2023-07-03
Toni Capuozzo: «Se Putin è più forte di prima, l’Occidente non ha un piano B»
Il giornalista: «Il Cremlino ha avuto ragione di un pronunciamento militare in poche ore e senza spargere sangue. Sui russi, che temono il caos sopra ogni cosa, questo fa effetto».Lo schema è conosciuto e qualcuno, in Occidente, ha sperato potesse funzionare anche con la guerra in Ucraina: il poliziotto cattivo scaccia quello ancora più cattivo. «È curioso notare come in molti abbiano guardato alla marcia di Prigozhin e dei mercenari della Wagner come la vera controffensiva ucraina», spiega alla Verità Toni Capuozzo, giornalista e storico inviato di guerra. «Forse speravano in un eventuale successo dell’operazione, con la conseguente destituzione di Putin, per risparmiarsi la fatica di capire quale piega prenderà questo conflitto, quanti altri soldi e munizioni dovremmo inviare a Kiev prima di mettere la parola fine alla guerra». Capuozzo, una potenziale instabilità a Mosca è stata scongiurata. Putin ne esce tutt’altro che indebolito?«Ha avuto ragione di un pronunciamento militare, di ispirazione sudamericana, in poche ore e in maniera pulita, senza spargere sangue e con l’esilio del capo dei ribelli. La descrizione di un Putin indebolito fa comodo a una certa opinione pubblica occidentale, che preferisce nascondere sotto al tappeto la polvere di una controffensiva che non ha ancora portato i frutti sperati. Fino a qualche settimana fa, c’era chi parlava di “Armata Rotta”. Nonostante il supporto di circa 40 Paesi, l’Ucraina si è ripresa appena 114 chilometri quadrati di terra, la Russia e gli indipendentisti ne controllano circa 100.000. Putin è sicuramente più forte all’interno del suo Paese e il bagno di folla in Daghestan, al netto della propaganda, lo testimonia». Il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, è stato spedito in esilio in Bielorussia mentre i suoi nemici sono ancora al loro posto, a cominciare dal ministro della Difesa, Shoigu. Che cosa è stata la «Marcia della Giustizia»?«Un gesto disperato di Prigozhin, una corsa contro il tempo per evitare che la Wagner gli venisse sottratta».È stato previsto l’inquadramento dei mercenari nei ranghi dell’esercito regolare: fine dei ricchi bottini di guerra?«Non sappiamo su quali appoggi potesse contare Prigozhin o se sia stato a sua volta tradito, lo leggeremo tra qualche anno nelle memorie di qualcuno. Attenendosi ai fatti, l’esilio per uno che l’ha combinata così grossa è quasi una medaglia. C’è chi ha fatto una fine peggiore per molto meno».«Il tradimento non può essere perdonato», diceva Putin in una vecchia intervista. «La Russia non è mai stata una democrazia, come la intendiamo noi. I russi odiano l’instabilità e i vuoti di potere. Sentono il bisogno di essere guidati da una figura forte, a volte fino al terrore, come è stato con Ivan il Terribile o lo stesso Stalin. Putin è riuscito a dimostrarsi una sorta di zar al di sopra delle parti: da un lato c’era Prigozhin, dall’altro Shoigu e Gerasimov. Per il momento, credo che Putin abbia dato prova di saggezza: prendere una decisione diversa dall’esilio per Prigozhin e i suoi sarebbe stato impopolare, restano pur sempre i vincitori di Bakmuth e sono stati applauditi a Rostov».Secondo il capo dell’intelligence militare di Kiev, i servizi russi avrebbero avuto l’incarico di liquidare il leader della Wagner. È un «morto che cammina», come qualcuno lo ha definito, o la sua presenza in Bielorussia potrà tornare utile?«I prossimi mesi, o anni, ci diranno se arriverà una vendetta lunga, ma ritengo che possa tornare utile a Mosca».Per quali ragioni?«Innanzitutto perché si trova al di fuori della Russia ed è una spina in meno nel fianco di Putin. E poi perché può fungere da spauracchio, una sorta di calamita per le forze militari ucraine». Non a caso i comandi militari hanno deciso di rafforzare il fronte settentrionale del Paese, ai confini con la Bielorussia.«Ciò distrarrà i soldati dalla controffensiva. Probabilmente, Prigozhin può tornare utile anche al presidente bielorusso Lukashenko, contro l’opposizione interna. Si profila uno scenario simile a quello che si è consolidato prima dell’ammutinamento: ci sarà un mercanteggiamento perché la Wagner continui a fare il lavoro svolto finora per conto di Mosca, in vari teatri di guerra». Si sono fatti diversi paragoni con il passato, dalla marcia su Roma alla rivoluzione del 1917: la «la Marcia per la Giustizia» può essere avvicinata a qualcosa di simile?«Innanzitutto eviterei la parola golpe, che presuppone la presa di possesso dei palazzi del potere, in questo caso il Cremlino. Pensare di prendere Mosca con un numero esiguo di soldati - si è parlato di 25.000 uomini - mi sembra velleitario. Preferirei usare il termine pronunciamento: i militari fanno sentire il tintinnio delle armi per ottenere qualcosa. A buon intenditor poche parole. Fare delle assonanze mi sembra complicato: se Mussolini si fosse fermato a Firenze, probabilmente la storia d’Italia del secolo scorso sarebbe stata un po’ diversa. Ho trovato paradossale anche il riferimento di Putin alla Rivoluzione d’Ottobre, che ha funzionato solo perché i russi hanno timore del caos: è bastata la rievocazione della rivoluzione, della guerra civile tra l’Armata Rossa e le Guardie Bianche per sopire gli entusiasmi nei confronti dei mercenari ammutinati che avanzavano verso la capitale». A proposito di caos, sembra che gli Stati Uniti fossero a conoscenza dei piani della Wagner e avrebbero fatto pressioni sull’Ucraina per evitare di sfruttare il momento: un Paese con quasi 6.000 testate nucleari che precipita nell’incertezza non è uno scenario auspicabile. «L’intelligence americana ha una visione della marcia di Prigozhin e dell’andamento della guerra molto divergente da quella della Casa Bianca. Non a caso, hanno temuto come una iattura la caduta di Putin. Sanno benissimo che non ha senso parlare di una vittoria della guerra da parte dell’Ucraina e che sarebbe auspicabile un arrangiamento pragmatico. E non perché sono dei putiniani, ma perché sono consapevoli che gli investimenti politici ed economici che sono stati fatti per questo conflitto rischiano di rivelarsi fallimentari». Qual è stato l’errore commesso dall’Occidente? «Non aver trattato la guerra in Ucraina per quello che è, cioè un conflitto regionale. Si è diffusa l’idea che l’Ucraina sia la trincea della democrazia in Europa, che Kiev combatta anche per noi. E se non dovessero vincere, la democrazia europea fallirebbe? Negli Stati Uniti, dove hanno investito miliardi di dollari sull’Ucraina, il tema è molto sentito e mette a dura prova la leadership presidenziale».Insomma, sembra che non ci sia un piano B. «Questo è il problema che ci trasciniamo dietro da tempo. Le analisi sul fallito piano di Prigozhin o le preoccupazioni per un ipotetico sabotaggio della centrale nucleare di Zaporizhzhia sono un diversivo per non affrontare il punto principale: la controffensiva ucraina è destinata a vincere e a ricacciare i russi indietro in tempi ragionevoli oppure no? E se ciò non avvenisse, che cosa faranno? Continueranno a inviare armi e soldi a oltranza?».Questo è il dilemma di tutti i governi, compreso quello di Giorgia Meloni. Un piano B presuppone la disponibilità a concedere qualcosa all’avversario: chi sarebbe disposto ad accettare? «È il momento di iniziare a discutere se la Crimea può restare russa e quale sarà il destino di Mariupol, per esempio. Una cosa è arrivare ai negoziati per senso di responsabilità, per evitare una guerra fino all’ultimo ucraino che può trasformarsi in un conflitto globale o, peggio ancora, nucleare. Altra cosa è arrivare ai negoziati perché non si è riusciti a vincere. Se la linea da seguire è “Nothing about Ukraine without Ukraine” (Non si fa nulla sull’Ucraina senza il consenso dell’Ucraina), allora l’Occidente dovrà essere disposto a leccare le ferite di Zelensky, con una pioggia di soldi per una ricostruzione costosissima, e soprattutto a fare i conti con il sentimento della vittoria mutilata e della sovranità mai realizzata. Avremo dei territori occupati, modello mediorentale, nel cuore dell’Europa».Una delle idee sul tavolo è trasformare l’Ucraina in un «porcospino», sul modello di Israele e Taiwan: Kiev rinuncia a porzioni di territorio in cambio della fornitura di armi da parte occidentale, in modo da scoraggiare eventuali nuove aggressioni russe. Possibile? «Vorrebbe dire combattere una guerra a bassa intensità, con incursioni di ribelli russi, attentati e ricerca di collaborazionisti da una parte e dall’altra parte. Gli aculei del “porcospino” non si rizzerebbero in modo solo virtuale: significherebbe ritrovarsi con un contingente internazionale, composto curiosamente da asiatici e africani perché gli europei sono coinvolti. L’Europa finirebbe per essere trattata come una dei litiganti in causa e la presenza di caschi blu tra i due fronti sarebbe il tradimento della sua natura originaria».
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