2020-12-21
«Cari cattolici, vi spiego perché la Chiesa è finita sotto accusa»
Il teologo monsignor Livio Melina: «Per uscire dalla crisi non basta punire severamente i colpevoli di abusi Occorre tornare all'essenziale della nostra fede, cioè a testimoniare il primato di Dio»Non è una difesa, ma un esame senza sconti che contiene un suggerimento, quanto emerge dai saggi riuniti in Chiesa sotto accusa (edizioni Cantagalli). I testi - firmati da personalità del calibro del cardinal Camillo Ruini, o della sociologa Gabriele Kuby, solo per citarne 2 su 17 - commentano gli Appunti del papa emerito Benedetto XVI sulla Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali. Nella prefazione padre Georg Gänswein sgombra il campo: gli appunti di Ratzinger sono stati già pubblicati (sempre da Cantagalli) in un testo a quattro mani con papa Francesco, e questo mette «fuori gioco sia chi squalificava l'intervento di Benedetto XVI, auspicando un suo silenzio perpetuo, sia chi contrapponeva la visione dei due Papi». Uno dei curatori del volume (assieme a Trecey Rowland, docente di teologia in Australia) è monsignor Livio Melina. Ha insegnato teologia morale dal 1996 al 2019 al Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia, a Roma, di cui è stato preside per dieci anni, fino al 2016. Carriera accademica internazionale, gli domandiamo a chi regalerebbe questo libro per Natale.Chiesa sotto accusa è un libro per preti, per i cattolici, o anche per chi li attacca?«È un libro per tutti i cattolici, in un tempo di prova, che intende ridonare la speranza. Se, come dice Benedetto XVI, sembra che la Chiesa stia morendo nelle anime, il testo vuole aiutare a far sì che la Chiesa possa di nuovo rinascere nelle anime. Rifugge, anche, da diagnosi superficiali e da soluzioni meramente disciplinari: la radice del problema non è, come si sente dire, solo il clericalismo, e la soluzione non sono le norme punitive più rigide. Anche se - evidentemente - occorre punire severamente i colpevoli del crimine di pedofilia. Il libro vuole verificare il suggerimento che il Papa emerito ha offerto: ritornare all'essenziale per cui la Chiesa esiste, e cioè testimoniare il primato di Dio».Quel che scrive Ratzinger è a tratti molto crudo, un atto di verità.«Si tratta di una diagnosi che va in profondità, arrivando coraggiosamente alle cause culturali e spirituali della crisi. Nello spiegare la malattia, c'è anche il consiglio per guarirne».Colpisce il ripetuto riferimento, nel libro, al Sessantotto. Cosa c'entra con gli atti di pedofilia nella Chiesa?«Nel Sessantotto si è promossa una visione della sessualità separata dai significati centrali del corpo umano: il dono di sé e la trasmissione della vita. Inoltre, si è portata a termine la secolarizzazione della sessualità, separandola dalla trascendenza e da Dio, dal suo piano creatore. La denigrazione sistematica della famiglia naturale e delle sue strutture portanti ha condotto a una legittimazione di qualsiasi esperienza soggettivamente appagante: “vietato vietare" era lo slogan preferito. Alla fine, questa visione della sessualità riflette una logica narcisistica centrata su sé stessi, in cui non si accetta la presenza dell'altro. La sessualità si apre così alla possibilità di diventare una forma di violenza e di abuso, e naturalmente le prime vittime sono i piccoli e gli indifesi». Meglio non ci fossero state le istanze sessantottine? La Chiesa ha nostalgia di restaurare l'ordine moralistico di un tempo?«Il Vangelo non contiene un ordine moralistico, ma l'annuncio liberante della verità dell'amore. Naturalmente va distinto il moralismo dalla morale, per non buttare con l'acqua sporca anche il bambino. Il moralismo, tipico della visione puritana, è quella concezione che identifica la vita etica con il rispetto di regole repressive, soprattutto nell'ambito della sessualità, vista con sospetto o con paura».La morale invece?«Quella cristiana insegna la luce per un cammino di bellezza e grandezza, che si radica nel disegno originario di Dio creatore. È questa visione positiva della sessualità, alla luce del dono fecondo di sé, che la Chiesa vuole restaurare: rapporti che permettono la vera libertà, che non è fare ciò che pare e piace, ma che è sempre libertà di amare. Quando la sessualità dimentica i significati originari del corpo, nel dono di sé e nella trasmissione della vita, diventa una prigione per l'uomo, una ricerca, talvolta molto disperata e disperante, di un piacere che invece di creare comunione, isola e chiude in sé stessi. Papa Benedetto svela anche l'ipocrisia di chi prima ha banalizzato la sessualità e ora si scandalizza che questa banalizzazione abbia condotto a questi terribili abusi. In secondo luogo parla della crisi di fede, che ha vissuto e che sta vivendo tuttora la Chiesa».Chiesa alla quale tante volte si muove l'accusa: «Predica bene, razzola male». Come risponde? È una questione di coerenza?«No, in realtà il problema è molto più grave, e proprio qui sta la sua novità e la sua estrema pericolosità, che va compresa. È infatti un problema di giustificazione del male. La Chiesa non ha avuto mai il problema di riconoscere la sua fragilità e, anzi, la sua propria incoerenza, che sempre più o meno la accompagna. È quindi essenziale quanto Benedetto XVI dice sugli assoluti morali, sulla distinzione chiara tra il male e il bene, secondo l'insegnamento di Veritatis Splendor».Enciclica di Giovanni Paolo II. «Sì. La debolezza e la fragilità umane non possono diventare la misura del comportamento. È inoltre essenziale ricordare anche il centro della fede cristiana: Cristo ci dona la forza per vivere secondo il Vangelo. Senza questa fiducia nella forza che viene dalla grazia di Gesù, è facile cadere nella giustificazione delle proprie fragilità, delle proprie debolezze e addirittura delle perversità che si commettono».I preti che hanno commesso il crimine della pedofilia sono senza Dio? Sono malati?«Secondo l'analisi di Benedetto XVI, il problema non è solo dei singoli, ma va inquadrato con onestà intellettuale come il fallimento della cultura d'insieme. La soluzione in ogni caso non può essere solo una soluzione formale che si affida a nuove procedure. Si tratta di mettere in atto misure che aiutino al cambiamento del cuore e alla conversione delle persone e delle strutture di peccato».Prima di arrivarci il Papa emerito mette anche in luce senza remore il «collasso» di quanto avveniva nei seminari. In diversi di questi, scrive ad esempio, negli anni Sessanta si formarono «club omosessuali». Oggi la situazione qual è?«La crisi riguarda certamente e in primo luogo la formazione sacerdotale. È fallita la visione di un sacerdozio meramente funzionale oppure orientato solo in senso sociologico. Se il sacerdozio non si comprende all'interno della vocazione dell'uomo all'amore, non permette di riempire una vita. Lascia un vuoto, che nel contesto di una fragilità e di un condizionamento della cultura ambiente, apre al permissivismo, alle debolezze, fino agli abusi e alla loro giustificazione. È cruciale tornare a una visione del sacerdote come padre e sposo. Il celibato si può vivere allora secondo una nuova misura, che aiuta a integrare esistenzialmente la mascolinità e la sessualità. Pur dentro le fatiche, i momenti di difficoltà e persino le cadute, si apre allora la possibilità di una pienezza di vita e di una testimonianza di letizia, che tanti preti sanno dare anche oggi».Tra le «crisi» analizzate c'è, appunto, quella della paternità. «È un punto decisivo. Gli abusi sui minori sono un tradimento della paternità. Si possono comprendere alla luce dell'assenza del padre nel contesto contemporaneo. Quando manca il padre cresce il rischio di restare chiusi nel narcisismo che gira su sé stesso. Recuperare la paternità richiede, a sua volta, di recuperare la presenza di Dio come Padre, e imparare a ricevere la vita da lui, “da cui ogni paternità in cielo e in terra prende nome", come dice San Paolo. Questo punto è essenziale anche nella formazione sacerdotale».Torniamo al «consiglio per guarire»: come si esce da questa crisi?«Non ci sono ricette facili e puramente esteriori, solo disciplinari. Si tratta da una parte di educare all'amore vero e di recuperare la visione della sessualità all'interno del piano di Dio. San Giovanni Paolo II nelle sue catechesi sull'amore umano ci ha lasciato l'eredità preziosa di un cammino, anche se molti non lo prendono sul serio o lo contestano apertamente. Inoltre, c'è una chiamata a una riforma della Chiesa, nel senso di tornare alla sua forma originaria, che ci è donata nell'eucaristia, nell'opera di Dio in nostro favore. Nell'eucaristia, infatti, si recupera la santità del corpo e s'impara a rispettare il suo linguaggio. Non si tratta di rivoluzionare la Chiesa o di costruirne una nuova a nostra misura, adattandola ai tempi, ma di restituirla allo splendore della forma voluta da Cristo».Argomento che lei stesso affronta firmando un saggio nel libro sulla radice teologica specifica della crisi. Ce lo sintetizza?«Si tratta innanzitutto di ritrovare il primato di Dio creatore. La dimenticanza del creatore va insieme con la perdita del significato del corpo e della sessualità. L'ordine creaturale, a sua volta, arriva a pienezza nell'eucaristia, dove Cristo donando sé stesso in sacrificio consegna alla Chiesa una nuova misura del corpo e rivela la fonte dell'amore come dono di sé. Per questo, nei suoi Appunti, Benedetto XVI sottolinea l'importanza decisiva dell'eucaristia come sacramento dove si genera la Chiesa. Mettere di nuovo al centro l'eucaristia è il cammino per ogni riforma della Chiesa che l'aiuti a vivere la dignità del corpo e a portare questa dignità nella famiglia, al cuore pulsante dove si edifica la società».
Era il più veloce di tutti gli altri aeroplani ma anche il più brutto. Il suo segreto? Che era esso stesso un segreto. E lo rimase fino agli anni Settanta