2024-10-08
Cardinali pro Lgbt e migranti. Il Papa blinda il conclave punendo i «ribelli» africani
Il Pontefice nomina altri elettori: a dicembre, nel collegio ce ne saranno 111 messi da lui. Due in meno di quelli che erano stati ereditati da Wojtyla, che però regnò per 27 anni...I Papi li sceglierà pure lo Spirito Santo, ma allo Spirito Santo si cerca sempre di dare una mano. Lo fanno un po’ tutti i Pontefici regnanti, esercitando il loro potere di creare cardinali elettori. E Francesco, in questo, non si è affatto risparmiato. Anzi: col prossimo Concistoro dell’8 dicembre 2024, arriverà a quota 151 cardinali creati, di cui 112 elettori. Si accinge così a superare le cifre di Paolo VI, che in sei Concistori aveva distribuito 143 porpore. E fatte le dovute proporzioni, sta viaggiando ai ritmi di Giovanni Paolo II. Il quale, però, ha regnato per quasi 27 anni; lui è sul soglio di Pietro da circa undici e mezzo.Dopo la parentesi «ratzingeriana» del viaggio in Europa centrale, che lo ha addirittura messo in polemica con il governo belga sulla questione dell’«aborto omicidio» e dei «medici sicari», Jorge Mario Bergoglio ha rimesso i panni del leader progressista, in vista dell’ultima infornata di cardinali, annunciata domenica. È evidente il carattere ideologico dell’incarico conferito a un personaggio come padre Timothy Radcliffe, teologo domenicano londinese, promotore dell’agenda Lgbt. Assistente spirituale al Sinodo sulla sinodalità, sono sue le prime meditazioni della nuova sessione dell’Assemblea dei vescovi. Tre settimane fa, sull’Osservatore Romano, Radcliffe era tornato a occuparsi proprio dell’accoglienza dei fedeli omosessuali nella Chiesa, con un editoriale che il quotidiano d’Oltretevere aveva prudentemente intitolato «Portatori del Vangelo gli uni per gli altri», ma che su fonti di lingua inglese viene presentato in una veste più esplicita: «Cosa può imparare la Chiesa dai cattolici Lgbtq».Altrettanto connotata è la promozione di padre Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e, soprattutto, alfiere della causa dei migranti. La Nuova Bussola Quotidiana ha notato che l’indonesiano Paskalis Bruno Syukur ha avuto l’accortezza di farsi notare dal Pontefice quale estimatore della Dichiarazione di Abu Dhabi, dedicata al controverso concetto di «fratellanza umana». In area modernista si collocano, poi, il primate d’Argentina, monsignor Vicente Bokalic Iglic, il peruviano Carlos Castillo Mattasoglio e i vescovi di Porto Alegre (Brasile), Guayaquil (Ecuador) e Belgrado. Per il resto, le nuove nomine paiono ispirate da simpatie molto personali del vicario di Cristo. Non si spiegherebbe, se no, il galero offerto a monsignor Roberto Repole, presule di Torino da nemmeno tre anni, ma sempre negato al suo predecessore, Cesare Nosiglia, arcivescovo nel capoluogo piemontese per nove anni. Nelle grazie di Bergoglio figura di sicuro il vicario generale per la diocesi di Roma, monsignor Baldassarre Reina, siciliano, vicino a un altro religioso sensibile alla questione dell’immigrazione: l’arcivescovo emerito di Agrigento, nonché cardinale, Francesco Montenegro. Una fortuna simile è capitata al lituano Rolandas Makrickas, arciprete coadiutore di Santa Maria Maggiore a Roma, dove spesso il Papa si è recato in preghiera. Il Pontefice sudamericano, che pochi giorni fa aveva chiesto ai porporati di tagliare le spese, è passato sopra la gestione allegra della basilica da parte del commissario, che prima aveva speso una fortuna per acquistare un nuovo ambone e una nuova sede e poi aveva provato a recuperare denaro, facendo aprire una gelateria nel cortile interno. Francesco, a luglio 2022 si fermò lì a gustarsi un bel cono.In controtendenza, la berretta rossa assegnata all’arcivescovo di Santiago del Cile, monsignor Fernando Chomalí, fermo su aborto ed eutanasia. Idem quella a Francis Leo, arcivescovo di Toronto, che il sito di approfondimento Silere non possum descrive così: «Equilibrato, fedele a una sana tradizione e attento alle esigenze delle persone», oltre che capace di gestire il «caso degli indigeni canadesi», facendo emergere «le calunnie contro la Chiesa cattolica».Sono stati puniti gli africani, che si erano opposti alla liberalizzazione delle benedizioni alle coppie gay e irregolari. Ancora quattro giorni fa, l’arcivescovo di Rabat, monsignor Cristóbal López Romero, lamentava: nell’approvare quella prassi, con Fiducia Supplicans, «noi che siamo in Africa non siamo stati ascoltati». Ora, l’unico riconoscimento è andato a monsignor Ignace Bessi Dogbo, ivoriano. Quello al vescovo di Algeri è una beffa: monsignor Jean-Paul Vesco è nato a Lione ed era favorevole alle aperture arcobaleno. Insomma: il Pontificato è terzomondista, finché il Terzo mondo non contesta il Pontificato. Molti colpi al cerchio, qualcuno alla botte. Quanto basta per modellare a propria immagine il futuro conclave, pur sapendo che le vie del Signore sono infinite e che nessun Papa può ipotecare la volontà divina.Fatto sta che, ad oggi, Bergoglio è già al decimo concistoro nell’arco di un decennio. Il Papa del XX secolo più prolifico era stato Karol Wojtyla, con 231 cardinali creati, ma in nove concistori, spalmati su 26 anni e 168 giorni. Entrambi, durante il loro regno, hanno derogato al tetto di 120 cardinali votanti, fissato nel 1975 da Paolo VI. Alla sua morte, il 2 aprile 2005, in conclave ce n’erano 113 nominati da Giovanni Paolo II. Con il prossimo concistoro e tenuto conto che, il 10 ottobre, il venezuelano Baltazar Enrique Porras Cardozo compirà 80 anni e non parteciperà a future elezioni, in conclave ci saranno 111 elettori creati da Francesco sui 141 totali. Che sono già una quantità da record storico (con il polacco, erano arrivati massimo a 135).Ciò non significa solamente che il «partito» di Bergoglio - ammesso che, a tempo debito, resti monolitico - ha superato la fatidica soglia dei 94 porporati, ossia i due terzi del collegio. Significa anche che, per una eventuale «fronda» di conservatori, sarà più difficile organizzare una «resistenza»: il quorum di sbarramento sarà più alto, bisognerà convincere più persone. Lo Spirito Santo ha già le sue idee.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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