La Premier è uno show costruito per la tv e oggi spende 30 volte più della Serie A.
La Premier è uno show costruito per la tv e oggi spende 30 volte più della Serie A.Negli anni Novanta il calcio italiano guardava quello inglese dall’alto in basso. Oggi, però, è l’esatto opposto. La Premier league inglese è un colosso che ogni anno spende cifre che la Seria A italiana si sogna letteralmente. A essere andati in rete a casa di Sua Maestà sono stati gli investimenti delle squadre e soprattutto l’aver inteso che il calcio non è uno di quegli sport che si gioca solo sul manto erboso, ma soprattutto sugli schermi televisivi, vero volano economico per una filiera che inizia con i giocatori e i club e finisce a suon di biglietti, sponsorizzazioni e diritti televisivi.Così, l’anno scorso il campionato inglese ha speso più di tutti, per distacco, con un volume complessivo, per tutti gli acquisti finora effettuati, di ben 586,4 milioni di euro. Un vero e proprio vatusso in un settore di nani. Per intenderci, la seconda classificata è la Ligue 1 francese con 73,9 milioni spesi nel 2022, terza la Bundesliga a poco meno di 68 milioni. Rispetto a Londra e dintorni anche in Spagna sono state spese noccioline con 24,4 milioni di euro. La Serie A è soltanto decima con 19,4 milioni di euro. In parole povere la Premier league nel 2022 ha speso 30 volte rispetto a quanto sborsato dalla massima serie italiana. Si tratta di una fotografia molto amara per noi italiani, amanti di un calcio fatto di eccellenze, ma anche di scarsa lungimiranza. Esattamente quello su cui più di tutti il calcio nel Regno Unito ha puntato. Oltremanica, gli esperti del pallone hanno capito che il business era prima di tutto uno show, lasciando forse per strada strategie per rinforzare i settori giovanili e di conseguenza il grande tallone d’Achille degli inglesi resta la nazionale.I dati forniti da Statista non mentono. Solo dalla stagione 2014/2015 a oggi i ricavi dai diritti di trasmissione delle partite della Premier league sono raddoppiati, passando da 1,7 miliardi ai 3,1 miliardi di sterline. Ad aver preso l’ascensore verso l’alto ci sono state pure le sponsorizzazioni passate in otto anni (dal 2014 al 2022) da 987 milioni a 1,65 miliardi. Curiosamente, a essere cresciuti meno sono i ricavi dalle partite (biglietti), saliti nello stesso periodo da 583 milioni a 700 milioni, segnale che i veri soldi si fanno con la televisione (e oggi con lo streaming). Il calcio italiano e quello inglese, insomma, si trovano agli antipodi. Dalle nostre parti abbiamo dimenticato business e strategia per puntare (forse) sui talenti, oltremanica a mancare è stata la ricerca delle eccellenze, fattore che ha comunque portato il mercato inglese del calcio ai vertici in Europa per ricavi e spesa. Da questo punto di vista Belgio e Spagna hanno mostrato che puntare sulla crescita dei vivai e l’allevamento dei futuri talenti può essere una strategia vincente dal lato sportivo. Non stupisce, insomma, se i club della massima serie inglese hanno registrato - come si legge nell’Annual review of football finance firmato Deloitte - una crescita dei ricavi dell’8% per la stagione 2020-21, passando da 4,5 miliardi di sterline a 4,9 miliardi di sterline.La massima serie inglese, tra l’altro, è stata l’unica delle cinque grandi leghe europee - tra cui anche La Liga , Serie A, Bundesliga e Ligue 1 - a vedere un miglioramento dei profitti operativi totali, che sono cresciuti da 49 milioni a 479 milioni di sterline.Conti alla mano, escludendo la Premier league, gli altri quattro campionati hanno registrato un aumento delle perdite operative totali per il 2020-21, passando da 461 milioni di euro a 901 milioni di euro.Basti notare i casi in cui squadre inglesi dal blasone minore vengono a pescare i migliori giocatori in terra italiana. È il caso del Nottingham Forest, che voleva Merih Demiral dall’Atalanta, operazione poi non andata in porto. E lo stesso vale per Nicolò Zaniolo, fino a poco fa idolo e possibile futura bandiera della Roma, cercato dal Bournemouth, altro acquisto non andato a buon fine. Si tratta, per capirci, di due club, rispettivamente tredicesimo e diciottesimo in Premier league (nel caso del Nottingham di una neopromossa che un anno fa concluse la Championship al quarto posto) che hanno una capacità di spesa maggiore delle milanesi Inter e Milan, che l’anno scorso si sono giocate lo scudetto fino all’ultima giornata. Detto in parole povere, di questo passo saranno le squadre della Serie B inglese ad avere più armi in campo finanziario della massima Serie italiana. Del resto, da noi, sono le strutture come gli stadi a essere spesso lasciate andare, quando nel Regno Unito sono spesso le infrastrutture (anche dei club meno blasonati) a giocare un ruolo cruciale nel business del pallone. In tutto questo viene da chiedersi quale sia il ruolo della tanto temuta Brexit, fenomeno che avrebbe dovuto gettare l’Inghilterra in una situazione di povertà e crisi e che, al contrario, sembra non aver scalfito più di tanto l’economia di Sua Maestà. Il calcio inglese, insomma, da brutto anatroccolo è diventato un cigno forte e maestoso. Quello italiano, invece, è un vecchio falco dalla salute sempre più cagionevole, di quelli che nessuno può dire se arriverà all’inverno successivo.
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