2023-01-26
Biden manda i carri armati (ma con tutta calma). «Non minacciamo Mosca»
Carri armati Abrams (Ansa)
Tank tedeschi pronti tra tre mesi, mentre per gli Abrams ci vorrà di più. Il leader Usa ringrazia Roma «per l’artiglieria». Olaf Scholz assicura: «Non invieremo soldati Nato».Saranno 14, per il momento, i Leopard che la Germania invierà dalle sue scorte all’Ucraina. A breve, poi, Berlino autorizzerà i partner che vogliono consegnare i propri tank a Kiev (un’ottantina in totale) e fra non molto comincerà anche l’addestramento delle forze ucraine per l’utilizzo dei nuovi mezzi. Dopo mesi di resistenze il cancelliere Scholz ha ceduto alle pressioni degli Usa e dell’Ue, sulla scia degli Stati Uniti che hanno deciso di concedere a Kiev i loro Abrams. Il «braccio di ferro» tra Germania e Usa era tutto basato su questa «clausola»: Berlino, preoccupata dalla possibile escalation che la cessione dei suoi carri armati di punta può innescare, aveva chiesto a Biden di concedere i suoi mezzi di eccellenza, facendo leva sulla non disponibilità dell’America a privarsene col rischio, tra l’altro, che le nuove tecnologie cadessero, nel corso del conflitto, in mano a Mosca. Biden ha invece annunciato che i carri armati Usa verranno concessi a Zelensky. Il presidente americano ha ufficializzato le decisioni alle 18 - ora italiana- di ieri, dopo una lunga conversazione telefonica sul punto con il cancelliere tedesco Scholz, il presidente francese Macron, il premier britannico Sunak e quello italiano Meloni. «Siamo uniti nel sostegno all’Ucraina», ha detto dopo la chiamata. La «forte coesione tra alleati per assistere Kiev a 360 gradi» è stata confermata anche da Giorgia Meloni. L’Italia ha ricevuto il plauso del presidente degli Stati Uniti per il fatto che «sta inviando artiglieria» in Ucraina, ed è stata citata tra i Paesi a cui sono andati i ringraziamenti per il «continuo intensificare l’impegno». Nel suo discorso, Biden ha anticipato che l’addestramento delle forze di Kiev sui carri armati Abrams «inizierà presto», precisando che sono tank molto complessi e dunque «ci vorrà tempo». Ha sostenuto poi che l’invio dei tank non è da intendersi come «una minaccia offensiva contro la Russia» ma come un «aiuto all’Ucraina a difendersi». «Le truppe russe devono tornare al luogo in cui appartengono, la Russia», ha aggiunto Biden. La partecipazione alla fornitura di mezzi di Berlino e Washington non sembra però «giocata ad armi pari». Berlino conta di provvedere in tre mesi. I 31 tank americani (questo il numero di Abrams che invierà Washington) non saranno invece prelevati dalle scorte esistenti, ma verranno prodotti ex novo dalla General Dynamics Land Systems, l’azienda che li fabbrica. Questo vuol dire che ci vorrà un tempo indefinito (le fonti parlano di mesi, senza specificare quanti) affinché arrivino a destinazione. A fronte di quello che sembra un mezzo «bluff a stelle e strisce» che potrebbe non appagare neanche lo stesso Zelensky, il quale sosteneva che «numero di mezzi e tempi di invio sono fondamentali», anche se ha espresso soddisfazione per l’invio «che aiuterà l’Ucraina a vincere», Scholz lascia intendere che, in cambio della «forzatura», ha discusso con i partner Nato alcune clausole. «La Germania e la Nato non invieranno caccia né soldati», ha affermato il cancelliere tedesco rispondendo al Bundestag a una domanda sulle nuove richieste espresse dal viceministro degli Esteri ucraino, Andrj Melnyk, che ha rivendicato jet da combattimento, navi e sottomarini per l’Ucraina. «Che non vi saranno jet da combattimento l’ho già chiarito molto presto. E lo ripeto anche qui», ha risposto Scholz. Il cancelliere ha ribadito il no anche alla «no fly zone» citando la posizione americana a riguardo: «Non lo faremo. E questa decisione non è cambiata e non cambierà» ha aggiunto. «Non invieremo soldati Nato in Ucraina, in nessun caso. Non è successo finora e non succederà in futuro. Di questo potete fidarvi», ha concluso. Per quanto riguarda i Leopard, come si diceva, «potranno essere in Ucraina nel giro di tre mesi», secondo il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. Berlino per ora ha annunciato una prima compagnia di 14 Leopard 2A6, ma è previsto l’invio di un secondo battaglione che «sarà probabilmente costituito da Leopard 2A4», secondo lo stesso Pistorius. Parlando al Bundestag, Scholz ha fatto trapelare tutta la sua preoccupazione affinché venga evitata l’escalation. «Non lontano da qui c’è una guerra in Europa. E dobbiamo chiarire che noi facciamo tutto il necessario per sostenere l’Ucraina, ma allo stesso tempo che noi dobbiamo evitare una escalation che porti ad uno scontro fra Nato e Russia. Questo è il principio seguito finora e continueremo a seguirlo». Ma le sue intenzioni, insieme alle rassicurazioni di Biden, sembrano contraddette dalle parole di Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelensky. «Confermo ufficialmente che un’escalation interna della guerra in Russia è inevitabile. E saranno effettuati attacchi contro obiettivi diversi. Perché, da chi e per quale scopo è un’altra questione, e non ne possiamo discutere oggi. Mancano le informazioni sufficienti», ha dichiarato il consigliere presidenziale. Podolyak ha sottolineato che le forze armate ucraine non stanno attaccando la Russia, ma che i russi, anche nelle grandi città, potranno «sentire la guerra». Le sue parole fanno il paio con quelle del vice capo dell’intelligence ucraina, Vadym Skibitskyi, che per la prima volta, ha confermato indirettamente che l’Ucraina ha effettuato attacchi in territorio russo. «Se arriviamo a Engels (il riferimento è all’attacco all’aeroporto russo, ndr), arriveremo al Cremlino», ha detto Skibitskyi. «Le dichiarazioni del consigliere presidenziale ucraino Mikhaylo Podolyak su possibili attacchi contro città russe sono una conferma della correttezza della decisione di Mosca di avviare l’operazione militare in Ucraina per proteggerci da questo pericolo», ha risposto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ricordando il coinvolgimento di Kiev «nell’organizzazione di attacchi terroristici» in Russia, come l’uccisione di Darya Dugina. «Le élite politiche dei Paesi europei spesso non servono i propri interessi nazionali, ma gli interessi di paesi terzi», ha detto il presidente russo, Putin. «I tank americani bruceranno in Ucraina», ha chiosato il Cremlino.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
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Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)