
I Benetton vogliono la testa del manager di Atlantia, che però vanta dalla sua alcuni fondi di peso come quello di Singapore. Nel cda forte discussione sulla sua buonuscita, mentre oggi il gruppo deciderà le prossime mosse sul salvataggio di Alitalia.Si è tenuto ieri nel tardo pomeriggio a Treviso il consiglio di amministrazione di Edizione holding, la capogruppo della famiglia Benetton che controlla il 30,2% di Atlantia che, a suo volta, controlla Autostrade per l'Italia. Quello di ieri è stato un incontro a bocche cucite, ma quello che è trapelato è che si è iniziato a discutere dell'ipotesi di cambiare tutta la prima linea dei vertici di Atlantia a partire proprio dall'ad Giovanni Castellucci. A volere un cambio di rotta tanto importante sarebbe il presidente di Edizione Gianni Mion, intenzionato fermamente a proteggere la reputazione degli azionisti e a prendere le distanze da comportamenti illegali messi in atto dai alcuni funzionari di Autostrade per l'Italia e di Spea, il braccio operativo delle manutenzioni, arrestati o raggiunti da misure interdittive venerdì scorso. Alla base di questa volontà c'è inoltre l'intenzione di capire se certi comportamenti illeciti (l'aver falsificato alcuni rapporti inerenti il ponte Morandi di Genova) siano stati avallati o meno dai piani alti di Atlantia.Ma non è tutto così semplice. L'oggetto del contendere – e anche quello che determina la grande riservatezza dell'incontro di ieri - sarebbe infatti la liquidazione richiesta da Castellucci nel caso si procedesse a un suo allontanamento dal gruppo della galassia Benetton.La prima preoccupazione, sempre secondo indiscrezioni, sarebbe quella di non far trapelare alcuna cifra sulla buonuscita dell'ad. In poche parole, si potrebbe dire che il presidente Mion vorrebbe Castellucci fuori per ripulire la reputazione di Atlantia ma, a frenare tutto, ci sarebbe l'importante liquidazione del top manager. Anche perché l'attuale ad di Atlantia non avrebbe alcuna intenzione di cedere il passo. Inoltre, va ricordato che l'uscita del manager sarebbe delicata anche per ruolo chiave che l'ad ha avuto nell'integrazione con Abertis e per il dossier Alitalia. Senza considerare la sua vicinanza ad alcuni azionisti di peso come il fondo sovrano di Singapore, la Fondazione cassa di Risparmio di Torino, la banca Hsbc e Lazard. Tutti investitori che lo vorrebbero ancora sulla poltrona di ad. In queste ore si sta dunque giocando una partita importante e le ipotesi sono due (ma con lo stesso obiettivo): c'è chi dice che Castellucci potrebbe decidere di rassegnare autonomamente le dimissioni, oppure c'è chi ritiene che il manager rimetta il suo mandato nelle mani degli azionisti, lasciando ai soci la decisione se riconfermare la fiducia o meno. E qui entrerebbe in gioco l'altra metà degli azionisti che invece preme per una forte discontinuità. Insomma, la possibilità che Castellucci possa dunque proseguire la sua avventura in sella ad Atlantia, si gioca sul filo del rasoio.Con ogni probabilità, a seguito del cda straordinario di Atlantia che si terrà oggi, l'azienda dovrebbe diffondere una nota sulle decisioni prese dal gruppo. Alcune indiscrezioni riferiscono che al posto di Castellucci, come numero uno di Atlantia, potrebbe andare lo stesso Mion, ma c'è anche chi fa il nome del direttore generale e consigliere di Edizione, Carlo Bertazzo. Intanto, va avanti l'inchiesta interna al gruppo voluta per scovare i colpevoli e le modalità con cui venivano falsificati i report che, diversamente, avrebbero potuto salvare la vita delle 43 persone decedute nel crollo del ponte Morandi. Dopo le misure cautelari imposte dalla Guardia di Finanza, la linea dei Benetton sembra dunque essere quella dura. Addio a tutte le difese di ufficio verso il management e via un cambio di rotta netto che porti quanto prima nel dimenticatoio le colpe legate al crollo del ponte quel fatidico 14 agosto 2018. Eventi avvenuti, se le accuse dei pubblici ministeri saranno confermate, senza che siano scattati i doverosi controlli interni.Mion è dunque arrivato a giugno in Edizione scelto dalla famiglia Benetton come il paladino che farà splendere di nuovo il nome di Atlantia. Sarà lui, del resto, a dover gestire i delicati rapporti con il nuovo governo giallorosso, la cui parte pentastellata non molla la presa, decisa a rivedere drasticamente il sistema delle concessioni. Atlantia, dal canto suo, considera la concessione come un unicum rigettando la possibilità che venga revocato anche solo il mandato relativo al troncone su cui insisteva il Ponte Morandi, quello della Genova Savona. Quindi se l'esecutivo vorrà effettuare delle scelte in questo senso lo scontro sarà inevitabile. In tutto ciò va ricordato che il governo continua a sperare che Atlantia possa confermare il suo impegno nel salvataggio di Alitalia (la cui presentazione delle offerte è stata prorogata ieri al 15 ottobre). E questo non fa altro che rendere la partita ancora più complessa.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






