2018-07-25
Cerno pronto a salutare Renzi e il Partito Democratico
True
L'ex direttore dell'Espresso vorrebbe dimettersi da senatore e tornare a fare il giornalista. Ma al gruppo Gedi non vogliono dargli la direzione di nuovi giornali. Il fallimento di Matteo Renzi.Doveva essere il giornalista prestato al Partito Democratico. Il simbolo di una nuova ventata di freschezza nella politica di centrosinistra, del fatto che non sono tutti del Giglio Magico quelli che stanno con l'ex segretario Matteo Renzi. Di più, doveva essere l'uomo che avrebbe sovvertito l'ipocrisia dei giornali ("Il giornalismo in Italia è politica. Quindi tanto vale dichiararsi" disse al Foglio), ma a quanto pare al senatore Tommaso Cerno va stretta la vita da parlamentare dem. Lo ha fatto intendere martedì 24 luglio Dagospia, che in un flash scriveva : «Chi è il senatore, già al vertice di una grande quotidiano, che si è pentito di essere sceso in politica ed è tornato a bussare alla porta della casa madre chiedendo la direzione di un bel quotidiano? Frigna che non gli hanno permesso di fare il capogruppo, praticamente non fa nulla, e si è reso conto di non avere la vocazione per la politica e vuole dimettersi…».Le poche righe del sito di Roberto D'Agostino hanno subito fatto il giro di mezzo parlamento. E tutti hanno capito. Anche perché al declino di Renzi corrisponde anche una certa disaffezione da parte dei suoi acquisti in zona Cesarini durante la campagna elettorale. Del resto ormai a palazzo Madama le intemperanze dell'ex direttore dell'Espresso sono note, come dimostra quell'interrogazione di inizio luglio al governo per sapere «se i Ministri Di Maio e Salvini, nella loro qualità di Vicepresidenti del Consiglio, non ritengano di voler appurare, secondo le attribuzioni loro proprie, lo stato di salute del Presidente del Consiglio Conte e se questo sia ancora nell'esercizio delle sue funzioni, ovvero, dopo le magre figure raccolte, non abbia preferito trascrivere unicamente il titolo di Presidente del Consiglio nel proprio curriculum vitae per poi ritirarsi a vita privata». Si tratta di una provocazione caduta nel nulla dell'aula. Ma c'è di più. C'è il fatto che Cerno si fa vedere davvero poco in Senato, come dimostra la sua scheda di Openpolis. Su 201 votazioni ha partecipato solo 55 volte, appena il 27% del totale, contro 140 assenze mentre per 6 volte è stato in missione. Per di più il lavoro di questi mesi è stato scarso. E' firmatario di appena un disegno di legge il 23 marzo, provvedimento ancora fermo al palo, mentre non ha mai preso l'iniziativa di parlare. Cerno è un fantasma. Eppure in un'intervista al Foglio a febbraio diceva «io non vado in Parlamento in quanto omosessuale. Non sono un candidato gay. L'esperienza che voglio portare è molto ampia. La mia figura non è quella e basta».Eppure quello che non sembra bastare a Cerno è proprio la politica. Fonti non ufficiali del gruppo Gedi, che edita La Stampa e La Repubblica, confermano che il senatore avrebbe provato a rientrare negli ultimi giorni alla casa madre. Ma sarebbe stato gentilmente messo alla porta dall'amministratore delegato Laura Cioli. Del resto è ancora vivido il ricordo in redazione di quando Cerno decise di andarsene quando era pure condirettore di Repubblica. Mario Calabresi, direttore del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, disse. «Tommaso si candida con il Pd al Senato, una scelta sua, personale, si butta in politica, gli ho chiesto di non mettersi in aspettativa, di fare chiarezza subito, vieni e ti dimetti, lasci il giornale». Ora è ancora in aspettativa, ma non lo rivogliono come direttore. Forse restare senatore ancora per un po' potrebbe aiutare.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
Continua a leggereRiduci