2025-04-15
Moschee, utero in affitto e migranti. Cambiano i connotati al cattolicesimo
«La Stampa» riscrive la dottrina: prima fa l’elogio dei luoghi di preghiera islamici, poi dà voce al cardinale di Torino che critica le manette per gli stranieri stupratori. E non manca un plauso alla «gestazione per altri».I manifesti contro l’indottrinamento gender nelle scuole, dopo essere stati deturpati, sono spariti. Il Comune di Roma aveva diffidato le ditte concessionarie delle affissioni.Lo speciale contiene due articoli. Un lunedì di Settimana santa che avrà fatto sobbalzare i cattolici intenti a rivivere la passione di Cristo. Ieri, nelle prime venti pagine La Stampa è riuscita a spiegarci che i veri cristiani devono essere felici «se apre una nuova moschea»; che gli stupratori in manette «sono una ferita per l’umanità»; e a far parlare la «mamma cattolica» che presta l’utero per assicurare discendenti a coppie gay. Il bizzarro «messaggio evangelico», si è aperto con un’intervista al teologo e scrittore Vito Mancuso. «Penso che la costruzione di una moschea in una città che ha molti abitanti di religione musulmana favorisca l’attenuazione del conflitto tra islam e modernità occidentale», dichiara l’editorialista del giornale degli Agnelli-Elkann. Come mai, allora, la Francia che conta la popolazione musulmana più alta dell’Europa occidentale e un numero vertiginoso di moschee (2.600 secondo i dati di febbraio del ministero dell’Interno francese), è colpita ogni giorno da vandalismi, violenze contro chiese, cattolici, ebrei e ogni simbolo religioso che li rappresenta? Perché la presenza dell’islam politico in Europa sta preoccupando sempre più Paesi, dall’Italia alla Svezia passando per la Germania, con la radicalizzazione e le minacce alla sicurezza che sono connesse al terrorismo e all’estremismo violento, se il dialogo costruttivo avverrebbe concedendo più luoghi di culto a chi crede in Allah? «Guarda con quanta rapidità abbiamo adottato la parola “islamofobia” nel nostro vocabolario quotidiano. Questa parola è la loro e si riferisce alla loro strategia principale, quella della vittimizzazione», dichiarava un anno fa il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, al Journal du dimanche. Il settimanale francese qualche mese prima aveva pubblicato un sondaggio su che cosa pensano i musulmani francesi: il 49% vuole che i cattolici si convertano all’Islam, il 36% che le chiese siano trasformate in moschee. Il 42% antepone il rispetto della Sharia islamica al rispetto delle leggi della Repubblica francese e la percentuale sale al 57% tra i musulmani di età compresa fra i 18 e i 25 anni. Mancuso ci racconta che nei confronti degli islamici c’è una sfiducia più culturale che religiosa, sentimenti che sarebbero «gli stessi che a Torino c’erano nei confronti dei meridionali. Ma poi bisogna capire che sono sentimenti antistorici e immaturi. Ecco perché una moschea può diventare un luogo di convivenza in cui ci si educa a vicenda». Una storiella illusoria e che offende i nostri migranti dal Sud Italia. Basta vedere quante comunità islamiche non stanno cercando l’integrazione anzi rifiutano i valori, la cultura, le legislazioni europei e non sanno che farsene del dialogo interreligioso. L’unica libertà religiosa che ammettono è la loro. La soumission, la sottomissione degli infedeli (che siamo noi occidentali) se necessario va fatta anche con la violenza. Sfogliando pagina, dopo il predicozzo di Mancuso apprendiamo che noi cattolici dobbiamo invece solo tendere la mano «e gestire una buona accoglienza», come esorta a fare Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa. Il cardinale ha tuonato: «Quando vedi migranti condotti via con le manette, hai la sensazione di un pezzo di umanità che viene ferita profondamente. Credo che ci sarà un giudizio di coloro che verranno dopo di noi. E per i credenti c’è anche un giudizio del Signore».Sua Eminenza non sembra turbato che tra i clandestini trasferiti dall’Italia in Albania a bordo della nave Libra ci fossero anche stupratori, un adescatore di minorenni, un accusato di tentato omicidio e che il 60% degli immigrati allontanati sia noto alle forze dell’ordine per diversi reati commessi. Condanna, l’alto prelato, l’assenza di umanità degli agenti che hanno messo fascette attorno ai polsi di soggetti con precedenti di violenza, spaccio, furto. «Se si arriva a pensare che il fatto di essere poveri e miserabili coincide con l’essere delinquenti, si corrono rischi», ammonisce Repole. Questi clandestini avevano commesso reati, non si può continuare a ignorare che cosa combinano mentre circolano per il nostro Paese rimanendo impuniti. Invece l’arcivescovo di Torino ribadisce: «Come uomo e cittadino, sento che c’è una grande ferita, arriva dall’equazione migrante uguale delinquente». Non è così, in nome di un’accoglienza indiscriminata purtroppo si preferisce giustificare quello che di sbagliato, di violento commette chi arriva illegalmente. Il cardinale condanna che si cerchi di arginare l’immigrazione perché «non tiene conto, tra l’altro, del fatto che l’Italia ha bisogno di lavoratori stranieri». Allora noi, «parte dell’umanità che sta bene», come ci definisce Repole, dobbiamo accettare che molti minaccino l’ordine e la sicurezza? Il terzo messaggio veicolato dalla Stampa è che anche una donna cattolica può ridursi ad essere un utero in affitto perché si tratta di una «chiamata», e in questo modo ha aiutato una coppia gay «a formare una famiglia». La paladina dei valori cattolici si chiama Cynthia Kruk ed è una psicoterapeuta californiana di 42 anni. Quindici anni fa ha accettato la fecondazione in vitro per conto dei registi Marco Simon Puccioni e Giampietro Preziosa, la cui unione civile era stata celebrata da Nichi Vendola. «Senza sentirsi sfruttata», dopo nove mesi ha sfornato e consegnato due gemelli, David e Denis per i quali «sente una connessione. Sento di dovergli dimostrare un supporto, ma non da madre». Dei figli avuti con il marito, dice: «Sono la loro mamma. Per i gemelli non è così, hanno i loro genitori». Guai a ricordarle che la gestazione per altri è diventata in Italia reato universale. «Lo trovo degradante e offensivo. Troppo duro. Una famiglia è definita dall’amore, dalla cura, dall’impegno e dal sostegno reciproco». Sul portale Gay.it ieri i registi, che erano presenti con la Kruk al Lovers Film Festival di Torino, sostenevano: «Un figlio sicuramente ha bisogno di un uomo e di una donna per essere generato ma successivamente ha bisogno d’affetto. I nostri figli ad esempio non sentono la mancanza di una madre». Scontato, dal loro punto di vista, per difendere una posizione che invece vìola i diritti delle donne e dei bambini. Ma la famiglia, almeno per i cattolici, rimane fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna aperti alla generazione e alla crescita dei loro figli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cambiano-i-connotati-al-cattolicesimo-2671771803.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="rovinati-e-rimossi-i-poster-di-pro-vita" data-post-id="2671771803" data-published-at="1744710253" data-use-pagination="False"> Rovinati e rimossi i poster di Pro vita Hanno vita breve e sempre e comunque, i manifesti di Pro vita & famiglia, la onlus presieduta da Toni Brandi e puntualmente nel mirino di tutta la compagine progressista, dall’establishment delle istituzioni fino all’attivista armato di bomboletta o peggio - come dimostra la molotov rinvenuta nella sede dell’associazione nel novembre 2023, dopo una manifestazione contro la violenza sulle donne ma evidentemente non contro la violenza politica. Ma torniamo ai manifesti. Solo pochi giorni fa, l’onlus pro life e pro family ha lanciato la sua nuova campagna, intitolata «Mio figlio no» e centrata sulla libertà educativa dei genitori e contro i progetti di matrice arcobaleno nelle scuole. Non l’avesse mai fatto. Nel giro di appena 24 ore, con una celerità onestamente degna di miglior causa, i manifesti - peraltro per nulla scabrosi, ma semplicemente raffigurati volti (parziali) di bambini reduci da indottrinamenti Lgbt - sono finiti sotto attacco; e non solo per opera di ignoti imbrattatori, ma da più parti. A cominciare da Arcigay Roma, subito corsa a lamentarsi del fatto che «le affissioni che tappezzano Roma veicolano messaggi lesivi della dignità delle persone Lgbtqia+, promuovendo stereotipi dannosi e alimentando un clima di discriminazione e intolleranza». La nota attivista arcobaleno e avvocato Cathy La Torre ha addirittura chiamato i suoi follower a una «rivolta civile». Anche +Europa - che senz’altro vuole più integrazione europea, ma a quanto pare non più pluralismo - è corsa a protestare contro l’iniziativa dell’associazione, parlando di «manifesti manipolatori» e di voler «generare paura e odio». Tante voci protesta non hanno, come c’era da aspettarsi, lasciato indifferente il Comune di Roma, guidato da Roberto Gualtieri le cui simpatie arcobaleno, come mostrano innumerevoli iniziative - a partire dall’istituzione dell’ufficio Diritti Lgbt+ di Roma, affidato a Marilena Grassadonia, già presidente dell’Associazione famiglie arcobaleno -, non sono un mistero per nessuno.Così, le ditte concessionarie delle affissioni sono state subito raggiunte da una diffida del Comune affinché le rimuovessero perché quei manifesti sarebbero «segnati da stereotipi nella rappresentazione della comunità Lgbtqia+, rappresentata come minaccia e dannosa per lo sviluppo dei bambini e dell’infanzia». «Le motivazioni addotte dal Comune di Roma, secondo cui i nostri manifesti sarebbero “offensivi delle declinazioni di identità sessuale diverse da quella tradizionale” e “contrari alle politiche di genere portate avanti da Roma Capitale”, appaiono come un patetico pretesto per giustificare l’ennesima vergognosa e censura a opera di uno squadrismo Lgbt ormai istituzionalizzato, in piena violazione del diritto costituzionale alla libertà di espressione contro cui ovviamente faremo ricorso in Tribunale», era stata la pronta replica di Jacopo Coghe, che di Pro vita è il portavoce. Una replica tempestiva, quella di Coghe, che purtroppo non ha evitato, per così dire, il peggio: ovvero la completa rimozione di tutti i manifesti. Una rimozione di cui Pro vita & famiglia stessa è venuta al corrente solo nelle scorse ore e sulla quale si riserva di far luce, dal momento che ci troviamo davanti forse alla campagna di sensibilizzazione più breve della storia: iniziata la scorsa settimana e già archiviata. Un triste record, che - quali che siano le sensibilità di ciascuno su queste tematiche - rimanda ad una parola che i sinceri democratici dovrebbero essere i primi ad aborrire: censura.
Jose Mourinho (Getty Images)