delle storie come se a lui gli interessassero, le storie del suo amico, quella testa di cazzo di un ascolano, solo che adesso il suo amico, sempre quello lì, prima gli aveva chiesto di raccontarne una lui, di storia di lettori, e lui l'aveva ascoltata pazientemente, quella testa di cazzo di un ascolano, e allora adesso non ascoltare la sua, quella storia del cazzo di un ascolano, sarebbe stato come ammettere di considerarsi più importante, di quella testa di cazzo di un ascolano, che era vero, Barigazzi si considerava più importante, molto, più importante, si considerava, solo che non era bello, ammetterlo così, in un locale pubblico, l'Osteria della Trottola, allora aveva detto, Barigazzi: «Ah, ma pensa».Poi aveva fatto una pausa, per farlo soffrire almeno un pochino, quella testa di cazzo di un ascolano, e poi aveva detto: «E cos'è che ti ha fatto cominciare a capire cosa vuol dire, far lo scrittore? Racconta, racconta, così magari comincio a capire anch'io».