2023-11-02
Caso Indi, dall’Italia una lezione di umanità
Dean Gregory, padre della piccola Indi, bimba di sei mesi affetta da una malattia mitocondriale e in cura presso il Queen's Medical Center di Nottingham (Getty Images)
La bimba malata rischia di morire perché medici e giudici inglesi lo ritengono il suo «miglior interesse». Nel nostro Paese sarebbe quasi impossibile sospendere le terapie che la tengono in vita. Così come vietare ai genitori di provare a rivolgersi ad altri ospedali.Quello che è sconvolgente, nel caso della piccola Indi Gregory (come pure in quelli, sostanzialmente analoghi, che lo hanno preceduto e dei quali è stata data ampia notizia sui mezzi di comunicazione) non è tanto che i medici dell’ospedale prima e i giudici poi abbiano deciso che non vi è più ragione di mantenere il sostegno vitale grazie al quale la bambina ha potuto finora sopravvivere nonostante la gravissima e - si sostiene - irreversibile patologia dalla quale è affetta.Una tale decisione, infatti, potrebbe anche, al limite, essere considerata ragionevole, alla stregua di un sia pure cinico calcolo del rapporto costi-benefici tra la qualità di vita che alla persona in questione sarebbe riservata, continuando essa a fruire del sostegno vitale, e l’impegno di risorse, materiali ed economiche, che graverebbe a tempo indeterminato sulla struttura ospedaliera e, in ultima analisi, sul servizio sanitario nazionale.A destare sconcerto e (se possiamo dirlo) indignazione è, piuttosto, il fatto che la decisione in questione sia stata sostenuta dalla ben diversa motivazione secondo la quale essa, pur essendo equivalente né più e né meno che a una condanna a morte, risponderebbe al «best interest» (il «miglior interesse») della bambina e dovrebbe, perciò, essere coattivamente imposta a quest’ultima e ai suoi genitori ai quali non si riconosce, quindi, il diritto di opporvisi neppure provvedendo essi stessi, a loro esclusiva cura e spese, a quanto sarebbe necessario per il mantenimento in vita.Non altrimenti si spiega, infatti, la pretesa che ai genitori possa essere vietato anche di portar via, assumendosene la responsabilità, la bambina dall’ospedale per tenerla a casa o farla ricoverare altrove, anche all’estero. Si tratta di una visione agghiacciante, giacché essa implica (come appare evidente) che la pubblica autorità si arroga, in linea di principio, il diritto incontestabile di stabilire quali siano le condizioni in cui un essere umano affetto da patologie invalidanti di qualsivoglia natura abbia un apprezzabile interesse a vivere piuttosto che a morire. Con la conseguenza, in caso negativo, che se ne potrebbe ordinare la soppressione anche contro la sua volontà, per lo meno in tutti i casi essa verrebbe realizzata mediante la cessazione delle prestazioni sanitarie che rendono possibile la sopravvivenza.Il che, del resto, è già avvenuto, sempre in Gran Bretagna, nel caso (anch’esso ampiamente riferito dalle cronache) della diciannovenne S.T. (le generalità complete non sono state rese note) che, pur affetta da gravissime patologie invalidanti, aveva tuttavia chiaramente manifestato la sua decisa volontà di continuare a vivere ma è stata fatta morire, nel settembre scorso, per mancanza di cure, a seguito della decisione dei medici e dei giudici secondo cui, anche per lei, il suo «miglior interesse» era quello di lasciare questo mondo. E per giungere a tale conclusione, nel presupposto che la sua ostinazione nel voler rimanere in vita non potesse che dipendere da diminuita capacità d’intendere e di volere, le si era addirittura nominato un tutore che, naturalmente, aveva poi concluso nel senso auspicato dai giudici. Non sembri esagerato dire che a tali estremi non era giunto neppure il regime nazista. Esso, infatti, predicava e praticava la soppressione degli individui da considerarsi, per le più varie ragioni, «tarati», ma ciò soltanto nel ritenuto interesse della società e non in quello dei soggetti che alla soppressione erano destinati. Alla crudeltà, quindi, non si accompagnava, per lo meno, l’ipocrisia. Volendo a questo punto fare un paragone con l’Italia, può, una volta tanto, ritenersi che il nostro Paese si sia mantenuto a un superiore livello di civiltà e di umanità. Infatti, decidere di far cessare le prestazioni sanitarie dalle quali dipende la sopravvivenza di un soggetto che non le abbia espressamente rifiutate, sull’assunto della loro inutilità a fronte della qualità della vita che esse potrebbero consentire all’interessato, sarebbe assai problematico, per non dire impossibile. Ma, anche ammettendo che una tale decisione potesse essere adottata, mai e poi mai potrebbe a essa accompagnarsi il divieto, per l’interessato o per chi legittimamente lo rappresenta, di lasciare il luogo di cura in cui quelle prestazioni siano state, fino a quel momento erogate per rivolgersi ad altre strutture o anche solo per ritirarsi nella propria abitazione dove attendere il compimento del destino.Può essere utile, al riguardo, ricordare, per raffronto, il caso famoso della Eluana Englaro, alla quale pure venne tolto, procurandone la morte, il sostegno medico che ne aveva per molti anni assicurato la sopravvivenza, sia pure in stato apparentemente solo vegetativo. In quel caso, la decisione venne adottata sulla scorta di una ricostruzione di quella che, ad avviso dei giudici, sarebbe stata la volontà dell’interessata se quest’ultima fosse stata in grado di esprimerla. Ricostruzione sulla cui legittimità e validità molto vi sarebbe stato da osservare, ma alla quale, per lo meno, non si pretendeva che potesse sostituirsi, in sua mancanza, la volontà dei giudici o di una qualsiasi altra autorità.È restato quindi salvo il principio, sulla cui inderogabilità non dovrebbero ammettersi dubbi di sorta, che a nessun altro che non sia l’interessato o chi ne abbia la legale rappresentanza (e, in questo secondo caso, non senza limitazioni) può attribuirsi il diritto di stabilire se sia per lui più conveniente vivere o morire. Se questo principio, fondato sul diritto naturale oltre che sul comune buon senso, non vale più oltre la Manica, ringraziamo Iddio che ci ha destinati a rimanere al di qua.Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.