
La vicepresidente dem dell'Emilia Romagna Elisabetta Gualmini chiede «un'altra Bolognina» post Renzi: «Alle feste incontro gente che mi chiede perché abbiamo spinto il M5s nelle braccia della Lega. Già dalle regionali del 2019 un nuovo simbolo, e recuperiamo il socialismo».Professoressa Elisabetta Gualmini, è vero che lei ha sostenuto che il Partito democratico debba cambiare nome?«Come fa a saperlo? Ne ho parlato solo in Svizzera...».Lei dovrebbe sapere che La Verità ha orecchie ovunque...«Bene. Allora è importante dire che in quell'occasione, quando ho reso pubblica la mia riflessione, non ho fatto riferimento solo al nome. Ho fatto un ragionamento più complesso che riguarda l'identità del partito».Non parlava in astratto, dunque.«Si figuri. Io sono convinta che il Pd debba cambiare pelle e volto al più presto, fin dalle prossime elezioni regionali. Oppure rassegnarsi al rischio di scomparire».Addirittura?«C'è un malcontento profondo nella nostra base. C'è rabbia, incomprensione, delusione e scontento. Tutti questi sentimenti legati insieme. Questa volta, per salvarsi dal declino, non può bastare un semplice lifting».Perché lo dice in termini così drastici?«Perché dalla mattina alla sera parlo con i nostri militanti in quella che era la regione più rossa d'Italia. C'è ancora gente che mi chiede perché non abbiamo fatto il governo con il M5s!». E lei cosa risponde loro?«Non posso rispondere su quale sia stato il motivo della scelta, perché nel partito un serio dibattito politico su questo punto non c'è stato. Adesso si è sterilizzata ogni attività del Pd, nella speranza che passi la tempesta, e nell'interesse esclusivo delle correnti».E questo non le piace.«Scherza? Io credo che se il Pd resta in stato di catalessi politica non abbia la possibilità di sopravvivere alla crisi. C'è il rischio concreto di una dissoluzione del partito e se vuole le spiego perché».Elisabetta Gualmini è vicepresidente della Regione Emilia Romagna. Ma è anche una studiosa, un'intellettuale che viene dal gruppo del Mulino, una persona che in passato ha studiato la politica con strumenti scientifici. Ma oggi è anche un'amministratrice con antenne sul territorio, angosciata per il futuro del Pd. Sta partendo per pochi giorni di vacanza, ma spiega perché è convinta che al ritorno «non ci sia un minuto da perdere».Lo sa che lei parla come una oppositrice interna?«E di chi? Vorrei che la si finisse con queste etichette aprioristiche».Sta con Andrea Orlando? Con Gianni Cuperlo? Oppure guarda a Pier Luigi Bersani?«Veramente io ero una renziana. Ho creduto in Matteo Renzi finché è stato possibile. Ma siccome sono una persona seria, e realista, mi rendo conto che il discorso che sto facendo deve riguardare tutto il gruppo dirigente, nessuno escluso».Pensa che la sconfitta sia stata colpa sua? O che ci sia stato un «errore di comunicazione» nei confronti dell'esterno, come dicono in tanti, a partire dal segretario Maurizio Martina?«Non penso ci sia stato solo un problema di comunicazione sulle cose fatte. E non penso nemmeno che ci sia stata una colpa ascrivibile esclusivamente alla leadership di Renzi. Anche altri dirigenti di questo partito, probabilmente, al suo posto avrebbero ottenuto lo stesso risultato». Come mai?«Perché ci troviamo in uno scenario europeo. Da un lato, sono in crisi tutte le socialdemocrazie, davanti alle conseguenze negative della globalizzazione soprattutto per le fasce deboli, molto difficili e complesse da governare; dall'altro, non sono ancora arrivati gli effetti benefici delle riforme introdotte e della crescita economica che, seppure debole, è ripartita».È stato proprio Renzi, però, a fare le barricate contro l'accordo con il M5s.«Quella chiusura per me è stato un errore gravissimo. Abbiamo consegnato il paese al connubio M5s-Lega, con i risultati che sono davanti agli occhi di tutti».Lei pensava davvero che fosse possibile aprire un dialogo con Luigi Di Maio?«Conosco bene il M5s per averlo studiato a lungo, da accademica. È un movimento molto trasversale e chiaramente composto da persone e militanti provenienti dalla sinistra e da persone provenienti dalla destra. È un “partito" molto duttile e plastico, che tende ad adattarsi anche alle situazioni in cui si trova. Non c'è dubbio che interagire con la parte del M5s più orientata a sinistra sarebbe stata una strategia interessante, soprattutto all'interno di uno scenario proporzionale; il Pd ha invece spinto Di Maio tra le braccia di Salvini: un patto che porterà il Paese allo sfascio».In Renzi, come in tanti altri, c'era l'idea della cosiddetta «strategia dei pop corn»: quella cioè che la nascita del governo gialloblù avrebbe fatto emergere rapidamente le contraddizioni tra i partiti che lo sostenevano.«Non ho condiviso in nessun modo il ritiro sull'Aventino che è stato deciso dai dirigenti nazionali. Il secondo partito in parlamento aveva un obbligo politico».Quale?«Avrebbe dovuto almeno confrontarsi e scoprire le carte con il Movimento 5 stelle: evitare di fare il tifo per l'alleanza iper-populista tra Lega e grillini».Non pensa che quell'accordo possa essere logorante per Salvini e Di Maio, come credono i dirigenti del Pd che si sono opposti?«A me pare che ci stiamo logorando noi. Il voto del 4 marzo è stato un urlo, una richiesta di protezione sociale, di sostegno e aiuto alle famiglie. Proporre a gente che chiede altro, dibattiti astratti e fumosi, istituzionali o politologici che siano, mi pare suicida».Non le è piaciuto il dibattito interno del Pd dopo il voto di marzo?«Quale dibattito?».Non sia sarcastica...«No, è una domanda seria. Io vedo solo una cosa, che è stata avvertita anche dai cittadini. Perché nessuno dei dirigenti della prima linea si facesse male, in sostanza, si è deciso di non decidere: questo proprio nel momento in cui non bisognava attendere un solo minuto. Questa è stata la scelta che ha fatto e fa più male al partito».Perché lei invece pensa a un gesto drastico come il cambio del nome? «Perché vado esattamente nella direzione opposta a quella dei temporeggiatori. Bisogna cambiare subito, e bisogna dare l'immagine di un cambiamento forte, e radicale».A cosa pensa?«A un passaggio di rottura che sia paragonabile a quello di una nuova Bolognina. Ad un passaggio di discontinuità simile a quello della svolta di Achille Occhetto. Sono stata renziana, e lo ripeto, perché non amo i trasformismi, ma credo che ora si debba prendere atto che il Pd non è stato quello che noi immaginavamo. Oggi il Pd non viene percepito come un grande partito riformista che sta dalla parte dei più deboli».Le piace più il nuovo gruppo dirigente di Martina o quello «vecchio» renziano?«Non credo che noi possiamo presentarci con i volti dei soliti noti. E non ho avvertito grandi cambiamenti. Ma in questo caso sto parlando di identità politiche».Quindi, in che direzione guarda?«Credo che si debba tornare ad ancorare questa nuova identità a sinistra. E che, forse, in questo nuovo nome ci debba essere un moderno riferimento all'idea del socialismo».Lei è convinta che si potrebbe collaudare questo progetto fin dalle regionali dell'Emilia Romagna?«Assolutamente sì. E credo anche che pure un uomo come Stefano Bonaccini (il presidente della stessa Regione, ndr) condivida, se non tutta l'analisi che sto facendo, almeno queste mie preoccupazioni».Le elezioni regionali sono fra circa un anno. Perché tanta fretta?«Perché non abbiamo più molto tempo davanti a noi. Mentre il fattore tempo in politica è decisivo, necessario perché qualsiasi cambiamento non sembri un processo trasformistico. Bisogna che il cambiamento sia vero».Ha già in mente il nome e il simbolo che le piacerebbe adottare?(Sorriso). «No, le ho già detto troppo. Non sono decisioni che si possono prendere da soli, deve essere un percorso condiviso. E fin lì non sono ancora arrivata».
(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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