
Assalto dem a Mara Venier, che ferma il comizio di Dargen D’Amico e legge la nota di Viale Mazzini. Poi però Piero Fassino rompe il fronte dem.E ora perfino Mara Venier trasformata nel nuovo volto del regime. Il regime di TeleMeloni, ovviamente. La storica conduttrice veneziana, 73 anni di cui 35 passati in Rai con qualunque governo, domenica ha osato fermare il cantante Dargen D’Amico che straparlava di immigrazione a Domenica In. Non solo, la Venier ha anche letto il comunicato con cui Viale Mazzini si difendeva dalle rimostranze dell’ambasciata d’Israele in Italia, inviperita per le accuse sulla guerra in Medio Oriente contenute nella canzone di Ghali andata in scena a Sanremo. Risultato, il Pd ha scatenato un polverone, accusando la Rai di «censurare gli artisti» e di essere diventata il megafono del governo di Giorgia Meloni. Con tanto di richiesta incorporata di dimissioni per Roberto Sergio, amministratore delegato della tv di Stato. Dargen era ospite del dopo Sanremo a Domenica In, dove i giornalisti presenti gli hanno chiesto di spiegare meglio il testo della sua canzone Onda alta e gli hanno fatto una domanda esplicita sull’immigrazione. Il rapper non si è sottratto: «In Italia c’è sempre stata la regola dell’ospitalità e dell’accoglienza, una volta le porte delle case erano aperte: i bambini se avevano fame entravano e dicevano “ho fame” e nessuno chiedeva “ma da dove vieni?”. Niente, gli davano da mangiare, avevano freddo e li coprivano. Questo è il nostro bagaglio genetico ideale, giusto?». Opinioni legittime, espresse senza che nessuno lo interrompesse. Poi è arrivata una seconda domanda sul connubio tra musica e messaggi di un certo «spessore», e Dargen ha continuato: «L’Italia si sta rimpicciolendo. Non si parla mai del fatto che la bilancia dell’immigrazione economica è in positivo: quello che gli immigrati immettono nelle nostre casse per pagare le nostre pensioni è più di quello che spendiamo per l’accoglienza. Queste sono statistiche che ogni tanto andrebbero raccontate». Chi legge La Verità sa che si tratta di uno strafalcione in piena regola e che la storia degli «immigrati che ci pagano le pensioni» è una roba da bar sport, ma pazienza. Né Dargen D’Amico né la Venier sono economisti delle migrazioni. In più, non si era in un talk show politico, ma nella trasmissione d’intrattenimento della domenica pomeriggio. La Venier lo sa bene e, dopo averlo fatto parlare abbastanza, com’è suo diritto blocca il Dargen-comizio: «Va bene però qui è una festa, ci vorrebbe troppo tempo per affrontare determinate tematiche. Noi qui stiamo parlando di musica. Non è colpa tua […] siccome è molto difficile in tre parole dire tutto questo ci vorrebbe molto più tempo perché sono tematiche importanti. Il tempo non ce l’abbiamo. Scusatemi». Dargen si scusa e saluta con spirito: «Arrivederci, se non dovessimo rivederci...».Dopo di che, la Venier viene impiccata dagli orfani di Telekabul per aver letto una nota ufficiale della Rai su Sanremo e la guerra tra Israele e Hamas. Era successo che un altro rapper, Ghali, ha utilizzato il microfono e il palco sanremesi per dire la sua: «Stop al genocidio», riferendosi ai massacri di civili nella striscia di Gaza. La canzone che aveva portato, Casa mia, conteneva poi un passaggio decisamente schierato: «Ma come fate a dire che è tutto normale. Per tracciare un confine con linee immaginarie bombardate un ospedale». Posizioni che hanno scatenato la reazione dell’ambasciata di Israele, per la quale il palco di Sanremo «è stato sfruttato per diffondere odio» (e che hanno portato il furbo Fabio Fazio ad annunciare che avrà Ghali ospite di Che tempo che fa). Visto che l’accusa non arrivava da un blogger qualunque, la Rai ha deciso di difendersi con un comunicato stampa che Mara Venier ha letto in trasmissione. Una nota in cui si esprimeva massima solidarietà e rispetto per il popolo d’Israele e per le comunità ebraiche. A completare un pomeriggio da incubo, la povera presentatrice è stata anche pizzicata a dire ai cronisti, pensando che il microfono fosse chiuso, «così mettete in imbarazzo me». Imbarazzo per il dovere di riequilibrare la trasmissione e Sanremo, non certo per il «regime» che la rincorreva. Eppure, il Pd è partito lancia in resta. Il deputato del Pd Emiliano Fossi, che ha chiesto le dimissioni del dg, Giampaolo Rossi, sostiene che «si solidarizza unicamente con Israele, dimenticandosi di tutti quei civili che sono massacrati a Gaza», mentre la Rai, «ormai diventata il megafono del governo di Giorgia Meloni e i suoi vertici, sono inevitabilmente schierati con esso». Poi arriva l’ex giornalista Sandro Ruotolo, responsabile informazione del Pd, e usa parole impegnative. Ecco il suo sfogo: «Quello che è successo è grave. Prima la velina e poi la censura nello stesso programma, Domenica In su Rai 1». Alessandro Zan, responsabile Diritti del Pd, sostiene che «Ghali e Dargen D’Amico, con un messaggio di pace, hanno mostrato tutta la debolezza di questo sistema di potere». Sarà, ma anche nello stesso Pd c’è stato un certo cortocircuito su Israele. E non a caso l’ex segretario Piero Fassino ieri ha twittato in senso contrario, osservando: «È sconcertante che in un evento musicale come #Sanremo nessuno abbia ricordato i massacri e gli ostaggi nelle mani di Hamas, mentre non è mancato chi ha usato la parola genocidio contro Israele». Ieri pomeriggio è intervenuto anche Ignazio La Russa. Il presidente del Senato ha ricordato che «i cantanti possono dire quello che vogliono, ma devono essere corretti. O almeno c’è il dovere di chi conduce di equilibrare. Sarebbe bastato dire: “Io ricordo gli ostaggi che sono tuttora in mano ai terroristi di Hamas”. Bastava questa frase». Bastava un minimo di professionalità.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?






