2019-06-22
Manipolate le carte dell'inchiesta sul Csm
Oscurate le frasi su Corriere e Stampa. La Verità, tirata in ballo da Repubblica, invece non compare negli atti.Ci abbiamo messo un po', ma finalmente siamo riusciti a visionare l'intercettazione del 16 maggio 2019, nella quale secondo Repubblica, venivamo scelti per spargere fango contro l'ex procuratore Giuseppe Pignatone e l'aggiunto Paolo Ielo. Si tratta di 66 pagine che abbiamo letto e riletto, senza, però, mai trovare il nome del nostro giornale, né quello di chi scrive. Eppure Carlo Bonini su Repubblica del 5 giugno scorso era stato assertivo. «Come documentano le intercettazioni» aveva scritto, il pm Luca Palamara, indagato per corruzione a Perugia, e il collega Stefano Fava, iscritto per rivelazione di segreto e favoreggiamento, nonché autore di un esposto contro Pignatone e Ielo, a mezzogiorno del 16 maggio, «concordano che quella storia (dell'esposto, ndr) debba uscire e che il canale debbano essere due quotidiani: Il Fatto e La Verità». Ebbene leggendo la trascrizione l'unica cosa che torna è l'orario. Tutto il resto è stato tagliato e cucito a piacimento da Bonini e dagli altri colleghi che hanno avuto l'onore di ricevere le carte prima degli indagati. Per esempio La Verità non viene proprio nominata e anche il Fatto Quotidiano viene chiamato in causa non nei termini descritti da Bonini. Quel giorno i due interlocutori in realtà sembrano eccitati per un articolo del 15 maggio uscito su un quotidiano dello stesso gruppo di Repubblica. «L'articolo sulla Stampa non era male o no?» esordisce Palamara. Fava: «L'hai pagato?». Palamara: «Lo conosco». Fava: «Quello che è pazzesco di quell'articolo sai qual è?». Palamara: «Quel pezzo di Ielo dici?». Fava: «Esatto». I due sono contenti perché Ielo viene «additato» come «simbolo della necessità di discontinuità» dalla «fronda anti Pignatone». Il pm sotto indagine ne ha pure per un altro collega di Bonini, Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, particolarmente informato sulla vicenda: «Bianconi è legato ai servizi, a loro, te l'ho detto che veniva troppo spesso, gli metteva la pulce no?». Ovviamente tutto questo sui giornaloni, che per giorni hanno scodellato decine di intercettazioni «in esclusiva», non lo avete letto.Gli stessi giornali hanno raccontato per settimane che i presunti complottardi Palamara e Fava avevano come unico obiettivo il «discredito» di Pignatone e Ielo e la pubblicazione di notizie sull'esposto di Fava. Ma a ben leggere, il 16 maggio a mezzogiorno, i due sembravano più concentrati a difendersi che ad attaccare. In quelle ore Palamara si sente sotto ricatto per un'inchiesta che pende sulla sua testa a Perugia e che è approdata al Csm, vanificando la sua corsa a procuratore aggiunto. Il sostituto procuratore è infuriato per la tempistica «assurda» del procedimento, che in Umbria è rimasto senza indagati per sei mesi. La toga ritiene che l'unico modo di togliere quell'arma dalle mani dei suoi nemici sia renderla pubblica: «Io sto pensando pure di fare uscire tutto e faccio uscire pure me e metto in mezzo loro; mi conviene o no? E chiudiamo la partita tanto loro mi rica… secondo me conviene […] o aspettiamo che vieni sentito te (sull'esposto, ndr)?». Poi aggiunge: «E mi faccio uscire io che […] mi hanno rotto il cazzo sui viaggi così lo sa tanto la gent… prima o poi lo sanno, quindi a 'sto punto che Perugia mi ha messo sotto per i viaggi e tutto quanto, no?». Negli articoli dei cronisti che per primi hanno potuto compulsare le carte dell'inchiesta questa parte del racconto non ha trovato spazio. È stato evidenziato solo l'esposto di Fava. In realtà Palamara voleva fare uscire tutto e propone a Fava di iniziare una manovra di avvicinamento: «Però tu a Marco Lillo che c'è qualcosa nell'aria glielo devi inizia' a fa' capi' eh?». Ma non è così sicuro della sua idea e si domanda se Lillo non sia «interessato a rompe' il cazzo». Ma ci sono anche altri capitoli che i giornali hanno celato. Per esempio laddove si ipotizzano ricatti incrociati che hanno il difetto di intorbidire la vicenda, rendendo più difficile distinguere i buoni dai cattivi. Nella lunga intercettazione, i due pm arrivano a progettare di scrivere un libro con cui rivelare «quello che cazzo è successo», con tanto di titolo di lavoro: «Ricatto alla palermitana», facendo riferimento alle origini dell'ex procuratore Pignatone. Il quale, secondo gli aspiranti scrittori, sarebbe a sua volta al centro di chiacchiere fastidiose. La discussione tocca aspetti privati legati alla sfera personale, in cui sarebbero coinvolti anche due vecchi collaboratori di Pignatone. Un poliziotto «la raccontava 'sta cosa» sospira Palamara. «Però non ci credo io, però questo i servizi lo mettono in giro… e che ti dico… questa è una delle cose che mettono in giro». Una storia che chi scrive aveva già sentito nello studio di un importante avvocato, sempre con riferimento ai nostri 007. «Secondo me non è vera, è una cattiveria, io non ci credo» rimarca Palamara. Il quale, però, sembra alla ricerca di conferme e vorrebbe fare qualche domanda a un pm di Reggio Calabria a cui Pignatone era «legatissimo» sino a quando «si è rotto tutto quanto». Palamara sospetta che qualche aggiunto possa aver ricattato l'ex procuratore con queste voci: «Era tenuto proprio per le pa… totalmente capito?». Il discorso sterza su De Ficchy, all'epoca procuratore di Perugia. Anche De Ficchy, come Pignatone, avrebbe avuto gli attributi in ostaggio. O per lo meno questo è quello che sostiene Fava: il consigliere del Csm Sebastiano Ardita gli avrebbe riferito il colloquio con un aggiunto di Roma, il quale avrebbe detto a proposito di De Ficchy: «Noi lo teniamo per le palle». Una frase che il 16 maggio Fava conferma a Palamara, senza specificare chi l'avrebbe pronunciata. Per i due indagati a mettere in difficoltà De Ficchy sarebbe stato l'arresto da parte dei magistrati di Roma del pierre Fabrizio Centofanti, in rapporti con l'ex capo della Procura di Perugia: «De Ficchy conosce benissimo Fabrizio e cioè ormai questo è un rica… è una storia pazzesca» sostiene Palamara. Che in un altro scambio aggiunge: «Quando avete arrestato Centofanti lui ogni giorno mi veniva a parlare… […] questi sono dei ricattatori di professione e guidati da…». Sino alla conclusione: «La cosa che mi inquieta di più è De Ficchy che poi improvvisamente da amico diventa nemico». Nell'intercettazione del 16 maggio Palamara svela pure le fonti che lo avrebbero informato sulle indagini a suo carico, eppure quasi nessuna di queste frasi ha trovato spazio sui giornali. Pignatone avrebbe informato il pm della trasmissione delle carte a Perugia e lo avrebbe anche minacciato. Ma ci sarebbero pure altri magistrati che avrebbero parlato troppo. Palamara: «E Mancinetti (Marco, giudice della corrente Unicost, ndr) era informato su tutto. Capito? Come faceva? […] E quindi hanno fatto rivelazione di segreti d'ufficio […] Sabelli (Rodolfo, aggiunto di Roma, ndr) e io pure questo dovrò denunciare no?». Quindi si immagina davanti alla prima commissione, quella che si occupa delle questioni disciplinari: «Io purtroppo questa storia ve la dico oggi, ma la so da un anno e mezzo tanto è vero che inizia da Mancinetti e Ardituro (Antonio, ex consigliere di Area, ndr)… andava in giro dicendo che io non potevo fare il procuratore aggiunto perché chissà cosa arrivava da Perugia». Palamara è convinto che al Csm quel fascicolo sarà «un boomerang»: «Se io vado a fa' 'ste dichiarazioni saltano in aria sia Cascini (Giuseppe, consigliere del Csm di Area, ndr) che Manci… cioè quelli poi si devono dimette […] eh perché se io vado a di' che c'ho avuto colloquio con Cascini su questo o con Mancinetti che sapeva, che andava in giro a dire 'ste cose […] e chi gliel'ha detto, uno de questi […] Sabelli glielo ha detto».
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