2023-11-16
Tolkien e la destra: dopo 40 anni la sinistra non ha ancora capito i Campi Hobbit
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Montesarchio (Benevento), giugno 1977. L'ingresso del primo Campo Hobbit
Le polemiche sulla mostra sullo scrittore in corso a Roma dimostrano che la storia politica del mondo post missino è ancora un continente inesplorato per molti commentatori.Se si dovesse fotografare in un’istantanea lo stato dell’arte del dibattito su John Ronald Reuel Tolkien e la destra – nato in seguito alla mostra sullo scrittore appena inaugurata a Roma – si potrebbe citare questa perla di Mirella Serri uscita qualche giorno fa sulla Stampa: «La giovanissima Giorgia Meloni, innamorata de Il signore degli anelli, opera-culto dell’autore di cui quest’anno ricorrono i 50 anni dalla morte, frequentava i Campi Hobbit certa di aver incontrato nei testi dello scrittore di saghe una mitologia postfascista, una nuova visione del mondo fatta di lotte, di valori autentici e di lealtà». A ben vedere si tratta di uno scoop: la militanza politica della Meloni va quindi retrodatata: l’attuale premier non avrebbe iniziato a fare politica subito dopo l’attentato di via D’Amelio, nel 1992, come più volte raccontato. Macché: soldato politico di provata fede, la Meloni avrebbe quindi già presenziato alle prime manifestazioni politiche tra gli zero e i quattro anni, i Campi Hobbit essendosi tenuti nel 1977 (anno di nascita della Meloni), nel 1978, nel 1980 e nel 1981. Qui si ride, ma viene da piangere al cospetto di certe castronerie sparate su giornali presuntamente autorevoli, con la sicumera di chi non deve andare incontro a verifiche, bastando il fatto di essere dalla parte giusta a legittimare qualsiasi analisi. Anche in assenza di errori così marchiani, tuttavia, va detto che pure il resto dei ragionamenti che abbiamo letto in queste settimane sul tolkienismo della destra italiana lascia parecchio a desiderare e per una ragione ben precisa: si continua a interpretare Giorgia Meloni come una sorta di cellula dormiente del nazifascismo, dando di conseguenza per scontato che la passione del premier per Il signore degli anelli derivi dal fatto di interpretare quel romanzo come una allegoria del suddetto nazifascismo. E poiché nel Signore degli anelli non c’è nulla di tutto questo, si grida all’appropriazione culturale indebita. Quello che sfugge è che i Campi Hobbit – a cui ovviamente la Meloni non poté andare per ragioni anagrafiche, ma da cui derivano passioni, immaginari, parole d’ordine dell’ambiente che poi la futura premier troverà nelle sezioni missine romane – furono un fenomeno che non intendeva fascistizzare Tolkien, bensì tolkienizzare il neofascismo. Si trattava, per usare una espressione di Marco Tarchi, tra i principali organizzatori dell’evento, di «uscire dal tunnel del fascismo». Non era quindi un tentativo di far indossare il fez agli hobbit, ma il tentativo di fondare un immaginario alternativo a quello del fascismo, qualsiasi cosa si pensi di questo progetto.Il primo Campo Hobbit si tenne dall'11 al 12 giugno 1977 a Montesarchio, in provincia di Benevento, organizzato dal leader locale missino, Generoso Simeone. Il secondo campo si tenne a Fonte Romana di Pacentro, in Abruzzo, dal 23 al 25 giugno 1978. Il terzo Campo si tenne dal 16 al 20 luglio 1980 a Castel Camponeschi sempre in Abruzzo, in un vecchio borgo disabitato. Ne esiste poi un quarto, che in realtà non ebbe la caratteristica festosa e culturale degli altri, perché fu più che altro legato alla spedizione volontaristica dei giovani di destra in seguito al terremoto dell’Irpinia.Ovviamente i Campi Hobbit – che non furono peraltro tutti uguali fra loro – furono una esperienza composita, in cui si sommavano progetti e velleità di gruppi che non necessariamente volevano le stesse cose. Nati dall’ala rautiana e movimentista del partito, quegli eventi assorbivano le idee della Nouvelle droite francese, all’epoca in grande spolvero, ma che venivano mutuate secondo schemi tipicamente italiani. Se una parte degli organizzatori iniziava all’epoca un percorso che l’avrebbe portata a rompere con la destra istituzionale per sempre e a cercare nuove sintesi fuori dai partiti, un’altra, sicuramente più ampia, vi vedeva l’occasione per rinverdire il discorso del partito, a cui tuttavia si restava sempre legati a doppia mandata. Non mancavano ovviamente i curiosi generici, a fare numero, e anche gli esponenti della destra radicale, un po’ dentro e un po’ fuori dai Campi, non senza qualche contestazione.All’epoca, i Campi Hobbit furono osteggiati da due fronti, che rimproveravano a quei giovani la stessa cosa, ma da due prospettive antitetiche: sia la destra più ligia all’ortodossia di partito che quella radicale, all’epoca impegnata in ben più tragiche esperienze, accusarono quel raduno di essere una fuga in una Contea immaginaria, mentre le vere battaglie si combattevano altrove, accuse in cui c’è solo una parte di ragione.Si può ovviamente ragionare sul bilancio da trarre da quell’esperienza. Nel corso degli anni, molti dei protagonisti dei Campi hanno dato battaglia per dimostrare che l’intera avventura di quelle manifestazioni trovasse il suo più autentico significato nella legittimazione dei propri percorsi politici. Insomma, ognuno ha voluto presentarsi come legittimo erede dei Campi, dando in buona sostanza del traditore a chiunque altro abbia fatto scelte diverse. Sono polemiche che lasciano il tempo che trovano, anche perché ognuno ha tratto da quell’esperienza ciò che vi ha voluto vedere. Quello che sicuramente non è possibile fare è ricondurre il tutto a una losca allegoria a tinte brune. O piazzarvi dentro dei futuri premier in fasce.
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