scafisti delinquenti

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Ormai lo ammettono apertamente. «Macché delinquenti, gli scafisti sono eroi»
Ansa
La grazia del Colle al corresponsabile della strage di Ferragosto asseconda il refrain di moda: «Guidi un barcone: che male c’è?».

«Il suo sogno era di arrivare in Europa», è partito «dalla Libia in guerra per rincorrere il suo sogno», aveva «il sogno di arrivare in un Paese in pace e democratico». L’articolo del Corriere della Sera sulla storia di Alaa Faraj Abdelkarim Hamad sembra Il favoloso mondo di Amélie: è tutto un sogno. Nel 2017, il giovane libico fu identificato dalla giustizia italiana come uno dei cinque scafisti di un barcone che, nella notte di Ferragosto di dieci anni fa, venne trovato con dentro i corpi di 49 persone, morte asfissiate durante il viaggio. Malgrado le testimonianze che ne facevano uno degli organizzatori della traversata criminale, e malgrado le condanne, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha graziato, anche sull’onda di una campagna mediatica con pochi precedenti: dal programma di Rai3, Il fattore umano, a una sua raccolta di lettere pubblicata da Sellerio con il titolo Perché ero ragazzo. Come siano davvero andate le cose su quel barcone lo sanno solo i superstiti, ma in fondo, per il gigantesco dispositivo giustificazionista che si è messo in moto, la cosa è secondaria. Scafista, non scafista: fa davvero tutta questa differenza? In fondo gli scafisti non sono essi stessi dei poveri cristi travolti da un insolito destino? È questo l’obbiettivo finale di una campagna in corso da tempo: togliere allo scafista ogni stigma criminale, farne una vittima o, perché no, magari un eroe.

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