2022-01-26
Il centrodestra cala un tris ma l’asso è coperto
Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio (Ansa)
Candidati per il Colle Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio. Pd e M5s: «Nomi di qualità però ve li bocciamo. Incontriamoci». A sinistra perde quota l’ipotesi Mario Draghi. Enrico Letta (e l’Ue) ripropongono il Mattarella bis. Intanto è scheda bianca.Il leader del Pd va dal banchiere e chiede più donne al governo: furiosi i ministri dem. E ora il partito diviso è un ostacolo alle trattative.Lo speciale contiene due articoli.«Chiudiamoci in una stanza a pane e acqua e buttiamo via la chiave fino a quando non esce un nome», dice Enrico Letta a sera, dopo averli rifiutati tutti e non averne indicato neppure uno. Più che un leader, una principessa sul pisello. Per ora l’unico nome che spacca è Bianca Scheda. Che esisteva veramente, faceva la contadina in Emilia e nel 1992 arrivò a prendere 917 voti. Qui si attesta attorno ai 600, segnale che la ricreazione non è finita. Eppure qualcosa si muove: il centrodestra lancia la sua rosa, il centrosinistra conferma l’abbraccio peloso allo status quo e l’Europa fa sapere che un’Italia politicamente immobile sarebbe l’ideale nel segno della stabilità.L’unica mossa politica sulla scacchiera è del centrodestra, che propone i «senza tessera» Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera. «Non sono nomi né di partito né di bandiera, è una terna che offriamo alla discussione sperando che non ci siano veti», sottolinea Matteo Salvini per bypassare la pretesa del Nazareno di definire super partes solo candidati del Pd. Giorgia Meloni aggiunge un po’ di storia a beneficio della bulimia gauchiste: «Gli ultimi quattro presidenti della Repubblica hanno una provenienza di sinistra; sarebbe giusto nel rispetto del principio di alternanza che il nuovo capo dello Stato possa avere un’appartenenza culturale diversa, tanto più in un Parlamento in cui il centrodestra ha la maggioranza relativa». Il magistrato berluscofobico (Oscar Luigi Scalfaro), il tecnocrate socialista (Carlo Azeglio Ciampi), l’ex leader comunista (Giorgio Napolitano), il mellifluo colonnello del Pd (Sergio Mattarella) non furono certo frutto di condivisione democratica.La volontà di proporre un candidato unitario è dimostrata dalle assenze partitiche nella lista di centrodestra; mancano Giulio Tremonti, Franco Frattini, Antonio Tajani, Elisabetta Casellati. Su quest’ultima il leader della Lega puntualizza: «Essendo attualmente in carica, ha già per questo la dignità e lo status per una possibile candidatura». Non è stato facile lasciar fuori Tajani, espressamente indicato da Silvio Berlusconi dopo il suo passo di lato, ma sul tema Salvini è lapidario: «Avrebbe i titoli ma non candidiamo dirigenti di partito». Nel transatlantico fibrillato aleggia la domanda: perché è scomparso Pier Ferdinando Casini? «Perché non è di centrodestra».Tutto perfetto, tutto secondo i patti, tutto inutile. Lo intuisce Andrea Cangini (Forza Italia): «Anche se proponessimo Benedetto Croce verrebbe bocciato». A metà pomeriggio Letta sembra ammorbidirsi: «Quelli proposti dal centrodestra sono nomi di qualità e li valuteremo senza spirito pregiudiziale. Fra poco arriveranno i nostri». Giuseppe Conte è in sintonia: «Non diamo patenti di legittimità. Il centrodestra ha il diritto e il dovere di presentare proposte. Le valuteremo». Poi i leader di sinistra si incontrano e il clima si raffredda. «Non riteniamo che su quei nomi possa svilupparsi quella larga condivisione necessaria in questo momento», è la nota congiunta. Roberto Speranza fa l’intellettuale: «Non serviva fare la guerra delle due rose». Così la coalizione grillodem non riesce a esprimerne mezzo candidato. Lo ritiene superfluo perché l’accoppiata c’è da sempre, ed è quella che vuole Bruxelles: Mattarella-Draghi. In barba alla sovranità, ai numeri, alla politica alta e ai traslochi da operetta. Come riserva c’è sempre l’equivicino Casini.Però chi ascolta i borbotti dei peones sa che Mario Draghi non scalda a sufficienza i cuori. Se l’elezione avvenisse nelle redazioni sarebbe l’imperatore della galassia, ma in Parlamento servono i voti. E magari un accordo politico sul prossimo governo, ipotesi lunare. In ogni caso Letta continua a tenere in piedi la statuetta del premier («Sono qui per proteggerlo, deve rimanere assolutamente nelle istituzioni del Paese») perché come al solito ce lo chiede l’Europa. La conferma arriva da una dichiarazione del commissario per il Bilancio, Johannes Hahn, che mette il naso nei nostri affari quirinalizi: «L’Europa ha tutto l’interesse affinché la situazione attuale continui perché vediamo che ci sono molte rassicurazioni e fiducia che i soldi del Recovery fund siano ben spesi». Conte liquida l’ipotesi Draghi al Colle con una metafora nautica: «È il timoniere del governo, non ci sono le condizioni per fermare i motori». In realtà piuttosto che vedere lassù l’uomo che lo sfrattò si butterebbe nel Tevere gelato. Salvini semplicemente chiude la porta: «Lavora bene a Palazzo Chigi». Il trasloco del premier rimane complicato per entrambi i blocchi. Centrodestra: Berlusconi e Meloni sono contrari, Giancarlo Giorgetti e i governatori a favore, Salvini tratta senza voler deludere nessuno. Centrosinistra: Letta e Renzi sì, piddini sparsi e Movimento 5 stelle fedele a Conte assolutamente no. Luigi Di Maio e i suoi 70 fedelissimi sì. E allora avanti con Bianca Scheda, per non uscire matti e prima di buttare via la chiave. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/centrodestra-cala-tris-asso-coperto-2656478838.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="letta-stizzisce-i-suoi-complicando-pure-il-cammino-di-draghi" data-post-id="2656478838" data-published-at="1643174668" data-use-pagination="False"> Letta stizzisce i suoi complicando pure il cammino di Draghi «Il nome del presidente della Repubblica non lo fanno i mercati, ma i rappresentanti del popolo»: quando Matteo Salvini pronuncia questa frase, nel corso dell’ennesima assemblea dei deputati della Lega, manca poco che ci scappi una ovazione. Il tema della giornata di ieri infatti è esattamente questo: il fronte del no all’ascesa al Colle di Mario Draghi è compatto, trasversale, determinato. Lega e Forza Italia (a parte Giancarlo Giorgetti e forse un paio di ministri di Fi) non ne vogliono sapere; Fratelli d’Italia ha come prima opzione votare un presidente di centrodestra; Italia viva accetterebbe Draghi al Colle solo se nascesse il famoso «governo dei leader»; nel Pd e nel M5s a fare i corazzieri di Draghi sono rimasti solo Enrico Letta e Luigi Di Maio; la sinistra non ne vuole sapere; tra i centristi di Coraggio Italia ci sono alcuni draghiani sparsi, ma Giovanni Toti è lapidario: «Nelle prossime ore i partiti devono decidere due cose: se si va su Draghi al Quirinale», dice il presidente della Liguria, «c’è da fare un accordo di governo, se invece si trova un altro nome bisogna che Draghi se ne faccia una ragione e continui a fare il presidente del Consiglio». Se uno come Toti, sempre felpato, suggerisce a Draghi, nel caso di una sua mancata elezione al Quirinale, di «farsene una ragione», e se Matteo Salvini si ribella alle ingerenze dei soliti «mercati» sulla elezione del capo dello Stato, vuol dire che la pressione che Nonno Mario sta esercitando sui partiti è altissima. «Il mio ruolo è proteggere Mario Draghi ed è assolutamente importante averlo nelle istituzioni del Paese», si spinge a dire alla Cnbc Enrico Letta: una frase un po’ paradossale, pronunciata da chi dovrebbe più che altro fare il segretario del Pd: «Letta», dice alla Verità un esponente di primissimo piano dei dem, «ha spiegato che voleva dire che Draghi non va inserito nelle rose per il Colle, ma ci mancherebbe altro! Nel Pd le quotazioni del premier sono in caduta libera. Letta è andato da Draghi a chiedergli, in un eventuale nuovo governo da formare se il premier andasse al Colle, di cambiare la delegazione dei nostri ministri per inserire delle donne, e Draghi si è detto disponibile. Potete immaginare» aggiunge la nostra fonte, «la reazione dei ministri Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Andrea Orlando e di tutti i parlamentari di riferimento, praticamente il 90% della truppa. Tra l’altro l’idea che Draghi se non venisse eletto al Quirinale mollerebbe il governo è completamente infondata». Il fatto che anche Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, potente leader del correntone Base riformista, si sia spostato sul no a Draghi la dice lunga sul clima che si respira in Parlamento. Come andrà a finire? «Dipende da Salvini: se si decide a fare un nome che noi possiamo votare», risponde la nostra fonte dem, «come Casini o Amato, si chiude in mezza giornata». Se Letta piange, Conte non ride: Giuseppi è molto infastidito, per usare un eufemismo, dall’atteggiamento del segretario del Pd, che lavora solo e soltanto per Draghi, soluzione che al leader del M5s non va bene. Conte deve trovare una soluzione che salvaguardi innanzitutto la legislatura, poiché il pattuglione di deputati e senatori del M5s, la stragrande maggioranza dei quali ha la matematica certezza di non ritornare mai più a poggiare le pentastellate terga sulle poltrone vellutate del Parlamento, voterà esclusivamente in funzione di questo nobile e disinteressato obiettivo. Luigi Di Maio, da parte sua, continua a lavorare per Draghi, ma ha lo stesso identico problema: deve convincere i suoi che una ascesa del premier al Colle sia contestuale a un accordo su un nuovo governo. «Conte», confida alla Verità un esponente di peso del fronte giallorosso, «sta facendo circolare la voce della possibilità di un accordo con Salvini per smuovere Letta dalla posizione o Draghi o morte. Certo che se il segretario del Pd si intestardisce, Conte potrebbe convergere su un nome proposto dal centrodestra, ma certamente non su uno della terna». A proposto del centrodestra: Salvini continua a giocare su due tavoli. Per dare l’ok a Draghi aspetta il sì al ritorno del Viminale alla Lega, ma col passare delle ore questo primo forno sta per spegnersi definitivamente. Resta acceso il secondo: un nome di centrodestra al Colle, per la prima volta nella storia della Repubblica. Non a caso Salvini, Meloni e Tajani hanno escluso dalla rosa di nomi la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Quest’ultima è la carta di riserva da mettere in campo solo se altre votazioni andassero a vuoto. Mettere sul tavolo nel momento sbagliato il nome della Casellati, sulla quale il M5s potrebbe convergere avendola votata presidente del Senato, che ha già l’ok di molti parlamentari di Italia viva e che è apprezzata anche da alcuni senatori del Pd, sarebbe un errore clamoroso.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)